Soundreef è un Independent Management Entity, cioè un gestore privato e indipendente dei diritti d’autore da poco sbarcato nel mercato e pronto a sfidare la rivale di sempre: la Società Italiana degli Autori ed Editori. La SIAE è un ente pubblico economico a base associativa, dedito alla protezione e all’esercizio dell’intermediazione dei diritti d’autore. Il suo modello giuridico è lo stesso che in passato ha caratterizzato INA, Eni, Enel o Ferrovie dello Stato. Questi enti dal 1992 sono stati trasformati in Società per Azioni, così oggi lo status di ente pubblico economico in Italia spetta soltanto all’Agenzia del Demanio e, per l’appunto, alla SIAE.
La società con a capo Filippo Sugar ha assunto la definizione di ente pubblico economico nel 1999, identità che le permette di rimanere formalmente separata dall’apparato burocratico della Pubblica Amministrazione. La trasformazione è avvenuta per garantire flessibilità di adattamento ai cambiamenti del mercato, anche perché questo tipo di enti hanno come missione l’esercizio di un’impresa commerciale, tant’è che devono iscriversi al registro delle imprese. Quindi la SIAE è completamente svincolata dalla PA? Chiaramente no. Infatti gli organi di vertice sono nominati in tutto o in parte dai ministeri competenti per il settore in cui opera l’ente e a questi ministeri spetta un potere di indirizzo generale e di vigilanza. In poche parole si può dire che la SIAE ha finalità pubbliche ma si comporta come un’azienda.
Già questa premessa basterebbe a sollevare una prima riflessione circa la necessità di controllare il mercato del diritto d’autore attraverso un’unica società sostanzialmente di derivazione pubblica. Il resto del mondo occidentale già da molti anni ha preso una direzione opposta così come l’Unione europea, bandiera di mercato libero e concorrenza che ha garantito l’esistenza di Soundreef con una Direttiva del 2014.
La società è stata fondata da due italiani emigrati a Londra nel 2011 e riconosciuta dall’Intellectual Property Office del Regno Unito. I fondatori, Davide D’Atri e Francesco Danieli, sono partiti dalla gestione dei diritti di diffusione della musica nei centri commerciali o in aree simili e, dopo una prima fase da Ltd in Uk, Soundreef è sbarcata in Italia grazie all’acquisto da parte di Soundreef Spa (sempre dei due soci fondatori). Non solo i giudici del tribunale di Milano nel 2014, ma anche l’Agcom il mese scorso ha rilevato la legittimità della nuova società nata come start-up.
L’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni ha diramato una circolare del 6 giugno 2016 in cui «auspica che la riforma di tale regime monopolistico venga accompagnata da un ripensamento dell’articolazione complessiva del settore, al fine di garantire una tutela adeguata agli autori nonché agli utilizzatori intermedi e finali. In tale prospettiva, l’intervento di liberalizzazione dovrebbe essere integrato da una riforma complessiva delle modalità di intermediazione dei diritti […] senza trascurare una rivisitazione del ruolo e della funzione della SIAE nel mutato contesto».
Il testo dell’Agcom parla di «un’occasione particolarmente rilevante da cogliere per aprire alla concorrenza l’attività di intermediazione in questo campo». Nonostante il disegno di legge che delega il Governo al recepimento delle direttive europee e all’attuazione di altri atti dell’Unione europea del 2015, approvato alla Camera e attualmente in discussione al Senato, non preveda espressamente un intervento sul regime di monopolio legale della SIAE.
In sostanza quindi l’ingresso di Soundreef in Italia va a minare quello che è da sempre (fin dalla nascita della SIAE a fine ‘800 come associazione privata) un monopolio legale nella gestione del diritto d’autore, con tutte le storture del caso e con particolare riferimento all’equa redistribuzione degli introiti, alla trasparenza della rendicontazione degli stessi, alle tempistiche di pagamento e alla facoltà di non aderire al sistema SIAE da parte degli autori. La SIAE, per esempio, non ha mai adottato un meccanismo di ripartizione dei diritti analitico e, quindi, non c’è alcuna corrispondenza scientifica tra i dati risultanti dal borderò (l’elenco di brani riprodotti durante una manifestazione) e quanto percepito da ogni singolo titolare dei diritti. In questo senso Soundreef rivendica le proprie virtù facendo leva soprattutto sulla rendicontazione dettagliata, trasparente e (quasi) immediata dei conteggi a cui corrispondono i pagamenti; ma anche sulla possibilità di vincolare singoli brani da parte dell’autore (invece che tutta la produzione) e sulla facoltà di recedere in modo flessibile dal contratto.
Come detto l’Europa chiede all’Italia di liberalizzare il settore del collecting dei diritti d’autore, unico caso di monopolio pubblico insieme alla Repubblica Ceca, ma le voci politiche sull’argomento sono intermittenti o refrattarie. Il ministro Franceschini, per esempio, sembra avere le idee chiare. In Commissione alla Camera infatti è diventato un fan accanito del monopolio SIAE: «Pur partendo da una propensione per una liberalizzazione, ho verificato che in Europa si guarda con invidia alla situazione italiana».
La questione è tornata ultimamente alla ribalta mediatica grazie alle adesioni a Soundreef di Fedez e Gigi D’Alessio (ma anche di Kento) evidentemente scontenti di un sistema che finora operava da solista imponendo agli autori una delle quote di iscrizione più alte in Ue (la base è 250 euro) e un regime di esclusiva che impediva agli autori di disporre gratuitamente delle proprie opere.
Quel che è certo, in attesa dell’intervento legislativo del governo, è che non si potrà impedire a un artista, grazie al diritto comunitario, di far tutelare i propri interessi da una società che opera in regime di concorrenza all’interno del mercato europeo. Mantenere a tutti i costi un monopolio a dispetto delle normative europee, quindi, non sembrerebbe proprio la strada sensata da seguire. Si dovrebbe, invece, dare come fatto assodato la legittimità di Soundreef e concentrarsi sugli aspetti organizzativi modulando il coordinamento sul territorio di diverse società di collecting senza moltiplicare i centri e le modalità di riscossione per chi paga lo sfruttamento dei diritti. In questo senso la questione è tutta da dirimere.
Da una parte è probabile, infatti, che Soundreef sia in grado di gestire la rendicontazione automatica e in tempo (quasi) reale sui concerti degli artisti, sulla diffusione nei negozi associati e sulle emittenti radiotelevisive, attraverso i sistemi di riconoscimento automatico che la nuova società promette di orchestrare con discreta facilità grazie alla sua spiccata propensione all’innovazione tecnologica; per altro verso è meno semplice capire come la creatura di Davide D’Atri e Francesco Danieli riuscirebbe a coprire il territorio con i numeri da gigante monopolistico che deve gestire ogni giorno la SIAE.
A meno che Soundreef non decida di copiare il modello tradizionale dell’ente pubblico, che attualmente pretende 340 euro da chi intenda mettere della musica alla festa del proprio matrimonio, sarà difficile rastrellare il capitale necessario a sostenere e quindi far funzionare tutta la baracca. I dirigenti SIAE, infatti, dovrebbero insegnare ai nuovi competitor che questo tipo di strategia a lungo termine si trasforma molto spesso in un danno di immagine che supera l’utilità del provento e incentiva l’evasione. Non a caso l’ente viene percepito come vessatorio dai cittadini. Ciò nonostante i timidi ma epocali tentativi di cambiamento negli ultimi anni, come l’apertura sul sito ufficiale di una sezione sulla trasparenza che solo qualche anno fa sarebbe stata pura utopia. Rimane certamente una trasparenza monca, considerando che moltissime voci previste sono in bianco a causa di un’autoproclamata «inapplicabilità». Per esempio, alla pagina «retribuzione dirigenti» non è possibile conoscere i singoli stipendi, ma solo i limiti minimi e massimi. Pertanto si può ipotizzare che la cifra più alta pari a 409mila euro (oltre al possibile premio del 25%) sia riferita al direttore generale Gaetano Blandini. Un compenso che quasi raddoppia il tetto di 240mila euro stabilito per i dirigenti pubblici tra i quali Blandini formalmente non si può collocare, fermo restando che la SIAE svolge un ruolo pubblico.
A prescindere da cavilli, norme aggirabili o zone all’ombra delle leggi la trasparenza soltanto comunicata e il malfunzionamento dell’ente sembrano rispecchiare i classici problemi dei grandi carrozzoni pubblici che dagli anni novanta quasi ogni governo ha cercato di eliminare o ridimensionare. In primis tra i problemi c’è il crescente livello di burocratizzazione che si abbina a un livello di discrezionalità decisionale davvero poco efficiente e disomogeneo. Prendiamo in esame le istruzioni operative che la stessa SIAE comunica ai propri addetti: se durante un controllo si scopre che qualcuno (titolare di esercizio commerciale, ufficio, bar, ristorante o hotel), in un certo giorno, sta trasmettendo musica senza aver pagato i diritti d’autore, si può presumere che continuerà a utilizzare la stessa musica per l’intero anno e quindi si deve esigere da quest’ultimo il pagamento del relativo compenso annuale e di tutte le (salatissime) penali connesse per il pagamento mancato. In questo modo invece del 2% sul canone annuale la SIAE ne incassa il 100% sfruttando l’autorità che la legge le attribuisce, come spiega in modo eccellente il giurista Guido Scorza.
Sull’altro fronte l’accusa più scottante (sostenuta a gran voce dai dirigenti SIAE) è che Soundreef stia facendo una campagna acquisti basata su anticipi sui diritti e minimi garantiti, in modo da accelerare la transizione e mettere il governo davanti al fatto compiuto: la fine del monopolio. Una politica certamente non sostenibile sul medio-lungo termine che aprirebbe scenari futuri in cui i più forti (gli autori con cataloghi migliori) attraverso contrattazioni potrebbero ottenere condizioni di favore a discapito dei più deboli: una dinamica, in realtà, più che prevista nel libero mercato quando si cerca di acquisire un nuovo cliente. Per questo motivo la SIAE sostiene che a pagare le spese della fine del monopolio saranno i più deboli.
Certo è che a oggi, se possibile, il sistema è anche peggiore: infatti il potere è concentrato nelle mani dei soci più grandi, considerando che il numero di voti in assemblea è assegnato sulla base del denaro incassato in diritti d’autore.
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