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Il nome di Dalton Trumbo, sceneggiatore cinematografico attivo in America dagli anni ’30 ai primi anni ’70, non è molto noto né al pubblico né agli addetti ai lavori. Il motivo è la complessa storia della sua vita che il film Trumbo, uscito lo scorso febbraio, si propone di raccontare.

Trumbo è stato uno di quegli operatori del settore cinematografico a finire nelle Liste Nere di Hollywood durante il maccartismo: lavoratori ai quali fu proibito continuare a svolgere il proprio mestiere perché simpatizzanti o membri del partito comunista. L’accusa ufficiale era quella di inserire elementi sovversivi all’interno dei loro lavori, senza che fosse presentata alcuna prova concreta a supportare tali supposizioni.

Quando fu chiamato a rispondere delle accuse davanti all’HUAC (House Un-American Activity Commitee, ovvero Commissione per le Attività Antiamericane) nel 1947, Trumbo si rifiutò di replicare con semplici sì o no e provò ad approfondire le domande ricevute, chiedendo anche che fossero indicate le prove alla base dell’imputazione. Il risultato fu che venne cacciato dall’aula e poco dopo incarcerato per dieci mesi.

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Come lui, nove suoi colleghi e amici tra registi, sceneggiatori e produttori si sedettero davanti al presidente della Commissione e risposero in maniera provocatoria alla domanda: «È o non è mai stato membro del partito comunista?». Credevano infatti che il quesito violasse un diritto costituzionale protetto, secondo la costituzione americana, dal Primo Emendamento, che garantisce al cittadino la libertà di culto, parola e stampa.

I cosiddetti Hollywood Ten realizzarono, subito dopo il processo, un filmato in cui spiegavano che la Commissione per le Attività Antiamericane stava effettivamente violando i loro diritti costituzionali e la loro libertà di pensiero. Nel filmato Trumbo e gli altri parlano di quanto fosse insensato porre loro una domanda del genere. Infatti se avessero risposto no, il presidente della Commissione avrebbe tirato fuori

fantomatiche prove che collegavano gli imputati al Partito e, se avessero risposto sì, li avrebbero costretti a fare altri nomi, obbligandoli a limitare la libertà di altre persone che di fatto non avevano commesso alcun reato. Di qui il rifiuto che li portò a dover trascorrere un anno in galera, con l’accusa di oltraggio al Congresso.

Terminata la detenzione, Dalton Trumbo riprese comunque a scrivere usando degli pseudonimi. Si dedicò principalmente a film di serie B, ma scrisse anche due sceneggiature che vinsero premi Oscar: quella di Roman Holidays (Vacanze Romane), che venne firmata dall’amico e collega Ian McLellan Hunter e vinse nel 1953, e quella di The Brave One (La più grande corrida), che firmò sotto il falso nome di Robert Rich, e che vinse nel 1957.

Alla fine degli anni ’50, Trumbo venne chiamato da Kirk Douglas per scrivere la sceneggiatura di Spartacus, per la regia di Stanley Kubrick. Douglas annunciò pubblicamente che la sceneggiatura era opera di Trumbo, scatenando l’ira dei membri dell’HUAC che stimolarono diversi picchetti davanti alle sale in cui il film veniva proiettato. Il presidente degli Stati Uniti John F. Kennedy passò davanti a uno di questi picchetti per andare a vedere Spartacus e, intervistato dai giornalisti a fine proiezione, disse che era un ottimo film, dimostrando in qualche modo di voler allontanare quell’ostilità che l’HUAC aveva reiterato nei confronti degli Hollywood Ten. Questo avvenimento segnò l’inizio della fine delle Liste Nere di Hollywood.

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Nel frattempo Dalton Trumbo stava collaborando anche con Otto Preminger per la sceneggiatura di Exodus, secondo lavoro che riuscì a firmare con il suo vero nome dopo il lungo periodo di ufficiale inattività.

Il film su Trumbo del 2016. Nel film uscito nelle sale lo scorso febbraio, per la regia di Jay Roach, è Bryan Cranston a vestire i panni di Dalton Trumbo. Lo sceneggiatore americano viene raccontato come una persona d’animo buono: in una delle prime sequenze del film lo vediamo al comando di un picchetto organizzato fuori da un set per protestare contro la decurtazione agli stipendi degli operai che lo montavano; Trumbo pare estraneo al tipico modello lavorativo capitalistico fondato su gerarchie precostituite.

Il film ci catapulta nel momento della vita in cui il protagonista è già uno sceneggiatore di successo ed è già detestato dai potenti per i suoi atteggiamenti, ma non è facile capire la dinamica della vicenda se non si ha a priori una visione chiara di cosa avvenisse in America in quegli anni.

Dopo le prime scene in cui viene approfondito il personaggio attraverso qualche episodio come quello descritto poco sopra, la pellicola procede narrando il suo percorso minato dalle accuse e dagli impedimenti che provengono dalla sua lotta politica, e spiegando come Trumbo si ingegni per aggirare tali impedimenti. Ma di questa lotta, in sostanza, il film ci dice veramente poco.

L’impegno politico di Trumbo viene liquidato nella prima parte del film in maniera piuttosto stilizzata: la sua cognizione di comunismo si esaurisce in una tenera conversazione con la figlia piccola, alla quale chiede se, vedendo un suo compagno di classe senza merenda, sarebbe disposta a sacrificare metà della sua per il bene dell’altro.

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Dell’impegno contro la Commissione per le Attività Antiamericane viene raccontato soltanto che Trumbo presenziò a una conferenza e cercò, insieme ai colleghi, di diffondere dei pamphlet contenenti la definizione del Primo Emendamento. La sequenza presenta anche il personaggio di John Wayne, descritto come un pallone gonfiato che parla utilizzando solo slogan patriottici e che, da un certo punto del film, sembra capeggiare l’intera industria hollywoodiana e decidere chi possa o non possa lavorare in base ai propri gusti personali. La stessa facile stigmatizzazione vale per il personaggio di Edda Hopper, giornalista di gossip che osteggia chi si oppone agli ideali della Commissione. Questo personaggio pare la macchietta di una donna viziata, mossa da un odio profondo nei confronti di Trumbo e degli altri membri degli Hollywood Ten, i quali appaiono come mere pedine al servizio della lotta del protagonista contro la Commissione. Quello che tra i personaggi secondari risulta il più approfondito è Arlen (Louis C.K.): figura di invenzione caratterizzata da comportamenti sovversivi, a più riprese redarguito da Trumbo che lo invita a mantenere una condotta più responsabile e calcolata. Arlen si configura come un personaggio costruito ad hoc per dimostrare come Trumbo, nonostante tutto, avesse una visione politica più moderata di quello che si potrebbe pensare. In questo senso mi sembra quasi di sentir discutere gli sceneggiatori del film: «Siamo americani e stiamo facendo un film su un comunista, mettiamo le mani avanti per l’amor di dio!».

Insomma, Trumbo è un buon film perché capace di raccontare in maniera abbastanza efficace la vita di una persona che ha dovuto ingegnarsi per continuare a fare il proprio mestiere. Una battaglia contro gli estremismi dell’anticomunismo americano incarnati da una Commissione di cui non si capisce ruolo e funzione, al di là delle accuse mosse contro Trumbo e i suoi colleghi. Il risultato è un maccartismo tratteggiato come semplice problema specifico per i protagonisti, un deus ex machina negativo che si abbatte sui personaggi. La parte della Commissione, in ultima analisi, è rappresentata dalle figure di John Wayne e Edda Hopper. Un’istituzione con enorme potere è inscenata come un gruppetto di potenti che vuole impedire a poche e brave persone di lavorare. Semplicemente un abbozzo anche il conflitto tra le due parti che si esaurisce nella classica (e quantomai banale) dicotomia bene-male. Non si approfondisce la paura sterile che dettava le azioni della Commissione; non si caratterizza l’ottusità delle persone che ne facevano parte; non si mette in dovuto risalto l’elemento scatenante della narrazione, cioè la lotta degli Hollywood Ten estendibile a ogni cittadino americano. Non si accenna neanche a chi, sedutosi davanti alla Commissione e cedendo alle pressioni, indicò i nomi dei colleghi. Solo la fazione del bene, dei protagonisti colpiti dalle limitazioni imposte dall’HUAC, contiene qualche sfaccettatura in più ed è investita da un timido tentativo di svisceramento morale.

Non si può certo dire che Dalton Trumbo non fu vittima di una terribile ingiustizia ma, per quanto lo sceneggiatore fosse il focus della storia, si sarebbe dovuto indagare meglio i moventi degli antagonisti per restituire allo spettatore una visione completa della vicenda e di quel momento storico.

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