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L’ultimo shock della mia infanzia risale all’anno scorso. È accaduto mentre rivedevo su Youtube il cartone animato della Sirenetta di Andersen (non la versione rosa confetto della Disney, ma questa qui). Bello, più o meno come lo ricordavo, ma solo fino a metà. Fino all’infame momento di cui non serbavo alcuna memoria cosciente. Il momento in cui, davanti a una Sirenetta muta e a stento deambulante, il Principe ha la faccia di confessare: «Ci sarebbe una certa donna che amo e che vorrei sposare, ma siccome non riesco a trovarla, allora ho deciso di sposare te».

Parole orride, infami, vili. Parole innestate, a loro volta, in una storia di tempistiche sbagliate, fraintendimenti e sacrifici fatali, e tutto per via di un uomo che ragiona come un burattino di legno.
Diciamo la verità, La Sirenetta non è una bella fiaba. E non è nemmeno un raccontino per bambini. Anzi, se si guarda bene da vicino, nessuna fiaba è un prodotto conforme all’infanzia, né è nata come tale, secoli orsono.

Non tutti sanno che espressioni come vita, amore o paesaggio da fiaba, e vissero felici e contenti, sono solo la conseguenza di furbe operazioni di marketing messe in atto dai Fratelli Grimm prima e da Walt Disney poi. Prima di sottoporsi a opportuni maquillage, i prìncipi non erano gentiluomini in calzamaglia azzurra, i bambini non erano angioletti biondi, le principesse non odoravano di rose e violette.

Nella loro versione autentica, le fiabe facevano fare la pipì addosso più che i sogni d’oro, tra fanciulle senza mani, bambini che sgozzano i loro amichetti, belle addormentate che si risvegliano dopo secoli in preda ai dolori del parto, genitori che trucidano i figli come fossero maiali.

La rivisitazione della Sirenetta dello street artist Herr Nilsson

Se volete conoscere la verità e risalire alle fonti, dimenticate cerbiatti e pettirossi, e leggete il Pentamerone di Giambattista Basile (se avete confidenza con l’italiano del Seicento). Per chi conosce l’inglese, l’Università di Princeton ha pubblicato una raccolta estensiva di fiabe incensurate pre-fratelli Grimm (qui trovate un’approfondita recensione apparsa sul quotidiano britannico The Guardian).

Insomma, le fiabe direbbero molto di più di quello che ci hanno insegnato a scuola o di quello che abbiamo visto al cinema. Sarà proprio per via di tutto il potenziale inutilizzato che molti autori si cimentano nel cosiddetto retelling, ovvero ri-scrivere, ri-raccontare, scavando tra le ombre del non detto.

Biancaneve ripensata da Herr Nilsson

Biancaneve ripensata da Herr Nilsson

Personalmente nutro un’ossessione per le fiabe nelle loro versioni nude e crude ma anche nelle loro versioni contemporanee. Di seguito, un mini elenco dei retelling che ritengo più interessanti. Se ancora non li conoscete, provateli se volete dare agli ultimi giorni di vacanza un sapore fiabesco, nel vero senso della parola.

The Beauty Series di Anne Rice (1983)

Prima del successo commerciale Cinquanta Sfumature di Grigio di E. L. James, c’era una volta la Bella Addormentata, o semplicemente Bella, la quale si risveglia dopo cent’anni a metà di un amplesso con il bel Principe. Da lì in poi sarà un delirio di avventure erotiche dal sapore medioevale, in compagnia di re, regine, principi, sguattere e paggi reali. La famosa autrice di Cronache dei Vampiri ne aveva così tante in mente da comporre una trilogia, ripubblicata di recente in Italia da Longanesi. Potrebbe non rispecchiare i gusti di tutti, ma c’è da dire che Rice coglie un aspetto fondamentale della fiaba tradizionale, cioè l’immobilità archetipica della fanciulla in attesa, e da questo ne ricava un’epopea sadomaso.

La sindrome di Cappuccetto Rosso di Emanuela Valentini (2014)

In questa fiaba fantascientifica c’è tanto rosso: quello dei cazzotti e del sangue, ma soprattutto quello della special red, una nuova droga sintetica che provoca visioni sublimi di sogni segreti. Più che il cesto della merenda, la protagonista porta con sé uno zaino pieno di tali caramelle magiche, sullo sfondo distopico di una metropoli violenta e disastrata – che però durante lo sballo diventa il bosco incantato. Cappuccetto, anzi Halley, è una giovane pusher e professionista della diffidenza, almeno prima dell’arrivo del fascinoso Lupo. Il Cacciatore è uno che non si rassegna, mentre Nonnina non è affatto quella che sembra. La storia si dipana in quattro volumi raccolti nella serie Red Psychedelia di Delos Digital, proponendo una geniale commistione tra fiaba e dieselpunk.

La Camera di Sangue di Angela Carter (1979)

Questa antologia edita dalla Vintage nasce, nelle parole dell’autrice, non per fornire una versione alternativa delle fiabe, ma per estrarne il contenuto latente. Infatti, Barbablù è un vecchio pervertito, un serial killer a tutti gli effetti. Cappuccetto Rosso, dal canto suo, anziché farsi salvare dal cacciatore, recide una zampa del lupo per scoprire poi che alla nonnina manca un braccio. In un’altra storia, compaiono il conte e la contessa che sognano una figlia candida come la neve, la quale compare dal nulla durante una gita a cavallo, catalizzando tutte le attenzioni del patrigno, con profondo risentimento della matrigna. La raccolta comprende altri racconti ispirati al Gatto con gli Stivali, alla Bella e la Bestia, alle leggende dei vampiri, e si conclude con un ibrido di Cappuccetto Rosso e Alice nel Paese delle Meraviglie.

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Conoscete altri esempi letterari di retelling meritevoli di raccontare una fiaba nuova, pur partendo da una storia vecchia? Se sì, segnalateli nei commenti. A stravolgere le fiabe mi sono divertita anch’io: qui potete visionare l’anteprima del progetto intitolato Le Sfiabe. Buona lettura e buone divagazioni a tutti!

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