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Scrivere su di un libro di Ernaux è sempre una sfida all’ultimo sangue; da un lato c’è il timore di sminuire il significato di parole così vere e profonde e dall’altro quello di essere feriti dalle parole, così taglienti e nette, di una scrittrice che riesce sempre a rappresentare bene e in modo spudorato la società di un’epoca. Si è tentati di usare la prima persona per rendere intima questa recensione, come l’autrice ha fatto nel proprio libro, ma forse sarebbe meglio usare un noi generico, dato l’intento intimo/collettivo dell’opera che andiamo ad analizzare.

Guarda le luci, amore mio, pubblicato a marzo 2022, edito da L’orma editore, con traduzione di Lorenzo Flabbi, casca a pennello nel panorama editoriale italiano, dopo un periodo come quello che è appena trascorso. Come in ogni libro di Ernaux poco viene lasciato al caso, a partire dalla forma che l’autrice ha deciso di scegliere: il diario. Se si conosce un po’ l’opera ernausiana si sa che il diario, journal intime, è sicuramente la forma di scrittura più cara ad Annie Ernaux, forse perché è sempre da lì che prendono origine i suoi libri: dai suoi diari, dai suoi appunti, scritti qua e là, su fogli qualsiasi, come le famose papéroles di Proust.

Questo diario, tenuto dall’autrice, per un anno, tra il 2012-2013, riporta meticolosamente la sua ricerca, in parte sociologica, svolta all’interno del centro commerciale Les Trois Fontaines di Cergy, paesino della Valle d’Oise, a nord di Parigi. In queste visite, talvolta fughe dall’insoddisfazione della scrittura o della vita, fanno parte di quel progetto, che l’autrice porta avanti ormai da anni, di raccontare la vita, la quotidianità dell’individuo, in ogni suo aspetto.

«È stato senza esitare dunque che per “raccontare la vita”, la nostra, oggi, ho scelto, come oggetto gli ipermercati. Mi è parsa una buona occasione per riferire di una consuetudine reale – la loro frequentazione – senza ripetere i discorsi, abusati e spesso venati di avversione, che emergono quando si parla di questi cosiddetti nonluoghi, e che non corrispondono in nulla alla mia esperienza personale.»

Le tematiche affrontate nel libro, come sempre, sono molteplici, ma tenendo sempre un occhio ben puntato sul concetto di memoria. Stavolta non si parla di un evento storico o personale, ma il protagonista del libro − se così lo si può definire −è un luogo. Un luogo, o un nonluogo letterario, carico di significati e di eventi che costellano la vita degli individui, in particolare di quelli del XXI secolo.

All’inizio si è scritto che questa pubblicazione è calzante rispetto a ciò che abbiamo tutti vissuto ed è forse la prima considerazione da fare su questo libro e sul suo contenuto.

Perché Annie Ernaux ha scelto di parlare di un momento così asettico, a prima vista, della vita di una persona come l’andare a fare la spesa? Annotare con massimo rigore gli orari di apertura e chiusura di un ipermercato? Trasportare nella letteratura un luogo così socialmente ed economicamente definito? Studiare e rintracciare i momenti di massima affluenza di un centro commerciale, le abitudini alimentari, gli andamenti lavorativi dei dipendenti di un supermercato? Perché?

«Noto la netta differenza che c’è tra la clientela della sera – più giovane, più diversificata in termini etnici – e quella del giorno. L’orario è un fattore di segregazione tra le tipologie di popolazioni che abitano l’ipermercato. […] A partire dalle 17, afflusso di persone che staccano dal lavoro. Un ritmo rapido, convulso, si impadronisce del luogo. Scolari con le mamme. Ragazzini più grandi, liceali. Tra le 20 e le 22 qualche studente universitario, e rare in altri momenti della giornata, donne in abito lungo, velate, sempre accompagnate da un uomo.»

Tutto risiede in un intento sociologico, già presente nell’opera ernausiana, instillato dalla lettura degli scritti del sociologo-antropologo Pierre Bourdieu. Per Annie Ernaux quest’opera è un’occasione per far riflettere e riflettere a sua volta sul legame intrinseco tra la propria esistenza e la scrittura. Pietra miliare della scrittura ernausiana è sicuramente la dimensione intima/collettiva che risiede in ogni sua opera e che viene costantemente riproposta nei suoi libri. Vi è un dentro/fuori continuo nei suoi libri, da quelli più personali come La vergogna fino a raggiungere l’apogeo con Gli anni.

Il suo desiderio, anche in questo scritto, è quello di parlare a noi di TUTTI noi e lo fa introducendo qualcosa di imprevedibile come l’ipermercato che incarna il luogo di incontro per eccellenza, dove possono verificarsi avvenimenti anche poetici.

Non è stato forse proprio il supermercato a salvarci durante la pandemia? Le uniche persone viste per mesi erano quelle con guanti e mascherine che si trascinavano lentamente tra le corsie dei supermercati, intente a scegliere se preparare l’ennesima torta o darsi alla pazzia del bricolage. Non sono stati proprio gli occhi e le parole delle cassiere e dei cassieri che forse ci hanno confortato all’ennesima fuga da casa perché non si sopportava più il marito, il compagno, il figlio, il cane, il silenzio o il rumore assordante delle troppe preoccupazioni? Il supermercato è stato, sono certa, il luogo di incontro più amato dai cittadini, per diversi mesi; un posto in cui fingere che tutto andasse bene (tranne forse quando non c’era più farina per la crostata, mannaggia!), il luogo privato in cui ridere o piangere senza essere costantemente osservati dai famigliari, una scusa per incontrare gli amici che abitavano nello stesso quartiere. Il supermercato è stato la vita, cruda forse, ma vera.

«L’ipermercato è per tutti un luogo familiare la cui frequentazione è incorporata nell’esistenza stessa, ma il suo impatto sulle nostre relazioni con gli altri, sul modo in cui nel ventunesimo secolo “formiamo la società” con i nostri contemporanei, non viene quasi mai preso in considerazione […] in nessun altro spazio, pubblico o privato che sia, agiscono e convivono individui tanto differenti, per età, reddito, cultura, origine geografica ed etnica, stile di abbigliamento.»

Dall’estratto è presto detto quale sia l’intento principale della scrittrice: il voler attribuire un’identità reale, vivida e forte di chi (la gente comune) e di cosa (ipermercato), normalmente, resta invisibile alla società. Dare alle persone lo spazio che occupano nell’ipermercato è una metafora per offrire lo spazio che l’ipermercato merita nella letteratura del XXI secolo, per dimostrare quale dovrebbe essere uno degli obiettivi della letteratura contemporanea: raccontare la vita, quella vera, come recita la scritta rossa tra gli scaffali del self-discount.

La domanda sorge spontanea: come fare a raccontare la vita vera all’interno di un supermercato? Annie Ernaux con il suo stile epurato, fatto di liste e osservazioni pungenti e precise, crea una scrittura semplice e incisiva, ma ideale per riuscire nel suo intento. Ci riesce in modo impeccabile ed è così che il supermercato guadagna il suo status nobile e poetico, come sta succedendo anche in molti film e serie tv, si pensi alla puntata di Modern Love in cui Anne Hathaway fa un incontro galante proprio al reparto frutta. Se scaviamo a fondo troviamo diverse motivazioni per cui l’ipermercato ha in sé tutta la dignità per entrare a far parte del mondo letterario, è il luogo che ospita, talvolta, i momenti più intimi delle persone. La prima spesa di coppia, l’acquisto delle candeline per una torta di compleanno, la scoperta di un figlio forse, le prime compere scolastiche (in Francia di sicuro), l’acquisto di una bottiglia per festeggiare una grande novità o la banalità più grande, la solitudine. Quante volte ci siamo ritrovati a pensare questo? Quanti di noi amano andare a fare la spesa e lo vedono come un luogo di evasione?

Tra gli appunti di Ernaux non mancano però altre osservazioni di carattere sociale: come funziona il lavoro di una cassiera, il ruolo che ricopre, il rischio di sparire con l’arrivo delle casse automatiche e di conseguenza la perdita dell’unico momento di socializzazione e comunicazione durante la propria spesa. Quanto spesso capita di scambiare due chiacchiere con il vicino di coda, mentre si tenta di fare il giocoliere con i prodotti perché si è stati troppo impavidi da non prendere un cestino? A chi non è mai capitato di rivolgere due parole alla cassiera, dopo le fatidiche domande della carta fedeltà o del numero di buste desiderate? Ernaux mette in risalto anche questo aspetto umano, questa considerazione. E ancora, l’autrice riflette su quanto effettivamente si sia liberi e non assoggettati dal gusto e dai diktat della società di consumo. Viviamo in una società dove non esiste più il desiderio, perché esso viene quasi sempre esaudito. Tutto viene comprato, tutto si finge alla portata di tutti, comprare sembra essere diventato un dovere e non più una possibilità. Tra i disturbi compulsivi, i social con i loro influencer che ci iniettano costantemente il loro virus del consumo costante perché assolutamente irrinunciabile e necessario, ci si sente quasi in colpa o vuoti se si esce dal supermercato o da un negozio senza aver fatto acquisti. 

E infine anche in quest’opera compaiono le considerazioni sulle distinzioni di genere, talmente banali e vere da renderle quasi imbarazzanti e invisibili agli occhi del consumatore o del lettore. Come l’ipermercato non ha dignità per assurgere a luogo poetico così è per la donna di casa −o non − che fa la spesa, la famosa casalinga, ben truccata e vestita, con le perle, felice con il suo caddie di andare a comprare il cibo che tutta la famiglia consumerà.

«I supermercati sono collegati alla sussistenza, roba da donne, che infatti ne sono state a lungo le principali avventrici. E ciò che rientra nello spettro delle attività più o meno specifiche delle donne è tradizionalmente invisibile, non preso in considerazione, come d’altronde lo è anche il lavoro domestico che svolgono. Ciò che non ha valore nella vita non ne ha nemmeno in letteratura.»

Questo passaggio è di un’atrocità così sconcertante da dover essere riletto per capirne fino in fondo il suo messaggio. In questo libro l’autrice non fa altro che sottolineare in modo evidente, concetti che ormai sono démodé, ma che in realtà non sono mai diventati di moda. Il supermercato è stato per anni ed è ancora oggi − non sempre e non per tutti −, territorio femminile, luogo di conoscenza suprema delle donne, che sanno barcamenarsi da una corsia all’altra sapendo già cosa cucineranno e cosa occorre in casa, nella quale, probabilmente, abitano anche degli uomini. E invece è con ironia che Ernaux ci fa notare, come accade ancora oggi, che gli uomini vadano in panico nel comprare la farina giusta, come a dimostrare che non abbiano mai cucinato una torta o una pizza e che di conseguenza non sappiano quale sia la farina adatta a quel tipo di preparazione. Ma la differenza di genere non risiede solo in questo: la si trova anche nei reparti di cancelleria e varie dove già dalla tenera infanzia si compra per l’ometto il diario con l’uomo-ragno e alla bambina il vestito da principessa per carnevale!

All’inizio di questo articolo si era scritto che l’autrice teneva un occhio ben puntato verso il concetto di memoria ed è così che concludiamo la nostra analisi. La memoria è e rimane il tratto distintivo dell’opera ernausiana. La volontà suprema di lasciare una traccia, ricostruire un ricordo, affinché non scompaia nell’oblio, “salvare le immagini che presto spariranno”. Questo intento di ricerca archeologica sociale, definita anche auto-socio-biografia, è presente anche in questo romanzo. Fin dalle prime pagine Annie Ernaux si dichiara al lettore, confessa che l’ipermercato è uno dei luoghi della sua memoria e qui posso affermare anche della mia.

«Scegliamo i nostri oggetti e i nostri luoghi della memoria, o piuttosto è lo spirito dei tempi a decidere ciò che val la pena di essere ricordato. I libri, l’arte, i film contribuiscono a elaborare questa particolare forma di memoria. Gli ipermercati […], stanno cominciando soltanto ora a figurare tra i luoghi degni di avere una loro rappresentazione. Eppure quando ripenso al mio passato mi rendo conto che a ogni periodo della mia vita sono associate immagini di centri commerciali, con aneddoti, incontri, persone.»

Questi nonluoghi sono diventati in questo libro dei luoghi di memoria collettiva e privata a tutti gli effetti, hanno ricoperto il ruolo di “attivatori di memoria”, compito che nelle altre opere dell’autrice svolgono la musica, i film, gli eventi storici, le fotografie…

Gli ipermercati suscitano pensieri, fissano nel tempo ricordi e sensazioni forti, che creano una parte della nostra memoria e la aiutano a essere più vicina al reale. E perciò come Annie Ernaux anch’io, dopo la lettura di questo libro, ho preso carta e penna e, alla maniera dello scrittore Georges Perec, ho scritto “Io ricordo…” e tutti i supermercati della mia vita, in Italia e fuori, sola o in compagnia e i ricordi sono affiorati, a decine, alcuni ben lucidi, altri che necessitavano di essere guardati alla luce di un neon, forse del supermercato.

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