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Il fatto è che io, veramente…sono anche un po’ matto. Non gliel’hanno detto, signorina, al villaggio?

(p.31)

Cos’ha dunque il nostro mugnaio?
Mah! Si va dicendo che io sono, per così dire, un po’ matto…valla a capire.

(p.73)

Huttunen fece tranquillamente notare che non era malato di mente, al massimo solo un po’ bizzarro. In quel periodo d’altronde si vedevano in giro dei tipi ancora più strani.

(p.105)

Quando un uomo si comporta in questo modo, con una simile tracotanza, lo si deve arrestare al più presto, con l’aiuto dell’esercito, se necessario. Ma si può immaginare un sacrilegio più esecrabile – un pazzo che suona le campane della dimora del Signore!

(p.241)

(Il mugnaio urlante, Iperborea, traduzione di Ernesto Boella)

Arto Paasilinna, scrittore finlandese molto prolifico, con Il mugnaio urlante (Ulvova mylläri, 1981) arrivava per la terza volta ai lettori italiani, sempre edito da Iperborea. La sua fama, dall’ormai lontano 1997, anno della traduzione italiana a opera di Ernesto Boella, è cresciuta ulteriormente. Questo libro è la storia, suddivisa in due momenti (Il mulino del folle, Caccia all’eremita) di un uomo dal passato annebbiato che emigra verso il nord della Lapponia e compra il mulino delle Rapide della Foce, allora in disuso, dandogli una nuova vita. Questo diventerà il un luogo simbolico di una privazione che sa di dolorosa ingiustizia. Il protagonista infatti ci lavorava con onesta laboriosità fino a quando, allontanato dalle malelingue del paese, non scoprirà che al suo ritorno il caro mulino era stato deflorato e privato di tutti i beni: «Nella sua stanza regnava il caos. Avevano rovistato dappertutto, perfino il letto era disfatto, la credenza senza porta, mancavano delle pentole. L’armadio a muro era stato svuotato di tutte le provviste. Perfino il sacco delle patate che Huttunen aveva lasciato sul fondo dell’armadio era sparito».

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Le anime del villaggio lappone in cui il misterioso Gunnar Huttunen si stanzia, infatti, convivono sempre più difficilmente con le stramberie del forestiero. È un mugnaio speciale, a volte resta triste e arrabbiato, altre invece si eleva quasi a rappresentante di una spontanea e ingenua umanità, un personaggio insomma molteplice nella sua incompresa naturalezza che gli aliena le simpatie di chi non capisce la sua idea genuina, a tratti primitiva, di libertà.

Lo straniero che si inserisce negli equilibri di una comunità è una delle strategie narrative attraverso cui si dipana l’intreccio, sotto il segno dell’imprevedibilità: che farà quel mugnaio un po’ matto? Il solco tra il protagonista e gli abitanti del villaggio sarà sempre più profondo fino a quando, emarginato dalla società, si troverà a vivere per certi momenti un’esistenza di forzosa solitudine. Nonostante ciò  avrà la solidarietà della connivente guardia municipale Portimo e soprattutto intratterrà un rapporto ambiguo, vero solamente in potenza, un amore sospeso con la consulente orticola Sanelma Kayramo.

Gunnar la notte ulula, impedendo al villaggio di dormire. Quando gli abitanti si riuniscono intorno al suo mulino, fa il buffone contorcendosi, imitando grottescamente le pose degli animali.

L’animalizzazione dell’uomo e l’immedesimazione della coscienza umana nel mondo animale sono temi declinati in diverse variazioni per tutto il corso della narrazione. Il tema della follia, come accennato, è di cruciale importanza. In un paradosso pedagogico, la vera follia si manifesta in chi sta attorno al mugnaio, più che nelle sue stranezze. Egli fa ciò che ritiene giusto, con un susseguirsi ingarbugliato di ragionamenti astrusi che però trova in sé una stupefacente coerenza interna.

Nella relazione del mugnaio con l’altro da sé, Paasilinna inscena un teatro equivoco, pieno di contraddizioni e fraintendimenti. La moglie di Siponen, uno di quei personaggi che si scaglierà a priori contro il protagonista, finge una malattia per semplice pigrizia: quando serve si alza, ma «improvvisamente si ricordò della sua malattia incurabile, si batté solennemente il petto e si accasciò al suolo, per trascinarsi poi nella sua camera con l’aria il più possibile paralitica. Là si mise a lamentarsi della malattia che l’aveva irrimediabilmente colpita, inchiodandola al letto per il resto della sua vita».

Tutti, insomma, sembrano prendersi gioco della sua ingenuità. Gunnar vivrà perfino la forte alienazione dell’internamento in ospedale, un manicomio dove incontrerà il subdolo Happola che si fa internare strategicamente per non andare in guerra. Quell’ambiente stordirà il povero mugnaio: «Huttunen si sentiva come un prigioniero senza reato, un condannato senza processo. Non aveva nulla per cui dovesse scontare una pena né alcuna speranza di riacquistare la libertà. Non aveva nulla – né diritti né doveri né alternative. Non aveva che i propri pensieri, una selvaggia sete di libertà che in nessun modo riusciva ad appagare. Huttunen aveva l’impressione d’impazzire in quella stanza». Una volta evaso dall’ospedale, Gunnar sarà perseguitato da quasi tutti gli altri personaggi con cui, a distanza, ingaggerà una lotta per la sopravvivenza, rifugiandosi nei boschi, da eremita: «Nella sua mente chiamò Punta di casa mia la lingua di terra che dava sull’ansa del fiume».

Paasilinna ha un passato da guardaboschi, con conoscenze botaniche e faunistiche che rendono le ambientazioni suggestive e realistiche. Quando il mugnaio latita e si forma un manipolo di uomini con l’obiettivo di trovarlo, in un processo di progressiva animalizzazione del protagonista, imitano una vera e propria caccia a un animale selvatico, si mimetizzano, si acquattano e attendono invano che la scaltra preda compia un errore.

Una volta tornato al villaggio non gli vendono cibo, gli negano i risparmi in banca e gli confiscano tutti i suoi averi. Passa sempre per il folle del paese, anche se sta solamente reagendo a un’ingiustizia perpetuata nei suoi confronti. Nel suo cammino incontrerà tuttavia anche dei cuori buoni, come quello di Piittisjarvi, che con una distilleria clandestina di acquavite, nascosta nel bosco e affidata alle premurose cure del mugnaio, cerca di sopravvivere a una normale vita da postino. Si aiutano a vicenda, un do ut des che diventerà un’amicizia sincera. Con la sua nuova cassetta della posta, seppur in esilio, Gunnar potrà spedire e ricevere lettere, studiare per corrispondenza, leggere i giornali: coltivare insomma un contatto con il mondo attraverso la forma scritta. Studierà alcuni libri tecnici con la speranza di fare una diagnosi della sua condizione esistenziale, avendo perciò consapevolezza della sua diversità esistenziale.

Nell’introduzione all’edizione italiana, Fabrizio Carbone scrive che «Paasilinna ancora una volta dimostra che la semplicità nel raccontare e nelle descrizioni è la sua dote migliore. C’è nel suo scrivere quel ritmo giusto che prende: la scansione del tempo legata all’operosità del fare. Manca di sovrastrutture, di forzature, di ricerche stilistiche, di intellettualismo, di paranoie. Affascina l’incalzare di un racconto che non è mai scontato, banale. Ma onesto, pragmatico, chiaro».

Arto Paasilinna è un autentico homo narrans, un narratore che attraverso la parabola discendente del mugnaio urlante ci fa riflettere sulla natura e sui rapporti tra gli uomini, sul conformismo e sulle anormalità, su tanto altro ancora, con la naturalezza che contraddistingue la sua scrittura.

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