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«Non posso lasciar passare questa guerra senza forgiare nel mio cuore l’arma che sconfiggerà la morte. Diventerà tormentosa e subdola, adeguata alla morte». Con questo proponimento Elias Canneti iniziava nel 1942, nel cuore della Seconda Guerra Mondiale, gli appunti che andarono a formare l’inconcluso e inconcludibile Libro contro la morte, che lo avrebbe tenuto impegnato fino agli ultimi giorni della sua vita. Nello stesso periodo in cui Canetti iniziava il lavoro sulla sua opera volutamente postuma, e, per l’esattezza, il 28 gennaio 1939, spirava a Roquebrune-Cap-Martin il leggendario poeta William Butler Yeats.

«Under bare Ben Bulben’s head/In Drumcliff churchyard Yeats is laid/An ancestor was rector there/Long years ago; a church stands near/By the road an ancient Cross/No marble, no conventional phrase/On limestone quarried near the spot/By his command these words are cut/Cast a cold eye/On life, on death/Horseman, pass by!»[1].

Nell’ultima poesia che Yeats riuscì a scrivere, già sofferente di quella che allora si chiamava febbre maltese, non mancava nemmeno l’indicazione testamentaria del luogo dove seppellirlo e della lapide da apporre sulla sua tomba: e dopo un’iniziale sepoltura presso il cimitero di Roquebrune, il piccolo centro francese dov’era morto, nel 1948 la sua salma venne trasferita in pompa magna presso Sligo, in Irlanda, la città originaria della madre del poeta, proprio ai piedi di quel monte Ben Bulben che aveva dato il titolo alla sua ultima poesia. Nel 2015 subentra però la rivelazione: documenti d’archivio risalenti al periodo della traslazione della salma rivelano che Yeats nel 1939 era finito sepolto in una fossa comune, e che pertanto sulle pendici del Ben Bulben sono arrivati probabilmente un gruppo d’ossa alla rinfusa. Prendendo spunto da questa notizia di cronaca letteraria e sepolcrale, la scrittrice francese Maylis Besserie ha costruito il suo secondo romanzo, I dispersi amori, portato in Italia da Voland.

Maylis Besserie ha esordito qualche anno fa con uno straordinario romanzo sugli ultimi mesi di Samuel Beckett a Parigi, L’ultimo atto del signor Beckett, pubblicato in Italia anch’esso da Voland: l’ambizione e la scommessa riuscita de L’ultimo atto del signor Beckett stava in una prosa fortemente mimetica non tanto dei drammi teatrali che conferirono la notorietà internazionale all’espatriato per eccellenza della letteratura del Novecento, quanto dei suoi primi e meno noti romanzi, opere come Molloy, Malone muore, L’innominabile. Se L’ultimo atto del signor Beckett faceva simbolicamente risorgere lo stile e l’immaginario di uno scrittore per raccontarne gli ultimi momenti di vita, I dispersi amori tenta attorno alla fine di Yeats un’operazione non meno complessa: alternare un resoconto a tratti da reportage delle ricerche documentali e delle inchieste giornalistiche per verificare se il corpo sepolto a Sligo sia veramente quello del poeta, alla rievocazione, da parte del fantasma di Yeats, della sua storia d’amore con Maud Gonne, sullo sfondo delle lotte per l’indipendenza dell’Irlanda. Un terzo volume a firma della Besserie e dedicato alla morte di un altro celebre irlandese del Novecento, il pittore Francis Bacon, è apparso pochi mesi fa in Francia con il titolo de La nourrice de Francis Bacon.

«My dear Maud, tormento della vita mia in cui sei comparsa il 30 gennaio 1889, giorno benedetto, giorno maledetto, sul tuo calesse tirato da un gran purosangue con gli zoccoli neri…». Con queste parole il fantasma di Yeats – il cui racconto in prima persona è differenziato dal resto del testo del libro con l’adozione di un diverso carattere tipografico – inizia il suo racconto romantico e cupo di una delle storie d’amore più turbolente di tutta la mitologia letteraria del Novecento. Qua e là Yeats rievoca altri momenti cruciali della sua vita e del suo percorso da poeta, ma al fantasma sembrano non importare molto le glorie: «alla fortuna si affiancava, immancabilmente, l’insopportabile dolore del mio amore inappagato. Questione di proporzioni, immagino, di calcoli sapienti in terra celeste. Ahimè, non ero che poeta: avrei dovuto fare il matematico».

Basta immergersi di poco nella produzione di Yeats per accorgersi che l’irlandese fu molto più di un poeta, se mai forse uno degli ultimi mistici d’Occidente – il sistema mitologico-astrale espresso nel controverso Una visione potrebbe competere con la cosmogonia delle sette gnostiche dei primi secoli. Non per nulla tra le ragioni addotte da Maud Gonne per rifiutare le reiterate proposte di matrimonio del poeta c’era anche l’incompatibilità religiosa tra una cattolica convinta e un irriducibile e personalissimo eretico – anche se Yeats, nel romanzo della Besserie, se la immagina regredire a una visione egizia della morte e dell’aldilà dopo la scomparsa prematura di uno dei figli avuti dal marito John MacBride – un altro figlio della coppia, Seán MacBride, avrebbe vinto il Nobel per la pace nel 1974.

«Insomma chi turba le mie ceneri? Le mie spoglie di poeta mal sepolto, la mia polvere? Cercano quanto io stesso ho tanto cercato prima di trovarlo? Il mondo intessuto di sogni, le stoffe ricamate dei cieli in cui si riflettevano le mie carte?». A ben vedere I dispersi amori di Maylis Besserie coglie un grado zero della letteratura in un senso molto diverso e molto più antropologico di quello indicato da Barthes: il carattere apotropaico, di sconfitta della morte, della scrittura e della cultura tutta, emerge in un chiarore particolarmente cristallino in questo piccolo libro, che nella sua polifonia di voci fa luce sulla componente anche esorcistica della letteratura. Scrivere per essere letti dopo la morte, scrivere per sconfiggere la morte come voleva Canetti, scrivere per oltrepassare la morte in un mondo in cui la comunità e i suoi riti già sono venuti scemando, come avrebbe teorizzato e fatto l’antropologo Ernesto de Martino: la stretta parentela tra scrittura e morte, tra libro e tomba viene riscoperta dalla Besserie in una maniera genuina, mai dissacrante, ma certo realistica e mai idealizzante nei confronti degli scrittori di cui narra il morire, il vivere e l’essere oggetto di contesa fin oltre il trapasso.

«In ogni vita si possono trovare i morti dei quali uno si è nutrito. In uomini delicati, buoni, rozzi, cattivi – dovunque troviamo i morti di cui si è abusato. Come può sopportare la vita uno che sa questo di sé? Prestando la propria vita ai propri morti, non perdendola mai e così perpetuandoli», scriveva Elias Canetti in un altro dei frammenti del Libro contro la morte. Parole così aiutano a interpretare il senso profondo di un’operazione come quella della trilogia post mortem della Besserie. La storia della letteratura è sempre stata una storia di fantasmi, di trasmissione di intuizioni, stili, idee, linguaggio, grandi tendenze della forma che spesso saltavano intere generazioni, seguendo tutte le irregolarità di una tradizione che si irradiava unicamente sulla carta. Yeats i fantasmi della letteratura e della mitologia li ha sempre evocati, sprofondando in visioni via via sempre più complesse e sempre più vicine a un ideale archetipico e tradizionale di umanità che poco tempo dopo la sua morte sarebbe scomparso per sempre – e adesso che la mitologia ha ceduto il posto, quando va bene, alla mitologia della cultura, è lui, l’evocatore, ad essere evocato, dalla carta, sulla carta. L’automito del Novecento come era di progresso e di assoluta modernità ha generato anticorpi che sono voluti tornare indietro verso il mito, verso la sapienza tradizionale, oppure verso la tragedia, una tragedia di corpi sfatti e implacabili silenzi. Forse questo è quello che davvero accomuna i tre spettri evocati dalla Besserie, molto più della comune origine irlandese e dell’altrettanto comune impulso all’espatrio: l’appartenenza irrequieta al secolo breve.


[1] “Sotto la testa nuda di Ben Bulben/Nel cimitero di Drumcliff viene posato Yeats/Un antenato era rettore lì/Molto tempo fa, una chiesa si trova vicino/Sulla strada un’antica croce/Nessun marmo, nessuna frase convenzionale/Su calcare estratto vicino al punto/Con il suo comando queste parole sono tagliate/Dai un occhio freddo/Sulla vita, sulla morte/Cavaliere, passa!”

One Comment

  • age of war ha detto:

    Infine, l’idea che i tre autori evocati dalla Besserie siano accomunati dall'”appartenenza irrequieta al secolo breve” è molto suggestiva e apre a una riflessione sul loro rapporto col proprio tempo.

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