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La costruzione della Norimberga argentina. Sarebbe riassumibile in queste poche parole la trama di Argentina, 1985 di Santiago Mitre. La definizione è calzante, ma come tutte le storie realmente accadute, dietro, dentro e intorno c’è molto di più. Siamo quindi davanti al racconto di come è stato messo in piedi il processo alla Giunta Militare Argentina che ha guidato il paese tra il 1976 e il 1983, responsabile per la guerra sucia (guerra sporca) di 2.300 omicidi politici e circa 30.000 desaparecidos (persone scomparse). Il pubblico ministero Julio Strassera e il procuratore aggiunto Luis Moreno Ocampo, interpretati da Ricardo Darín e Peter Lanzani, e i loro giovani aiutanti hanno il compito di istruire il processo e cercare testimonianze, in un’Argentina dell’immediato post-dittatura ma ancora democraticamente fragile e influenzata dal potere dei militari. Questo aspetto si palesa nel rapporto tra la famiglia di Moreno Ocampo e alcuni alti funzionari dell’esercito, o nell’ influenza esercitata sui media di cui la famiglia Strassera si rende conto guardando un intervento del ministro Antonio Américo Tróccoli in televisione.

I fatti storici e del film

Argentina, 1985 non si occupa solo della fase processuale, ma anche delle difficoltà nella costruzione della squadra legale che si è occupata del più grande processo a comandanti militari per omicidi di massa, dopo quello ai gerarchi nazisti a Norimberga.
Dopo aver escluso molti procuratori, qualcuno perché «fascio», qualcun altro perché «totalmente fascio», Strassera e Carlos Somigliana, che collabora al processo, seguono il suggerimento di Moreno Ocampo di puntare su avvocati giovani che non hanno legami con gli ambienti statali o con studi legali, e quindi non influenzati dall’appena decaduta dittatura. Si evitano anche quelli legati alle lotte per i diritti civili, così da non essere etichettati e liquidati come comunisti, «non solo dai militari ma anche dalla nostra classe media, che è quella che bisogna convincere perché questo processo abbia la legittimità necessaria, tenendo presente la tradizionale tendenza della classe media a giustificare qualsiasi golpe militare» afferma il procuratore aggiunto.

La Giunta Militare, che si era insediata senza troppe difficoltà dopo un periodo di forti tensioni sull’orlo della guerra civile, perse rapidamente consensi per le continue manifestazioni delle eroiche Madri e Nonne di Plaza de Mayo, per le pressioni della comunità internazionale, ma soprattutto per la rovinosa sconfitta nella guerra delle Falkland/Malvinas che i capi militari argentini intendevano usare per rafforzare la propria posizione. Due anni dopo l’elezione del presidente Raúl Ricardo Alfonsín, finirono a processo: Jorge Rafael Videla, Emilio Eduardo Massera, Roberto Eduardo Viola, Armando Lambruschini, Orlando Ramón Agosti, Omar Graffigna, Leopoldo Galtieri, Jorge Anaya e Basilio Lami Dozo.

Santiago Mitre, che della sceneggiatura è anche coautore insieme a Mariano Llinás, inizia il suo racconto dalla vita personale e familiare del pubblico ministero Strassera portandoci poi nel suo ambiente lavorativo, non propriamente stimolante, fino all’arrivo dell’incarico che vale una carriera, l’istruzione del processo alla giunta militare. Questo compito arriva a uno scettico Strassera: «viviamo nel paese delle meraviglie adesso? Improvvisamente tutti i dittatori finiranno in galera, e chi è che li sbatterà in galera, l’Uomo Ragno per caso?» dice a Bruzzo (personaggio immaginario che fa da collegamento tra il governo e il pubblico ministero). Esprime dubbi anche con la moglie: «[i giudici civili] non lo possono fare» e «[i militari] non glielo lasciano fare». Il tribunale militare infatti non intende processare la giunta. Anzi, una nota del Consiglio Supremo delle Forze Armate viene letta dai giudici della Corte d’Appello Federale: «[…] i decreti, le direttive, gli ordini operativi e i procedimenti tramite i quali sono state effettuate azioni militari nella lotta contro la sovversione antinazionalista, sono stati dal punto di vista di contenuto e forma indiscutibili (sic!). Gli eccessi sono avvenuti per mano dei subordinati e il tribunale dovrebbe indagare sulle colpe delle presunte vittime prima di sentenziare». Questo ulteriore atto crea le condizioni per l’unico caso al mondo in cui un tribunale civile ha processato una dittatura.

Per Strassera e Moreno Ocampo è l’occasione, irripetibile, di garantire giustizia alle decine di migliaia di vittime del regime militare per permettere alla neonata democrazia di avere un futuro. Un processo politico e sociale affinché «Nunca mas», quello che è successo non accada più.

«Abbiamo la responsabilità di fondare una pace basata non sull’omissione, ma sulla memoria. Non sulla violenza, ma sulla giustizia. Questa è la nostra opportunità. Chissà che non sia l’ultima». – Dalla requisitoria finale di Strassera, riportata fedelmente nel film.

I due procuratori

Quando si decide di raccontare un processo o degli eventi complessi il rischio è quello di risultare troppo solenni, di minimizzare le persone o al contrario di rendere “cavalieri senza macchia” coloro che hanno reso possibili i fatti rappresentati sul grande schermo. Il pregio di Argentina, 1985 è di riuscire a mostrarci i procuratori Strassera e Moreno Ocampo non come supereroi imbattibili che risolvono la situazione senza batter ciglio, ma come persone complesse che portano avanti una battaglia, fatta di frustrazioni e soddisfazioni, di momenti di scoramento e di piccole vittorie che contribuiscono a rafforzare la squadra che hanno messo in piedi. Il rapporto tra i due non è sempre idilliaco, infatti dopo una giornata processuale negativa, tra i due scoppia una discussione. Moreno Ocampo rimprovera a Strassera di non aver fatto abbastanza per proteggere un testimone, mentre lui afferma che loro sono «solo funzionari del potere giudiziario», e che «noi non ci invischiamo con i testimoni, non ci invischiamo con i giudici, né ci facciamo mettere pressione». Ma Moreno Ocampo ribatte: «Sai benissimo che ci sono funzionari che se ne lavano le mani e che hanno finto di non vedere durante tutta la dittatura», magari riferendosi a Strassera (cosa che nega), che toccato dalle accuse reagisce ricordando che lui non ha «sfruttato i privilegi di far parte di una famiglia patrizia con uno zio colonnello e con una madre che va a messa con Videla».

«Gli eroi non esistono Silvia”. “Chissà magari sì Julio, chi può dirlo?»

Molto importanti sono i rapporti con le rispettive famiglie. È proprio grazie alle scene di vita familiare, partendo dall’invadenza dello Strassera-padre in una relazione della figlia (arriva ad usare il figlio minore come informatore) e passando dal conforto che la famiglia gli garantisce nei momenti delle minacce ricevute per farlo desistere dal processo, che il personaggio interpretato da Ricardo Darín non diventa mai un supereroe, ma una persona che fa il suo lavoro per ottenere giustizia. Di tutt’altro tenore sono le scene in cui viene mostrata la famiglia di Moreno Ocampo. All’inizio del processo, e buona parte della famiglia anche dopo, la madre non lo sostiene, troppo legata all’apparato militare, sia come ideologia che tramite parentele e ambiente sociale frequentato. Saranno le testimonianze dei 709 casi in diciassette settimane di processo a farle cambiare idea, soprattutto quella di Adriana Calvo de Laborde, vittima di atroci brutalità da parte dei suoi rapitori, minacciata, costretta a partorire bendata e legata in una pattuglia, a pulire un locale molto grande con tavoli di marmo, nuda davanti all’ufficiale e alle altre guardie che la deridevano, prima di poter abbracciare la sua neonata. La madre di Moreno Ocampo arriva così ad abiurare la sua fedeltà all’ex giunta in una telefonata in cui confessa al figlio: «Ho sempre rispettato l’esercito, ma adesso credo che tu abbia ragione. Videla deve andare in galera».

Fusione tra girato e filmati d’archivio

Un aspetto intrigante della realizzazione del film è la commistione tra il girato originale di Mitre e i filmati d’archivio del processo. Fondamentale per questa operazione è stato poter girare all’interno dello stesso palazzo di giustizia in cui si era svolto il processo del 1985: grazie a questa location d’eccezione il regista e il direttore della fotografia Javier Julia hanno potuto pensare a come fondere i due tipi di filmati. Mitre ha infatti raccontato questo processo sia a Jacobin che in un’intervista per l’Academy of Motion Picture Arts and Sciences, spiegando che le registrazioni del processo prevedevano l’inquadratura solo di spalle dei testimoni per proteggerne l’identità poiché molti dei torturatori erano ancora a piede libero. Tramite alcune scene di raccordo filmate con telecamere che registrano in U-matic, un vecchio formato di registrazione usato durante le riprese del processo, e con il montaggio di Andrés Pepe Estrada, il racconto poteva passare dalle scene riprese da Mitre ai filmati d’archivio senza mostrare evidenti cambiamenti, dando però la possibilità di dare un volto anche al coraggio dei testimoni.

Confronti con altri film

Certamente questo non è il primo dramma processuale della storia del cinema, ma ha comunque pochi termini di paragone. Un’operazione più produttiva è quella di paragonare singoli aspetti del film ad altri capolavori del passato. Per l’importanza del tema e per la grandezza del processo, Argentina, 1985 può richiamare le atmosfere di Vincitori e Vinti di Stanley Kramer (candidato all’Oscar per il Miglior film nel 1962) che mette in scena uno dei dodici processi di Norimberga, a cui quello argentino è stato paragonato. In quell’occasione però l’attenzione era sugli imputati e sul giudice interpretato da Spencer Tracy, uno straniero americano che doveva capire uno Stato in rovina sotto ogni aspetto, mentre Strassera è ben consapevole della società che ha attorno.
Per il tentativo di processare dei militari di alto grado il film argentino può richiamare Z – L’orgia del potere di Costa-Gavras, dove però viene mostrato cosa succede quando la democrazia non regge a un colpo di stato militare e fascista che cancella i procedimenti legali a carico dei vertici dell’esercito. Entrambi i film sono attraversati da una vena ironica anche se differente: i colonnelli greci appaiono talvolta maldestramente ridicoli nel tentativo di coprire le loro malefatte, mentre l’ironia nel film di Mitre serve a contestualizzare i personaggi in situazioni reali ed evitare di ridurli a persone monodimensionali.Impossibile non citare infine il miglior film sugli eventi di quel periodo, uscito proprio nel 1985, La storia ufficiale di Luis Puenzo, Premio Oscar al Miglior film straniero nel 1986. Una professoressa indaga su chi sia la madre naturale della bambina che ha adottato, scoprendo la verità dei desaparecidos che aveva sempre ignorato o voluto ignorare.

La questione Oscar

Argentina, 1985 ha raccolto vari importanti premi, tra cui il premio FIPRESCI alla Mostra di Venezia e il Golden Globe per il Miglior film straniero, ed è stato candidato all’Oscar per il Miglior film internazionale.
Per questo premio rimane un interrogativo che l’Academy non ha risolto e che negli ultimi anni è tornato a ripresentarsi più volte (quattro volte nelle ultime cinque edizioni). L’Oscar a Miglior film internazionale è andato a Niente di nuovo sul fronte occidentale di Edward Berger, che era candidato anche nella categoria Miglior film. I film candidati contemporaneamente in entrambe le categorie hanno sempre vinto nella categoria Miglior film internazionale (precedentemente Miglior film straniero), rendendo la competizione quantomeno scontata: come potrebbe un film candidato anche al Miglior film perdere contro altre pellicole che non lo sono? Oltre all’ultima, sono sette le edizioni in cui un film è stato candidato contemporaneamente in entrambe le categorie, portando sempre a casa la statuetta per Miglior film internazionale: nel 1970 Z – L’orgia del potere, nel 1999 La vita è bella, nel 2001 La tigre e il dragone, nel 2013 Amour, nel 2019 Roma, nel 2020 Parasite (unico a vincere in entrambe le categorie) e nel 2022 Drive My Car. Discorsi a parte si devono fare per Sussurri e grida di Ingmar Bergman e Il postino di Michael Radford che, rispettivamente nel 1974 e nel 1996, vengono candidati a Miglior film ma non a Miglior film straniero (l’Italia preferì candidare L’uomo delle stelle di Giuseppe Tornatore); nel 1972 invece, Karl e Kristina di Jan Troell perde l’Oscar per il Miglior film straniero con Il giardino dei Finzi Contini di Vittorio De Sica, ed essendo successivamente distribuito anche negli Stati Uniti viene candidato l’anno successivo a Miglior film, perdendo stavolta con Il padrino di Francis Ford Coppola.Quindi nonostante ai Golden Globe Argentina, 1985 abbia battuto Niente di nuovo sul fronte occidentale, per l’Oscar non c’era partita.

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