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Il nuovo libro di Marco Archetti, edito da Mondadori a marzo di quest’anno con il titolo La luce naturale, è un testo agile e solo apparentemente leggero che sfrutta queste prerogative per affrontare tematiche e situazioni drammatiche che, nel corso della lettura, si fanno molto più cupe e dense di quanto non ci si aspetti. In particolare, racconta il momento in cui non si è più capaci di controllare la tensione accumulata durante tutta una vita e, semplicemente, la si lascia esplodere. 

I protagonisti di questa storia sono i tre Calore: Flavio, quarantacinquenne fedifrago e attore di discreto successo con il sogno di interpretare il ruolo che lo consacrerà ai più importanti palcoscenici; Tiziana, fresca di ingresso negli anta, un marito di cui non è innamorata e una figlia di cui invidia la giovinezza; e poi Gabriele, 38 anni di illusioni mal gestite e incomprensioni sentimentali che lo hanno portato a essere l’unico a occuparsi del figlio dodicenne disabile. A rendere ancora più instabili le vite dei tre, una notizia che li scuote più di un terremoto: durante la sua abituale vacanza sul litorale veneto, la madre è caduta in uno stato vegetativo a causa di un malore improvviso. Il medico le ha dato pochi giorni di vita. Insomma, la classica notizia che ti costringe a fare i conti con la tua vita e il tuo passato. Tutti e tre, allora, abbandonano – non senza rimpianti – i loro impegni e si ritrovano chiusi nella camera numero 236 di un albergo a Eraclea per raccogliersi intorno al capezzale della genitrice morente. 

I Calore hanno trascorso in quell’albergo tutte le estati della loro adolescenza: per loro, in fondo, si tratta di un ritorno nel luogo della memoria familiare, quella che spesso viene vissuta con nostalgia e sentimento, sempre ricordata meglio di come è effettivamente stata. Almeno, per Tiziana è così: per lei, quel luogo ora rappresenta un sogno non ancora sfumato, una possibilità che potrebbe ancora realizzarsi, un modo per scappare dalla sua famiglia e immaginarne un’altra con il gestore dell’albergo, lo stesso a cui ha promesso di non far trapelare alcuna notizia sulle condizioni della madre morente per non turbare la tranquillità degli altri clienti. Per Flavio, invece, la visita a Eraclea è solo un incidente di percorso: il suo obiettivo è quello di convincere il direttore del teatro di Venezia a investire su di lui e sul suo grande spettacolo, l’unico modo per conquistare finalmente il successo che merita. Non sopporta di dover sprecare il suo tempo al fianco della sorella acida che gli urla addosso e del fratello inconcludente che non sa fare altro che sudare senza riuscire a prendere una decisione o, sia mai, dimostrarsi utile. In cuor suo, Gabriele sa che il fratello maggiore ha ragione. Vorrebbe confidarsi con lui a proposito del suo ultimo progetto, un piano da studiare bene ma che può portare grandi soddisfazioni: insieme a un amico fidato, Gabriele ha deciso di rapire un ex giocatore di serie A – per la precisione un ex portiere del Torino – e chiederne il riscatto; una cifra non troppo esosa, onesta, qualcosa che la famiglia si possa permettere senza dover chiedere aiuto, ma che gli garantisca un bel futuro. Ogni volta che ci pensa, Gabriele si immagina finalmente in vacanza con il figlio, mentre galleggiano in qualche piscina senza smettere di ridere.   

A rendere più complicata una situazione già sull’orlo del baratro, è l’arrivo dei parenti stretti dei fratelli: la moglie di Flavio e il marito e la figlia di Tiziana. Ma se ognuno dei protagonisti ha giù fatto appello a tutte le forze a disposizione pur di non scoppiare, riusciranno i nostri eroi a mantenere ancora la calma di fronte a quest’ennesimo cambio di scenario? Ovviamente, no. In pochi giorni ogni nodo viene al pettine: i tradimenti di Flavio vengono smascherati, così come la patologica esigenza di attenzione di Tiziana, impossibile da soddisfare. Ma a comunicare il più grande dispiacere sarà Gabriele, quando rivelerà loro che l’ambita eredità della madre è già sfumata via. Finiti i soldi, e con loro ogni speranza in un avvenire quantomeno più roseo, i tre Calore non hanno nemmeno più la forza di odiarsi, sono dei corpi vuoti che vagano sospinti dal vento senza una meta o uno scopo preciso.   

La luce naturale sembra una storia piccola, circoscritta sia a livello di tempo che di spazio: la vicenda non occupa più di una settimana e si dipana quasi tutta nei dintorni dell’albergo di Eraclea, se non direttamente dentro la stanza 236. Sono proprio questi elementi, però, a renderla molto più profonda di quanto possa sembrare dal racconto dell’intreccio. Per costruire narrazioni del genere, chiuse nelle quattro pareti di un’abitazione, occorre una scrittura tanto precisa da essere intesa come una strategia, nel senso proprio della capacità di muovere i personaggi tra gli spazi angusti come fossero pedine, farli scivolare nei corridoi e scomparire dietro una porta. È un’abilità di cui non tutti gli scrittori dispongono. Alla memoria tornano innanzitutto le pagine de La morte e la fanciulla, il testo teatrale di Ariel Dorfman che ha debuttato al Royal Court Theatre di Londra nel 1991. Nonostante le palesi differenze di trama, queste due opere si somigliano da un punto di vista narratologico e drammaturgico. Infatti, Archetti è anche un prolifico autore teatrale e in quest’occasione ha dovuto effettivamente «mettere in scena» i suoi personaggi, adattandoli a un palcoscenico davvero ridotto: l’impegno maggiore di opere in cui le unità di luogo, tempo e azione sono talmente circoscritte, è quello di controllare la tensione e dosarla nei momenti giusti, creando così un movimento a fisarmonica che accompagna il lettore fino all’ultima pagina. Il merito è sicuramente anche dello stile: semplice, privo di lirismi fini a sé stessi, puntuale nelle descrizioni ma capace di diventare suggestivo proprio con il non detto. L’autore bresciano non appesantisce mai la pagina perché riesce a trasmettere le storie dei suoi protagonisti con poco, ma l’intenzione non è quella di permettere al lettore di affezionarsi ai tre fratelli Calore, anzi: in queste pagine viene concesso di osservare la vita di una famiglia e desiderare, senza nessuno scrupolo, di non farne parte. 

 Archetti è capace anche di momenti più cinici, in cui si lascia trasportare da una ironia nera concentrata soprattutto nel personaggio di Flavio, che funziona perfettamente in contrasto alla ingenuità di Gabriele. Ma soprattutto, nella sua scrittura c’è la possibilità di cambiare repentinamente registro e portare il lettore nella dimensione della narrativa più pura, in cui si ritrova ha la possibilità di immergersi dentro l’anima di un altro individuo e, almeno in questo caso, capire il modo in cui sta per infrangersi. Un’ultima considerazione: La luce naturale è un romanzo che avrebbe potuto facilmente porre le sue basi sulla narrazione della malattia e sui suoi mille risvolti, sulla perdita di un genitore e sul senso di spaesamento di figli che nonostante la loro età sono tutto tranne che adulti. E invece sceglie la via della scrittura di qualità, dell’affabulazione, e in sole 168 pagine – dettaglio da non sottovalutare – accompagna il lettore all’interno di una storia evitando qualsiasi scorciatoia e puntando lo sguardo verso quei dettagli di cui, di solito, sono in pochi ad accorgersi.

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