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Nell’ultimo decennio sono nati blog, case editrici, testate e riviste che hanno sviluppato la cosiddetta letteratura sportiva di qualità, incentrata su lunghi approfondimenti originali e un linguaggio nuovo, scevro da sensazionalismi e verità assolute. Tra più influenti ricordiamo Grantland (chiuso nel 2015), The Ringer, Marti Perarnau all’estero e Rivista Undici, l’Ultimo Uomo e le pubblicazioni di 66thand2nd in casa nostra. A mutare non è stata solo la narrazione ma anche l’approccio analitico, ormai quasi scientifico, all’evento sportivo.

Come testo emblema del primo cambiamento, quello narrativo, potremmo citare Open, la biografia di Andre Agassi, oppure Giorni Selvaggi del giornalista premio Pulitzer William Finnegan.

Ma lo sport è stato influenzato anche e soprattutto dalla moltiplicazione di numeri e statistiche, che hanno modificato il modo di percepirlo sia da parte degli addetti ai lavori (ad esempio la valutazione dei singoli giocatori) che dai tifosi (come i fantasy sport).

Il primo pioniere di questa evoluzione analitica è stato Billy Beane negli anni Novanta, allora general manager della squadra di baseball degli Oakland Athletics. Fu lui il primo a capire l’importanza della valutazione statistica applicata al baseball, conosciuta come sabermetrica. La sua visione lungimirante consentì alla sua squadra, senza grandi mezzi economici a disposizione, di competere con altre più blasonate e munifiche. Da questa storia nascerà anche un libro, Moneyball di Michael Lewis, e un film, L’arte di vincere, con Brad Pitt protagonista.

La rivoluzione dei big data di Moneyball non è rimasta confinata al baseball. Oggi anche nel calcio, nonostante sia uno sport difficilmente misurabile e con molte più incognite (una delle condizioni necessarie per poter reperire dati utili è, infatti, la riproducibilità del fenomeno che si vuole studiare, e a differenza del baseball o del basket, il calcio è uno sport “a punteggio basso” e gli eventi che decidono una partita sono molto più rari) si utilizzano in maniera proficua lo studio delle statistiche. Lo stesso Lewis, sulle pagine del New York Times, affermava che «il virus che ha infettato negli anni novanta il baseball professionistico, l’uso delle statistiche per scoprire metodi nuovi e più efficaci per valutare giocatori e tattiche, si è fatto largo in tutti gli sport maggiori. […]Ogni sport ormai coltiva la propria sottocultura di cervelloni che non lo vedono solo come un gioco a cui partecipare ma come un quesito da risolvere».

A fare il punto sullo sport più diffuso del pianeta è Calcionomia, di Simon Kuper e Stefan Szymanski, edito da Il Saggiatore. Uscito originariamente nel 2009 (sotto il nome Calcionomica) e aggiornato in una nuova splendida versione tradotta da Alessandro Boggiani, è il libro che sintetizza al meglio quanto detto prima, la letteratura sportiva unita allo studio dei numeri. Szymanski è un’economista e ha una cattedra di economia sportiva alla University of Michigan; Kuper invece è uno dei migliori giornalisti specializzati in sport, ha pubblicato libri come Calcio e potere e Ajax, la squadra del ghetto. Il calcio e la Shoah e ha lavorato per testate quali l’Observer, il Guardian e ora il Financial Times.

Lo abbiamo intervistato, in esclusiva per Altri Animali, in merito a questa nuova edizione del libro, senza risparmiargli qualche domanda sullo stato attuale del mondo del calcio.

Come è nata l’idea di scrivere un libro come Calcionomia? Come sei entrato in contatto con Stefan Szymanski?
Stefan e io ci siamo conosciuti nel 2007 a Istanbul, in una conferenza sullo sport organizzata dal club del Fenerbahce. Ci siamo messi a chiacchierare e ci siamo resi conto subito che la pensavamo allo stesso modo sul modo di intendere il calcio. Eravamo scettici su molti “discorsi da bar” che si sentono solitamente, ad esempio questa squadra perde perché l’allenatore non riesce a motivare i giocatori; la Nazionale tedesca vince perché i suoi giocatori sono “cinici”, e così via. Non credevamo molto a questa roba. Stefan, che è un economista, aveva il know-how per confutare molta della sua conoscenza del calcio in relazione ai dati. Questo è il cuore del libro. È quello che volevo fare anch’io: introdurre un po’ di ragionevolezza nella conversazione sul calcio.

Più volte nel libro hai menzionato Bill James e il libro Moneyball. L’ossessione per le statistiche ha rivoluzionato il modo in cui analizziamo ogni sport, incluso il calcio. Quali sono stati i progressi più tangibili in questo campo? Quale sarà la prossima sfida per analizzare il gioco?

A quanto ho capito, la squadra più avanzata nell’uso dei dati è il Liverpool, e nonostante un budget salariale inferiore rispetto a molti altri club, sono gli attuali campioni d’Europa. Mi è stato detto che quando avevano bisogno di un nuovo attaccante, a Klopp fu data una lista di cinque giovani attaccanti che costavano meno di 30 milioni di sterline. Uno dei nomi nella lista era Salah. Ma a Klopp non piaceva nessuno dei nomi e chiese un nuovo elenco. Gli analisti di dati del Liverpool – molti dei quali hanno un dottorato di ricerca in materie come l’astrofisica – gli hanno dato un elenco di altri cinque nomi. “Questi sono anche peggio”, borbottò Klopp. Alla fine, ha accettato di acquistare Salah dalla Roma. Quando Salah si è rivelato un crack, Klopp ha ammesso agli analisti di dati che si era sbagliato. Il calcio sta imparando. L’analisi dei dati ora guarda allo spazio e al posizionamento: cosa stanno facendo i giocatori, dove stanno correndo quando non hanno la palla. Questa potrebbe essere la domanda più importante nel calcio, perché un giocatore mediamente ha la palla solo per circa 1 o 2 minuti a partita. Il calcio riguarda il controllo dello spazio.

Su Calcionomia ci sono critiche sul calcio passato e presente. Tra questi, dici che spesso i professionisti dei grandi club sono gestiti da incompetenti. Puoi darci un commento su questo? La situazione è cambiata negli ultimi tempi? Quale potrebbe essere un esempio di club virtuoso in Europa da emulare?

Il gioco è migliorato notevolmente, ora è più intelligente dentro e fuori dal campo, per esempio in medicina, nei metodi di allenamento (usando il GPS per monitorare i giocatori), nel fitness, nell’aiutare i giocatori e le loro famiglie a spostarsi con successo tra i vari paesi, usando i dati per le tattiche ecc. Liverpool, Manchester City e Bayern sono buoni esempi di club ben gestiti e molto moderni su questi aspetti. Tutti i grandi club stanno assumendo dirigenti istruiti, molti dei quali hanno lavorato in altri settori. Questa è una novità importante.

Il calcio sta diventando sempre più popolare in tutto il mondo. Nel libro hai parlato di India, Cina, Malesia come il futuro del gioco. E negli Stati Uniti stiamo assistendo ad un’ampia popolarità del soccer. Quali sono i fattori che hanno influenzato questa crescita?

La TV e Internet. 20 anni fa era molto difficile seguire il calcio europeo se eri in Cina o negli Stati Uniti. Ora i grandi club europei sono ovunque. Il futuro dell’economia mondiale – e anche del calcio – è in mano al consumatore asiatico e soprattutto cinese.

La Premier League con le sue ingenti entrate sta dominando nelle competizioni europee (l’anno scorso tre su quattro delle squadre semifinaliste in Champions League erano inglesi, oppure il derby di Londra tra Chelsea e Arsenal nella finale di Europa League). Questo potere economico creerà problemi nel prossimo futuro? La cosiddetta Super League può essere un buon compromesso per tutti i club europei?

Il Barcellona e il Real Madrid hanno dominato in Champions League tra il 2009 e il 2018, in gran parte grazie ai due fenomeni, Messi e Ronaldo, oltre che alla grande generazione spagnola dei Mondiali del 2010 ma anche perché questi due club hanno ottenuto un’enorme somma derivante dalle entrate dei diritti televisivi della Primera Liga. Ma ora Ronaldo se n’è andato, Messi sta invecchiando, la generazione del 2010 sta svanendo e le entrate della televisione spagnola sono state divise un po’ più equamente tra tutti i club. Quindi penso che la Premier League, con le entrate TV molto alte e in crescita, diventerà ora dominante, dopo la vittoria del Liverpool della scorsa stagione. Un’ipotetica Super League si potrebbe giocare solo nei fine settimana, perché solo allora puoi programmare partite che verranno viste in contemporanea in Europa, Asia e negli Stati Uniti. È il momento più redditizio per giocare, molto meglio del martedì o del mercoledì sera della Champions, quando gli asiatici dormono e gli americani lavorano. Ma la Premier League vorrà continuare a giocare le sue partite nei fine settimana, perché ha grandi entrate TV globali. Gli spagnoli, gli italiani e i tedeschi potrebbero invece essere disposti a giocare una Super League nei weekend, perché i loro ricavi TV sono inferiori rispetto a quelli di una potenziale Super League, al contrario degli inglesi. Ciò significa che probabilmente una Super League non vedrà mai la luce. La gente parla di una superlega europea da circa 50 anni e non è ancora successo. Penso invece che la Champions League continuerà a crescere, con posti più garantiti per i club di grandi campionati.

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