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Una leggenda del centro America narra che la morte depone un uovo nel corpo della persona che sta per portarsi via; si avvicina con l’accorto librare di un colibrì o l’indeciso zampettare di un passerotto: tutto dipende da quanto caro sia agli dèi il morente. 

In Streghe, edito per Alter Ego nella traduzione di Giulia Zavagna, Brenda Lozano racconta di morte, donne e magia.

In un’arcaica regione del Messico, a poca distanza dalla capitale, le curanderas offrono servigi agli avventori che si affidano a loro, ancestrali regine della medicina; in tempi in cui la scienza è scetticismo verso il mistero della malattia, loro, le streghe, dispensano il proprio sapere ai pazienti che temono il male tanto quanto ne rispettano l’ontologia. 

A dare voce al Linguaggio, cioè l’insieme di formule magiche anteriore alla diffusione della scienza moderna, è Feliciana, la curandera di San Felipe che amministra la locale medicina e deve tutto il suo sapere alla donna che l’ha fatta diventare una strega. La donna in questione è Paloma, la muxe che fu Gaspar. 

Come diceva sempre suo nonno Cosme, Gaspar cammina come se perdesse le piume; sa che gli abiti maschili non fanno per lui e i suoi capelli, così neri da sembrare blu come la notte, sono uno dei misteri di cui Feliciana subisce, quasi paralizzata, lo stupore.

L’uomo che vuole diventare donna è, per Lozano, il custode di un’evoluzione che riguarda tanto la fine quanto la rinascita: nel microcosmo non toccato dalla modernità di San Felipe, le muxes sono il terzo sesso a metà tra la morte e la resurrezione del corpo nel corpo, perché in esso si sostanzia il mistero del Linguaggio, quell’arcana conoscenza che non parla nessuna lingua, ma è tutte le lingue possibili. Mentre la sua anima è sempre stata pronta ad accoglierla, Gaspar muore dentro di sé per rinascere Paloma e la via di mezzo tra il prima maschile e il dopo femminile è un battito d’ali che, come il nome che ora la rappresenta, le permette di volare senza più gli abiti con cui è cresciuta. 

Diventare curandera è un percorso fatto di sofferenze personali e familiari, ma non tutte le donne possono intraprenderlo. Lozano racconta di una femminilità variegata, inerente alla persona che ne porta biologicamente i tratti e alla persona che, nata in corpo maschile, muta la sua biologia originaria integrandosi nel mondo circostante. Donna si nasce, ma si può anche diventarlo, come insegnano le muxes del centro America, sacerdotesse degli uomini. 

Streghe incarna bene la teoria di una sessualità umana fluida, un’apologia del manifesto transgenere che, oggi, è tra i temi più discussi e divisivi; la fluidità di genere è rappresentata da un assioma di base fondamentale, ossia che nasciamo persone ancor prima che maschi o femmine. La persona transgenere, dunque, sarebbe colei che può godere di un’unità quasi archetipica tra uomo e donna –  quella di cui, per intenderci, parlava Platone nel Simposio a proposito dei tre sessi umani poi divisi dall’arbitrio olimpico. Qualora l’anima rimanga ingabbiata in un corpo sbagliato, qualcosa dal profondo sbatte la ali per liberarsi.

«Il suo sguardo era cambiato rispetto a quando era Gaspar, da Paloma aveva gli occhi più allegri, la pelle e i brillantini avevano ancora quel suo spirito da ragazzo che trattava tutto con affetto e la sua voce dolce. Io avevo bisogno che mi rispondesse da curandero e mi ha detto Feliciana non rompere, sono muxe, vita mia, non chiamarmi Gaspar che suona come un colpo di tosse, chiamami Paloma che è così che mi chiamo e c’è un motivo se sono nata con le ali, perché ho delle ali dove altri hanno dispiaceri e timori, io a tutti questi signori gli dico ma perché vi portate appresso così tanti dispiaceri e timori se Cristo li ha già portati per voi bellezze, guardate come soffre sulla croce per voi e godetevi la vita che è bella, con la bocca dipinta di rosso però, che altrimenti il sorriso resta senza vestiti».

La femminilità, per Lozano, è quell’entità fantasmatica che regola i principi fisici del mondo e vi immette il caos di cui le curanderas rispettano il potere distruttivo, cercando di mediare con esso una soluzione ai mali che scatena nel mondo. Sono regolatrici dei rapporti tra gli esseri umani e la loro caducità. La femminilità, inoltre, è il riconoscersi tra sorelle, come Feliciana fa con Paloma, che non chiede di essere ammessa tra le donne, in quanto donna di per sé, ma di dimenticare il nome che l’ha rappresentata dalla nascita alla rinascita come muxe.

La fama di Feliciana comincia a spandersi in tutto il Messico e non solo, tutti vogliono conoscere questa curandera che riesce a svestire gli avventori dei loro abiti fatti di scetticismo e prosopopea borghese; l’unico modo per guarire è conoscere il Linguaggio, insegnatole da Paloma. Per approfondire la sua sapienza, si reca sul monte di San Felipe come uno Zaratustra al contrario: sale sulla montagna per pescare dei funghi prodigiosi che le consentono di vivere in mezzo agli uomini e alle donne.

Streghe è il romanzo della sorellanza polimorfa, acquisita e di sangue, come nel caso di Zoé e Leandra, due sorelle di Città del Messico. Zoé è brava a scuola, si guadagna da vivere lavorando fin da giovane e prosegue i suoi studi all’università; Leandra, invece, rifugge dalla buona condotta, è irrequieta, insofferente alla disciplina, ma leale e generosa. Sono antitetiche nei tratti, ma il quasi stupro di Leandra da parte di un ragazzo le rende protagoniste di un divenire comune. 

Zoé e Leandra sono attrici modernissime della contemporaneità, che sembra esigere da loro un modello (quasi) standardizzato di violazione del genere femminile. Il corpo della donna diventa il bersaglio del canone denigratorio maschile, che lo avvilisce verbalmente, e attua il suo protocollo attraverso la violenza sessuale. La sorellanza, così, diventa una comunanza tra donne nel sangue versato da chi è stata stuprata, come da chi, per pura grazia del caso, non lo è stata.

All’indomani dell’attentato al suo corpo, Leandra reagisce con la fermezza di chi non cede allo stupore dell’annientamento (se a stupore riconduciamo l’etimologia di stupro), nonostante Zoé sappia che, dietro al velo di cinismo della sorella, l’incredulità saltuaria del suo sguardo è un’incognita senza risposta su una violazione quasi realizzata.

L’altro aspetto della sorellanza è la permeabilità di Paloma e delle altre muxes, che apprendono da sé il polimorfismo di genere per mostrarlo ai non-muxes. I segreti dell’arte curativa sono narrati da Feliciana in un’intervista fatta da Zoé, mentre indaga come giornalista sull’omicidio di una donna avvenuto a San Felipe. Quando Zoé incontra la curandera, questa fa un resoconto dettagliato sul potere del Linguaggio insegnatole da Paloma, che, pur non sapendo né leggere né scrivere, conosceva più di quanto sapessero i dotti. Lozano rivisita il canone che vede opposti il mago (o stregone) colto e la strega, anziana analfabeta che amministra la natura. Nella prospettiva di un ribaltamento e di una legittimazione della sua figura nella modernità, la strega è la dispensatrice di saperi che non parlano nessuna lingua a eccezione del Linguaggio, e che la accomuna all’egocentrismo magico dei bambini. L’ego, per Paloma, è il mezzo del superamento di un corpo indesiderato e del riconoscimento del proprio essere all’interno di un mondo dominato da una virilità recalcitrante.

Lozano racconta di un essere donna interdipendente, che comprende la conoscenza dell’altra attraverso la conoscenza del sé, luogo in cui si sostanzia il Linguaggio. Per scoprire chi siano Leandra e sua madre, Zoé deve prima approfondire se stessa, così come Feliciana ha dovuto prima guardarsi dentro per capire chi realmente fosse Gaspar. L’incontro con Feliciana è un’epifania che Zoé non credeva di poter raggiungere, una rivelazione che, come riportato dalla ragazza stessa, non poteva attuarsi se prima non avesse appreso il Linguaggio. 

Streghe è la metafora magica di un mondo ancestrale che resiste alla dissacrazione moderna; le parole si oppongono alla violenza della virilità fallica, la più recalcitrante forma di rifiuto della femminilità. 

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