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Ho avuto la mia prima esperienza della vita vera in una colonia parsi, o Parsi Baag, a tredici anni. Mio padre mi aveva sfidato a guadagnare un po’ di soldi e per fortuna si era anche preso la briga di insegnarmi come: dovevo andare di casa in casa nel mio quartiere di Byculla a vendere biglietti d’auguri fatti da un’associazione non profit. La prima settimana era stata disastrosa. Mi ero concentrato sugli edifici più vicini al mio, abitati da musulmani di classi sociali molto varie, per i quali trovarsi alla porta un giovane azzimato e con un ottimo inglese che cercava di vendere qualcosa poteva essere fonte di blando divertimento ma non aveva nessuna utilità. I musulmani di Mumbai non fanno cose mondane come mandare biglietti d’auguri ai conoscenti.

Oggi è praticamente impossibile entrare in una colonia parsi se non si è parsi e non si ha un motivo valido. Verso la fine degli anni ’80 l’atmosfera era più rilassata a Bombay, e gli addetti alla sicurezza meno aggressivi, perché in un modo o nell’altro ero riuscito a convincere le guardie a lasciarmi varcare gli imponenti cancelli di Jer Baag a Byculla con la mia tracolla piena di biglietti d’auguri. Avevo avuto un gran successo ovviamente, ed ero tornato a Jer Baag varie volte nella settimana seguente, finché non avevo fatto il giro di tutti gli alloggi dell’ariosa, ordinata colonia. Quel luogo era un’utopia sconosciuta ai più, e a soli dieci minuti a piedi da casa mia. Gli edifici di Jer Baag erano identici — in pietra e mattoni dell’era coloniale. Gli appartamenti erano tutti giganteschi, con i soffitti altissimi. Praticamente ogni inquilino, a prescindere dall’età, parlava inglese. E, oh, e le automobili d’epoca parcheggiate dappertutto! Venivo accolto quasi sempre calorosamente, di solito da casalinghe o coppie anziane abbastanza sofisticate da apprezzare la mia intraprendenza all’americana. Se non compravano i biglietti, mi offrivano comunque una bibita e uno spuntino prima che me ne andassi. Mi avevano gridato dietro solo un paio di volte, quando mi ero azzardato a suonare il campanello nelle ore della siesta. Così avevo imparato ad aspettare pazientemente nell’enorme parco del Baag.

Lezioni di nuoto di Rohinton Mistry, Racconti edizioni 2016

Lezioni di nuoto di Rohinton Mistry, Racconti edizioni 2016

Jer Baag, come quasi tutte le colonie Parsi di Mumbai, era ed è tuttora un mondo a sé – immutato e senza tempo. Il caos della metropoli sovrappopolata non ha nessuna possibilità di oltrepassare i cancelli ben protetti della colonia. Il Baag è una serra a monocoltura ermeticamente sigillata, dove personaggi e comportamenti stravaganti possono prosperare incontrastati, a prescindere da quanto siano fuori dal tempo. Da qui deriva l’abusatissimo cliché di Bollywood del «sanki Bawa», ovvero il Parsi eccentrico.
Non c’è bisogno di sottolineare nuovamente i meriti delle opere di Mistry. Quello che è cominciato in Lezioni di nuoto (traduzione di Chiara Vatteroni per Racconti edizioni) come la narrazione delle vicende di una delle comunità più occidentalizzate dell’India si è trasformato, nell’evoluzione della scrittura di Mistry, in un canone degli umili, innocui ed essenzialmente buoni, che tentano di farsi strada in un mondo sempre più avvelenato e compromesso.

Nella Mumbai di oggi, i vicini problematici non sono tollerati come succede ne Gli ospiti paganti. Verrebbero picchiati, scacciati, oppure assassinati, come succede nel romanzo di Aravind Adiga L’ultimo uomo nella torre (traduzione di Norman Gobetti, Einaudi). L’indiano giramondo ha fatto molta strada dalle angosce de L’uomo accucciato. Evacuare all’occidentale ha ceduto il passo a ingerire all’occidentale: intere famiglie tradizionalmente vegetariane sono diventate onnivore per poter viaggiare liberamente in tutto il mondo. Le restrizioni sono state abbandonate, i principi reinterpretati. Ironia della sorte, è la comunità Parsi, con il suo motto religioso «pensieri buoni, parole buone, azioni buone», che diventa una tragica anomalia in una società che ha da tempo gettato a mare ogni regola morale e civica.

Con questo non intendo accusare l’autore di ingenuità. Mistry non è certo ignaro di cosa succede nel mondo fuori dalla comunità parsi. I suoi commenti politici sono sagaci e invariabilmente toccano il tasto giusto. Nel 2010, il romanzo Un lungo viaggio (Fazi) fu eliminato dal programma dell’università di Mumbai, perché il rampollo di una dinastia di destra non era d’accordo con quello che uno dei personaggi di Mistry diceva di suo nonno. In Un perfetto equilibrio (Mondadori), Mistry umanizza meticolosamente la devastazione causata dallo stato d’emergenza proclamato da Indira Gandhi tra il 1975 e il 1977.

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Con ogni opera, Mistry ha ampliato il suo raggio di attenzione e di empatia, includendo uomini e donne da comunità e classi sociali diverse. Ma rimane essenzialmente uno scrittore radicato nell’ethos parsi, un atto profondamente ribelle in un’epoca caratterizzata da punti di vista narrativi generici.

La Byculla della mia narrativa, con i suoi quartieri limitrofi, è nata solo dopo che avevo radicato la mia scrittura nell’ambiente musulmano dei quartieri poveri in cui ero cresciuto. Devo a Mistry l’idea di scrivere regolarmente di cose locali e specifiche. E c’è un’altra cosa che ho imparato da Mistry: una profonda attenzione al benessere dei propri personaggi. Qualcuno potrebbe definirla una responsabilità autoriale dettata dal buon senso. A me piace pensare sia una sorta di bontà alla parsi.

Traduzione dell’articolo di Gioia Guerzoni

@Altaf Tyrewala, 2016. Tutti i diritti riservati

 

 

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