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Le Mantidi edito da Tunuè è un fumetto crudele, anche se parte da un’impostazione quasi fiabesca. Siamo in Piemonte a inizio Novecento, ma la storia è così universale che in realtà potremmo essere dovunque e in qualsiasi momento storico. A Tetti Lupa, una comunità di donne crea un nuovo modo di vivere, senza uomini, rifugiandosi in una località efferata, ma protetta da ciò che esiste al di fuori. Ci sarà chi cercherà di fuggire da questo mondo, ritrovandosi però nel reale, che di spazio alle donne non ne lascia.

Le Mantidi è il tuo fumetto d’esordio, ma hai già una carriera come illustratrice. Il disegno è quindi il fulcro della tua attività lavorativa: com’è iniziata questa passione?

La passione per il disegno c’è sempre stata; fin da bambina adoravo disegnare ed era qualcosa che coinvolgeva tutta la famiglia. Inizialmente il disegno era un’attività che facevo con mio padre: passavamo il pomeriggio a disegnare, a inventare storie e personaggi, poi è diventata più una cosa che ho coltivato in maniera autonoma; dalle medie ho iniziato a disegnare più consistentemente e poi non ho più smesso. Ho provato a usare l’acquerello durante l’adolescenza, periodo in cui disegnavo tantissime fate, ma la tecnica sicura, quella che utilizzavo e utilizzo sempre e che era anche più facilmente rintracciabile è la grafite. La strada per il fumetto si è aperta allo IED di Torino, dopo un corso meraviglioso di Lorena Canottiere. Proprio lei mi ha incoraggiata e sono arrivata all’Accademia di Bologna.

Come ci hai appena descritto, il tuo percorso stilistico è già ampio e hai sperimentato diversi stili e tecniche, frequentando anche scuole diverse, sei soddisfatta del tuo stile odierno?

Allo IED c’era un ambiente pressante, in cui ti martellavano per farti arrivare al tuo stile che non doveva avere niente a che vedere con lo stile delle altre persone, cosa che penso sia possibile fino a un certo punto; soprattutto mentre sei ancora in formazione, stai disegnando e stai sperimentando. Penso che il proprio stile venga poi col tempo. Al momento attuale non saprei dire se ho uno stile, è una domanda molto difficile perché alla fine non sai mai effettivamente cosa si intende per uno stile davvero personale. Posso dire che sono contenta di quello che faccio, quando disegno sono sempre soddisfatta dei miei risultati. 

Nel creare, dallo scrivere, al raccontare, al disegnare ovviamente ti sei ispirata a qualcuno? Hai dei modelli artistici di riferimento che tieni presente in particolare mentre disegni? Quali sono i tuoi modelli?

Relativamente. Ci sono cose che mi piacciono, ma non so quanto poi queste cose si riversino in quello che faccio. Sicuramente una fonte di ispirazione che mi ha aiutata anche nel passaggio tra illustrazione e fumetto è Isabelle Arsenault. Lei fa fumetti usando la tecnica della grafite e io ho qualcosa di simile al suo stile. Per la narrazione uno dei riferimenti che avevo, è stato La Terra dei figli, di Gipi che avevo appena letto e mi erra piaciuto il modo in cui si snoda la storia, il modo in cui ti portava per mano seguendo il personaggio e tu sapevi quello che sapeva il personaggio man mano che la storia andava avanti. Mi piaceva che fosse cinematografico come tipo di fumetto, che non ci fossero didascalie, cosa che ho mantenuto nel mio fumetto, senza dare spazio ai pensieri dei personaggi. Un altro riferimento che avevo mentre disegnavo erano i film dello studio Ghibli, il momento di silenzio nei film di Miyazaki, il fatto che non necessariamente la storia deve essere sempre incalzante, ma che ci sono i momenti di vuoto, io l’ho fatto con le tavole di paesaggio che per me sono rappresentative di una pausa.

Le Mantidi è in realtà il progetto della tua tesi, ma ovviamente ci sono state modifiche e rimaneggiamenti. Di questo fumetto sei autrice unica, quindi hai dovuto curare ogni aspetto: scrittura, disegno, narrazione, quanto hai lavorato per questo esordio?

La primissima versione era un racconto che ho scritto nel 2018 in Accademia per un corso di scrittura, l’idea e alcune scene poi sono finite alla fine del fumetto. Da qui c’è stato un lavoro di ampliamento che è durato due anni, poi è rimasto lì a dormire un anno in letargo, aspettando la risposta da Tunué. Insieme alla casa editrice abbiamo deciso di aggiungere il colore e di ampliarlo ulteriormente. C’è stata quindi una fase non tanto di riscrittura, ma di aggiunta di varie scene. Ho lavorato concentrandomi inizialmente sulla scrittura, avevo infatti fatto solo qualche schizzino dei personaggi. Avevo veramente bisogno di scrivere tante informazioni, di chiarirmi le idee, non necessariamente sui passaggi di trama, ma su chi sono i personaggi, che rapporto c’è tra di loro, come vivono il contesto. All’inizio ho scritto tantissimo, anche cose che poi non sono neanche finite nel fumetto, poi sono passata agli storyboard e ho iniziato a pensare per immagini, da lì in poi scrivere solamente non bastava più e il mio approccio è cambiato: storyboard e testi andavano insieme e io vedevo quello che stava succedendo come se fosse quasi un film che mi passasse davanti e dovevo bloccarlo con le immagini prima che tutto scomparisse. Disegnare è stata in assoluto la parte più soddisfacente, mentre il colore mi ha terrorizzata! Nel momento in cui fai il disegno in bianco e nero ti funziona in un modo, quando aggiungi il colore si modifica tutto per cui è un azzardo, ma c’è stata una scena che mi ha molto soddisfatta: il tramonto, il colore cambia man mano che il sole va giù e quella è stata una scena bella da colorare, perché è venuta esattamente come la volevo. 

Spostandoci invece sul piano narrativo, com’è nata l’idea di raccontare questa comunità di donne, che vivono tutte insieme e che per salvaguardare il loro ideale di vita e famiglia devono necessariamente uccidere gli uomini? Da cosa nasce il soggetto per Le Mantidi?

L’idea era nata per un racconto da scrivere in Accademia, il tema del corso di scrittura era il conflitto e quindi avevo passato un po’ di giorni a pensare a quale tipo di conflitto esprimere, alla fine era venuta abbastanza d’istinto questa idea che ovviamente era abbastanza grezza inizialmente: avere una comunità isolata e violenta e un personaggio che si stacca un po’ da questo schema. La storia è nata di pancia, sicuramente c’è stato qualcosa che è riemerso a livello inconscio. Per quanto riguarda l’ambientazione, il Piemonte, la campagna piemontese, la cascina, io avrei sempre voluto scrivere una storia su mia nonna che appunto arrivava dalla campagna, viveva in cascina e voleva allontanarsi da quell’ambiente per riprendersi la sua vita, essere indipendente, cosa che poi ha fatto.

Le Mantidi mi ha ricordato molto un po’ di libri distopici che ho letto ultimamente, con scenari futuri in cui ci sono mondi governati dalle donne, come Ragazze Elettriche di Naomi Alderman o Matrix di Lauren Goff, mentre questi libri però creano un nuovo mondo, dominato da regole completamente diverse dalle nostra la comunità di donne di Tetti Lupa vive nella contemporaneità, nel mondo reale, patriarcale. Loro vivono consapevolmente isolate, sanno cosa c’è fuori, però decidono di rimanere nella cascina, perché? Anche Tetti Lupa rappresenta un mondo pieno di violenza.

Perché per quanto ci sia una comunità violenta, che comunque arriva da una società violenta e sceglie di perpetrare altra violenza si sceglie di rimanere in quello che è un luogo sicuro che diventa una famiglia per le persone che ci vivono. Per me l’idea che ci fosse questa comunità in cui anche se si evince un affetto e dei legami tossici, l’affetto c’è, i legami familiari ci sono e il fatto che comunque le donne scelgano di tornarci è perché si sentono protette, è un luogo rassicurante per loro. Alla fine sono talmente abituate a percepire il fuori come terrificante, malvagio e atroce che anche se dentro c’è comunque una forma di violenza, c’è un ricatto emotivo, l’opzione migliore rimane la cosa che sa più di famiglia. Per questo accettano anche questo tipo di dinamica, perché è il modo migliore che hanno per sopravvivere. Tra il dentro e il fuori c’è uno sfasamento, quando Caterina parla con Minotte lui non capisce quel quello che lei vive e lei non capisce quello che le idee di lui, perché c’è uno scontro, sono abituati a contesti completamente diversi.

Questo fumetto è uscito a settembre, la fine del 2023 è stata un momento particolare, in noi donne si è sviluppata ancora di più la consapevolezza di quanto il mondo, il contesto in cui viviamo non sia a misura di donna. Quanto ha influito la situazione attuale che ha riguardato femminicidi, violenze e di contro sorellanza, cortei, le rivendicazioni femministe sulla stesura?

C’è una certa sensazione di rabbia che ritorna e che penso proviamo tutte, anche se in modi diversi e in circostanze diverse  e che non se ne va mai. Il fumetto ha alla fine un approccio più aperto nei confronti del fuori, perché vorrei cercare di non essere troppo pessimista anche nella vita personale e privata, perché non è che tutte le esperienze che poi una ha con il genere maschile sono delle esperienze traumatiche, però la sensazione di impotenza e di non sapere come affrontare un mondo che comunque è violento ed è ostile c’è sempre. L’idea della comunità isolata del fumetto deriva anche dal fatto che molto spesso pur non volendo si finisce per esasperazione a sentirsi al sicuro solo se ci si relaziona con donne, in modo più o meno estremo. Penso che sia capitato a tutte di trovarsi in situazioni dove sapendo che si aveva a che fare solo con donne ci si sentiva più tranquille, più al sicuro, che poi non dovrebbe essere così siamo tutti d’accordo, però quello è il mondo ideale, mentre con il mondo reale c’è sempre uno scalino da superare. Io ho fatto una presentazione a Milano, a Bookcity, letteralmente il giorno in cui hanno ritrovato il corpo di Giulia Cecchettin ed è stato un peso. Mi sentivo quasi in colpa ad aver avuto nel fumetto un atteggiamento anche un pochino più aperto, quando in quel momento tutto quello che si pensava, tutto quello che si provava, tutto quello che io personalmente provavo era rabbia.

Questo è il tuo primo fumetto, ma tu hai già una carriera come illustratrice, come abbiamo già detto. Ci sarà ancora spazio per il fumetto in futuro?

Avrei voglia di scrivere altri fumetti, nonostante la fatica e i momenti di crisi che ci sono stati nella stesura è stato bellissimo fare Le Mantidi. Facendo l’illustratrice non avevo mai preso in considerazione davvero l’idea di scrivere, ora però ho capito quanto combinare la scrittura e il disegno sia gratificante. Per ora ho qualche idea, ma ancora in stato di larva, mentre per l’illustrazione continuerò con il mio lavoro per la rivista Il rifugio dell’Ircocervo. 

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