L’horror di Andrea Niada esplora il rapporto madre-figlia tra inquietudine e soprannaturale
«Due cose nella vita sono certe, intrecciate indissolubilmente: la mente riflette il mondo, e il mondo riflette la mente.»
Philip Glimm
L’Italia è stata indiscutibilmente la patria dei film “di genere” almeno dagli anni ‘60 alla fine degli anni ’80. Numerosi e venerati dagli appassionati di tutto il mondo sono stati i cult, dagli horror ai polizieschi, senza dover per forza citare gli spaghetti western. In questo solco tracciato nel secolo scorso cerca di inserirsi Home Education – Le regole del male, un film horror uscito nelle sale sul finale del 2023 diretto e sceneggiato da Andrea Niada. Il film è ispirato al cortometraggio omonimo dello stesso Niada del 2016 ed è il suo lungometraggio d’esordio. Prodotto da Warner Bros Italia con Indiana Production e BlackBox Multimedia, il film è ambientato nella regione dell’altopiano della Sila, dove è stato anche girato con il sostegno della Calabria Film Commission. Proprio i paesaggi, le sensazioni che suscita e i temi sviluppati, lo rendono assimilabile al sottogenere del folk horror che negli ultimi anni ha sfornato successi come The VVitch di Robert Eggers, Midsommar di Ari Aster e Men di Alex Garland (tra i tre il preferito di chi scrive).
Il film inizia con Philip Glimm che, seduto nel buio della notte, usa un corno con cui emette un sinistro richiamo. Entriamo quindi nella vita quotidiana della sua famiglia. Rachel Glimm (Lydia Page) è un’adolescente cresciuta isolata, istruita in casa e tenuta lontana dal resto del mondo, a cui sono permesse alcune escursioni nei boschi e di stare in macchina mentre la madre fa la spesa. L’oppressiva madre Carol (Julia Ormond) è l’unica persona con cui gli è permesso interagire, mentre il padre Philip (Salvatore De Santis) è via da casa; le due comunque ne stanno preparando il ritorno. A Rachel viene impartita un’istruzione domiciliare, ma allo stesso tempo le vengono insegnate regole e principi esoterici, fondamentali per permettere al padre di trovare la via del ritorno a casa, perché egli è in realtà morto e in cerca di una porta per tornare dall’aldilà. Rachel e Carol vivono infatti con il cadavere del padre, costantemente curato affinché al suo ritorno possa riprenderne possesso e rianimarsi. Le parole chiave sono “non dubitare”: è infatti il dubbio sulla riuscita del rito che potrebbe tenere lontana l’anima del padre e non permetterle di ritrovare la strada verso il corpo. La sparizione di Philip desta preoccupazione nel macellaio presso cui è impiegato, tanto da mandare il figlio Dan (Rocco Fasano) a chiedere spiegazioni. Rachel inizia a mettere in discussione le regole imposte dalla madre e nella surreale tranquillità di quella famiglia si fa spazio l’amicizia con Dan, anche grazie alla musica heavy metal che piace al ragazzo, legame che per la madre rappresenta una minaccia all’ambiente familiare, ma soprattutto al ritorno del marito Philip. Partendo dalla tranquillità iniziale, il ritmo aumenta esponenzialmente nel terzo atto, catalizzato dall’invito-trappola di Carol a Dan, che una volta a casa viene informato che tutte le strane cose raccontate da Rachel durante i loro incontri nei boschi sono frutto delle patologie mentali della ragazza. Da qui un’escalation di eventi che ci porterà a chiederci se questa versione della madre è quella reale, o se in effetti non ci sia del soprannaturale nelle percezioni di Rachel.
Il lungometraggio di Niada si sviluppa attorno a due temi principali: il rapporto tra la madre Carol e la figlia Rachel e gli elementi magici e ultraterreni. Rachel viene educata in casa, è la madre a farle da insegnante, controllando quindi il sapere della figlia in ogni ambito della conoscenza. Non stupisce quindi che il regista abbia citato anche Dogtooth di Lanthimos tra le sue fonti di ispirazione, film in cui una famiglia vive reclusa in casa, con il padre unico avventore nel mondo esterno. La preoccupazione della madre per l’amicizia che vede nascere tra Rachel e Dan si esemplifica quando Carol insegna alla figlia che qualora vedesse il ragazzo durante le sue escursioni nei boschi dovrebbe urlargli in faccia «Vaffanculo!», «che è come un incantesimo, e i ragazzi ti lasciano in pace, soprattutto se lo dici molto arrabbiata». Rachel non ha mai sentito quella parola ma Carol vuole che ora lei la impari perché i ragazzi «ti vogliono levare tutti i vestiti che hai addosso e toccarti dappertutto».
I Boschi, i paesaggi ma anche il sonoro, contribuiscono alla creazione di un’atmosfera inquietante in cui gli elementi soprannaturali non sono mai veramente confermati in pieno. Quando sentiamo gli effetti del richiamo del corno che utilizza Rachel, quando ci appaiono visioni ultraterrene e inquietanti, stiamo sperimentando la realtà attraverso le sensazioni proprie di Rachel. Dan, che recita la parte del mondo esterno alle credenze della famiglia Glimm, non sente i suoni del corno, finge, come scusa per poter conoscere la ragazza. A impedire al sistema di credenze di vacillare è Carol, che richiama più volte Rachel a convincersi che il padre tornerà, progressivamente scivolando nella posizione di chi è costretto a ripetersi i propri dogmi perché è lei che sta dubitando.
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Gli eventi che seguono si intensificano al punto che ci chiediamo se le percezioni di Rachel siano soprannaturali o se questa versione della madre sia quella autentica. geometry dash