1. LUOGHI D’AUTORE
Questa rubrica si chiama Luoghi d’autore. Ma cos’è un luogo d’autore? Una casa, un museo, un edificio storico? E perché è importante ricordarlo? Si potrebbe dire che un luogo d’autore è un luogo dove risiede o ha risieduto un personaggio di una certa rilevanza; un luogo dove si sono svolte vicende che meritano di essere tramandate perché fanno parte della storia dell’uomo, della sua crescita culturale o spirituale. Quando viaggio sono sempre alla ricerca di questi luoghi. Per due motivi: cercare un’intimità con la vita o l’opera di un autore per avere, per quanto possibile, un’esperienza diretta che porti nutrimento alla mia vita; cercare tracce del passato per comprendere il presente. Con il tempo ho imparato che ogni giorno è possibile visitare un luogo d’autore, basta avere gli occhi aperti ed essere curiosi.
2. SULLE TRACCE DI SANDRO PENNA
Il 24 e il 25 aprile li ho trascorsi a Perugia. Appena sono arrivato ho iniziato a cercare la casa di Sandro Penna. In Un po’ di febbre, che raccoglie le prose del poeta umbro, Penna ricorda l’abitazione della sua adolescenza, in via Vermiglioli 5. È una stradina in discesa, a pochi passi dall’Arco de’ Priori, che termina in uno slargo dove oggi c’è un hotel. Di Penna, però, non c’era traccia. Sono tornato su Corso Vannucci e ho provato a chiedere informazioni prima in un’edicola, poi in una tabaccheria e in un bar, ma ho scoperto con rammarico che nessuno sembrava conoscerlo. Mi sono fermato a via Mazzini 12, dove il padre Armando gestiva un bazar e il piccolo Sandro passava le ore leggendo Rimbaud, ma anche lì nessun segno. Come ultima risorsa ho telefonato a un amico libraio, amante delle poesie di Penna, che mi ha consigliato di cercare vicino alla Cappella di San Severo, dove è conservata la Trinità con Santi realizzata da Raffaello e Perugino. Finalmente, a metà di un vicolo medievale in salita (via Mattioli 7), ho trovato la casa natale e la targa con uno dei suoi versi più noti: «Io vivere vorrei addormentato, entro il dolce rumore della vita».
3. COLLEZIONISMO
Il giorno dopo, prima di visitare la Galleria nazionale dell’Umbria dove è conservato il Cristo sul sarcofago del Perugino, uno dei miei dipinti preferiti, ho ammirato a Palazzo Baldeschi la collezione di Alessandro Marabottini Marabotti. Prima di allora non avevo mai sentito questo nome ed è stata una sorpresa trovarmi di fronte a circa settecento pezzi, in prevalenza dipinti che vanno dal Cinquecento al Novecento, di questo collezionista che fu un assiduo frequentatore delle botteghe antiquarie e dei rigattieri romani. Proprio come il rivale di quegli anni – Mario Praz – Marabottini trasformò la sua casa fiorentina di via Carducci in una sorta di atelier. Di tanto in tanto riservava delle visite guidate a studiosi d’arte e studenti, illustrando sapientemente ogni oggetto e narrando la scoperta e l’acquisto di quadri, ceramiche, sculture, marmi, tappeti. Oggi fa un certo effetto aggirarsi per le sale allestite con i veri mobili della casa e immaginare di possedere una così ricca e preziosa collezione d’arte.
4. DUE LIBRI
Tornato a Roma ho letto due libri. Il primo è Autoritratto nello studio in cui Giorgio Agamben riesce a parlare di sé unicamente parlando di altri: poeti, filosofi, pittori, amici. «Ciò che ci accompagna nella vita è anche ciò che ci nutre» scrive Agamben. «Quando si entra in intimità con l’opera di un autore, allora si producono dei fenomeni che sembrano magici, ma sono invece soltanto il frutto di quell’intimità. Succede così che ad apertura di pagina si trovi il passo che si cercava, che una domanda assillante trovi subito là la sua risposta, o che si finisca con l’imbattersi fisicamente in cose e persone che egli ha visto e toccato.» Il secondo libro è Il mestiere dell’artista di Claudio Strinati. È grazie a lui se qualche giorno dopo sono giunto in luogo d’autore di Roma che avevo sempre ignorato.
5. COME LEGGO (prima digressione)
Non ho frequentato l’università, se non a sprazzi, e credo sia questo il motivo per cui spesso leggo a scopo di studio. Ho l’impressione che chi ha fatto studi regolari, una volta raggiunta la laurea, abbia meno voglia di apprendere. Ho amici che al termine dell’università hanno smesso di leggere e di essere curiosi. Al contrario chi sa o sente di avere delle lacune culturali, a un certo punto viene assalito dal desiderio di conoscere e si apre per sempre agli studi. A me è successo intorno ai venticinque anni, quando già lavoravo, e da quel momento non mi sono più fermato.
6. DENTRO LA CHIESA
La mattina del 7 maggio mi trovavo a piazza San Lorenzo in Lucina con un’ora d’anticipo rispetto a un appuntamento di lavoro. Spinto dalla curiosità provocata dal libro di Strinati, ho deciso di visitare la chiesa dove è conservato il Crocifisso di Guido Reni. A destra della navata centrale, però, un monumento funebre con l’iscrizione F.A. DE CHATEAUBRIAND A NICOLAS POUSSIN ha attirato la mia attenzione. Avvicinandomi ho continuato a leggere: Per la gloria delle arti e l’onore della Francia / Nicolas Poussin nato ad Andelys nel 1594 morto a Roma nel 1665 e sepolto in questa chiesa. Da una veloce ricerca su internet ho scoperto che si trattava di un cenotafio voluto nel 1831 da Chateaubriand, a quel tempo ambasciatore a Roma, per omaggiare uno dei pittori francesi più grandi, un uomo colto e di grande talento. Sono rimasto alcuni minuti a contemplare il bassorilievo con la riproduzione del dipinto I pastori di Arcadia di Poussin dove compare la scritta «Et in Arcadia ego».
7. MEMENTO MORI
Come nella letteratura, anche nella pittura il tema della morte mi ha sempre affascinato. Lo scorrere inesorabile del tempo, la fugacità delle cose terrene, la brevità della vita. Uno dei dipinti più belli del genere è Autoritratto con natura morta di David Bailly, conservato a Leida, in Olanda. Nel quadro si vede l’autoritratto del pittore da giovane seduto di fianco a un tavolo dove sono esposti un teschio, una candela spenta, dei libri, una clessidra, una pipa e dei fiori. Sospese in aria tre bolle di sapone evocano la fragilità delle cose terrene. Mentre ero in chiesa mi ricordai che Et in Arcadia ego è il nome di un quadro del Guercino conservato al Palazzo Barberini. L’interpretazione che ne dà Poussin, però, è completamente diversa. Lo storico dell’arte, Erwin Panofsky, ha scritto in un celebre saggio che mentre il quadro del Guercino è un classico memento mori, dove è il teschio (ossia la Morte) a parlare ai pastori dicendo loro Anche in Arcadia io sono, nel dipinto di Poussin è la tomba a parlare e a esprimere malinconia per la vita passata. Per Panofsky la traduzione corretta è Io pure ho vissuto in Arcadia, con i pastori intenti a meditare soavemente su un dolce passato.
8. RACCONTARE
Girare intorno alle cose, andare avanti e indietro, divagare per parlare di tutto è forse il modo più efficace che conosco per raccontare qualcosa. D’altronde ogni storia trascina dietro di sé altre storie, in una sequenza infinita, come sosteneva Borges.
9. UNA LISTA (seconda digressione)
Mentre scrivo ho vicino un taccuino con una lista di cose da fare: leggere La cultura del Rinascimento di Eugenio Garin; andare a Mantova ad ammirare La camera degli sposi di Andrea Mantegna, cercare Le vite de pittori, scultori et architetti moderni di Giovanni Pietro Bellori e il saggio La galleria di Giambattista Marino; fare ricerche sul tema della morte nel Seicento; rileggere L’Uomo di Descartes e scrivere una articolo sul corpo umano, controllando anche le foto scattate al Leopold Museum di Vienna; continuare a scrivere di quello che mi passa per la testa.
10. FINALE
Alberto Savinio in un articolo del 1948 ha scritto: «La curiosità di conoscere è un modo per eludere la morte. La morte viene, mi trova trepidante su una nuova cosa che sto imparando; ed essa, che rispetta il sapere perché riassume in sé ogni sapere, capisce e gira al largo».
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