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Alessandro Manzoni e Dante Alighieri rinasceranno killer sanguinari, per giustiziare chi abusa della lingua italiana – utenti social e fautori dei vari habbiamo, okkupare e saprebbi.

Maria Antonietta di Francia è già tornata, è una donna molto semplice che per sé non compra mai nulla, al massimo un foulard o una sciarpa, di tanto in tanto. Tutto il resto lo devolve in beneficenza. Anche Marylin Monroe è qui tra noi, ha già superato la quarantina, rifiuta di tingersi i capelli o di indossare il reggiseno, balla a piedi nudi durante i rave ed esce con giovanotti che hanno la metà dei suoi anni.

Va bene, non so se le cose stiano veramente così, ho tirato a indovinare. È affascinante pensare che prima o poi si ritorna, perché una vita sola non basta, ce ne vogliono centinaia o forse migliaia. Si muore, si rinasce e si ricomincia sempre da dove si è lasciato, chiudendo vecchi conti e reiterando antiche manie.
Questo, almeno, è quanto sostengono le varie teorie sulla reincarnazione, un argomento presente nelle religioni, nei miti e nella letteratura di tutto il mondo (ne parla anche Gesù nel Vangelo secondo Giovanni).

Una teoria che ha sempre suscitato perplessità. Vogliamo crederci davvero? Bè, si provi a confrontare una foto di Edgar Allan Poe con una di Dario Argento (quando era un po’ più giovane). Certe somiglianze, qualche dubbio lo fanno venire.

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Fatto oggettivo o castroneria, non importa. Il problema vero, secondo Margaret Atwood, è l’impatto che la teoria delle vite passate ha sulla vita presente, l’unica di cui si può essere certi.

«Il vantaggio di avere una vita passata è che si ritorna sulla terra con la possibilità di far sì che le cose questa volta vadano meglio.» Nonostante le loro buone intenzioni, le amiche protagoniste del racconto Pretend Blood (ripubblicato dall’Independent in UK) non ce la faranno a superare dissapori e screzi di quattrocento anni prima.

Quando Sal confessa a Marla di essere la reincarnazione di Cleopatra, quest’ultima si sforza di non riderle in faccia. L’amica non ha niente della bellezza esotica: ha trentacinque anni, è paffuta e mostra pure una leggera pappagorgia. Ma poi, quando Sal-Cleopatra ritrova Marco Antonio, un uomo vecchio ma ricco sfondato, Marla capisce che c’è poco da ridere. Forse è proprio il caso di provare Past Lives (Vite Passate), il sito web che interconnette i reincarnati – ma che in realtà funziona come un normale sito di appuntamenti.

«Come hai capito di essere Cleopatra?» chiede Marla.

«Non so, l’ho capito e basta» risponde l’amica. «La prima volta che ho visto una piramide, cioè la foto di una piramide, mi è sembrata così familiare. E poi, ho sempre avuto la fobia dei serpenti.»

Gli utenti di Vite Passate sanno di essere stati qualcun altro, oppure lo scelgono, non importa. Le identità precedenti diventano alter ego, maschere da indossare nelle interazioni quotidiane, in rete e non. E tutto va bene fin quando si flirta, si chatta, si stringono amicizie.

Però, quando le istanze e i bisogni della vita precedente diventano più importanti di tutto, quando ci si rende conto che l’umiliazione di una condanna a morte non è mai stata smaltita nei secoli, Vite Passate può diventare un gioco pericoloso.

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Pretend Blood è un racconto brillante, scritto da una cui non sfugge proprio nulla della società e delle sue contraddizioni.

Pensiamoci un attimo: viviamo negli anni dell’interconnessione funzionale tecnologica. Oggi è possibile connettersi con qualunque parte del mondo in pochi secondi, ma allo stesso tempo la curiosità dell’ignoto non è mai stata così forte. Mai la nostra società aveva sentito il bisogno di partorire figure professionali come quella del couch o del guru. E le librerie moderne comprendono tutte una sezione – spiritualità – aggiornata mese dopo mese, con testi che affrontano misteri comprovabili quanto l’esistenza di Babbo Natale: l’universo quantistico, la legge di attrazione, le anime gemelle, l’angelologia, i bambini cristallo e i bambini indigo.

In un mondo così, la penna della Atwood si muove impietosa come una spada, giungendo alla disincantata conclusione: se è vero che ce li abbiamo, meglio non usare anima e spirito come alibi delle nostre azioni infami.

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