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La lettura è sopravvalutata. Non leggo un libro da anni e sto bene lo stesso, grazie tante. Solo perché ven­do libri di mestiere non vuol dire che debba sapere di cosa parlano. Sono come un chimico. Se provassi i miei prodotti sarei già morto e sepolto oppure molto molto malato. E comunque è così che vedo i libri, come una cura per menti malate, stampelle di carta per intelletti vacillanti che faticano a trovare un appiglio nel mondo.

Ero un lettore vorace da giovane. I libri sono per i giovani. Il volume giusto letto da ragazzi può plasmare per sempre il corso della vita. E i libri sbagliati? I libri sbagliati ti costringeranno a cercare per sempre. Devo confessare che sono proprio questi libri che fanno so­pravvivere i librai.

Non intendo rivelare la mia identità, né il nome o l’indirizzo del mio negozio. Ho parecchie cose da dire a proposito dei libri e di chi li legge, li scrive, li pub­blica o li vende. Gran parte di quello che ho da dire è sgradevole, e molto probabilmente finirei per mettere in imbarazzo un sacco di gente, compreso me stesso. Dio solo sa se ho bisogno di altri nemici o altre umiliazioni. A ogni modo, ci sono parecchi dettagli che non posso nascondere se voglio che questa specie di confessione venga fuori con i controcoglioni. L’ultima cosa di cui il mondo ha bisogno è l’ennesimo libro pusillanime. Sono perennemente circondato da quei tentativi falliti: tomi dalla copertina seducente e dai contenuti noiosi rimasti sugli scaffali del negozio per anni a raccogliere polvere, ad aspettare invano quel lettore credulone che si berrà la loro promessa di far luce su qualche aspetto oscuro o inesplorato della nostra realtà. Sono tentato dal tornare a leggere solo perché questi libri obsoleti possano raggiungere il loro scopo un’ultima volta pri­ma di essere venduti al chilo al tizio che ricicla carta nel quartiere.

Non è che non leggo per niente. Chi può evitare i contenuti, di questi tempi? Ci bombardano a trecentosessanta gradi. Giornali, riviste, cataloghi, volantini, cartelloni pubblicitari e poi la mia scocciatura preferita: internet. Ma la gente ha sempre avuto così tante cose da dire? Forse sì, e semplicemente prima non aveva un mezzo per esprimersi. Ora invece è tana liberi tutti, ov­vio. Chiunque abbia una mezza idea di come si scrive o una vecchia idea vagamente interessante può firmare un blog, o un libro. Ora, vorrei rettificare l’analogia sulla chimica citata prima. I libri non sono una cura per le malattie, ma le malattie stesse: il prodotto malsano di menti inquiete che continuano a diffondere squilibri psicologici. Immagino che questo mi renda un uomo d’affari estremamente pericoloso.

Tengo soprattutto libri di seconda mano; e con que­sto mi riferisco alla storia della mia merce. Per quanto riguarda l’originalità delle idee che contengono, imma­gino che tutti i libri siano di seconda mano, anche quelli che se ne stanno belli impettiti sugli scaffali delle librerie più eleganti, quelle con l’aria condizionata – sì avete capito il tipo, con l’angolo caffè e il reparto cartoleria.

Un tempo la lettura era molto vicina all’abbandono, ora è l’ennesima scusa per scegliere amanti mediocri. Gli editori mi tormentano di continuo, praticamente mi or­dinano di organizzare il lancio di qualche nuovo libro nel negozio. Rifiutare mi dà un godimento perverso. Sono contrario anche ai pomposi book club e ai gruppi di lettura che vorrebbero trasformare la mia libreria in una specie di salotto del fine settimana per i loro bizzarri simposi letterari. Una volta avevo deciso di mostrarmi un po’ più accomodante accettando di ospitare un evento in libreria. Un fiasco. Due tizi erano venuti alle mani e i miei dipendenti erano dovuti intervenire. Tazze rotte, un gran casino. Non ricordo l’autore che aveva scate­nato quella rissa, ma sicuramente non era né Sartre, né Borges. È difficile lottare per qualcosa che non capisci.

La maggior parte dell’usato deriva da collezioni di persone decedute da poco, o da biblioteche che stanno chiudendo o da gente che va all’estero. Dato lo spazio li­mitato delle scaffalature, l’influsso di una collezione con­sistente plasma il carattere del mio modesto negozio per svariate settimane, finché i libri nuovi rimpiazzano quelli vecchi. Negli ultimi tempi abbiamo attraversato un pe­riodo a dir poco vario, grazie alla collezione follemente eclettica di una famosa ballerina di bharatanatyam. La sua identità sarà evidente a chi è del ramo. Aveva lascia­to il paese dopo che la destra nazionalista aveva trovato una sua performance offensiva. I tre figli dubitano che possa o voglia tornare in questa sua (mia, nostra) nazio­ne retrograda e malvagia. Nel suo gigantesco apparta­mento suburbano davanti al mare, in cui molte pareti sono decorate con le foto della proprietaria assente tutta bardata nei costumi elaborati da bharatanatyam, avevo scoperto con gran sorpresa che quasi la metà della sua collezione proveniva dal mio negozio.

I miei libri sono inconfondibili. L’ultima pagina è an­notata a matita verde con un codice che include la data in cui il lotto era stato acquistato e il costo medio dei li­bri che conteneva. Una cosa del genere: deppfcpu, ma in verde. Metto la data per motivi sentimentali. Quan­do faccio l’inventario o mi imbatto in un libro che un tempo era stato nel mio negozio, mi piace capire quan­do era finito nell’orbita della mia impresa commerciale. Prendere nota del costo medio serve per fare un rapido calcolo nel caso in cui debba affrontare un cliente che mercanteggia parecchio – non mi separo da un libro per meno del doppio del costo medio del lotto a cui appar­tiene. Custodisco il mio metodo di codificazione con la paranoia degna di una spia. Nel corso degli anni i miei dipendenti hanno sempre cercato di decifrarlo, ed è rima­sto il loro passatempo preferito quando c’è poco lavoro. Fortunatamente, il tipo di persona che viene a lavorare in una libreria di seconda mano non è certo un’aquila. All’inizio non ero così geloso del mio piccolo codice, ora è diventato una tradizione da mantenere. La mia indi­scussa competenza in materia mi fa sentire come l’ulti­mo conoscitore di una lingua antica che morirà con me.

Con ogni probabilità, il mio negozio chiuderà i bat­tenti quando avrò tirato le cuoia – a meno che un successore spunti dai miei gioielli fin troppo sfruttati o dalla famiglia allargata. Avrei voluto sposarmi. Avrei voluto una moglie e dei figli e una bella casa accogliente come tutti gli altri uomini che lavorano nel campo dei libri. Mi sono condannato assaggiando troppo. Ero convin­to che più donne frequentavo, più mi sarei avvicinato a quella per cui ero destinato. Invece, più mi guardavo intorno, più mi pareva che tutte le donne fossero ugua­li. Vicino ai quaranta, ormai disperato, ero pronto ad accontentarmi. Ma le donne lo percepivano e ne erano disgustate. Persino quelle che avrebbero accettato chiun­que si ritraevano davanti a me. Ora che sono prossimo ai cinquanta, ho fatto pace con la mia esistenza da sca­polo. Voglio solo essere lasciato in pace – con il mio ne­gozio, le mie cene davanti alla tv, e la routine notturna di piacere solitario prima del sonno. È quel tipo di vita autosufficiente che facevo nei miei giorni da studente ancora ignaro del sesso. Se solo qualcuno mi avesse detto che non avevo bisogno di assaggiare la mela, e che sono io il miglior amante che possa trovare.

Nei primi anni di attività, avevo coccolato la con­vinzione presuntuosa che fosse mio dovere plasmare i gusti letterari dei miei clienti. Pensavo che le mie sezio­ni ben curate di filosofia, arte e letteratura fossero l’or­goglio del negozio, ma importava davvero a qualcuno? La maggior parte dei clienti andava dritta ai gialli e alle storie d’amore. Lo fanno ancora. Un tempo questa cosa mi faceva andare il sangue alla testa. Per parecchi anni avevo bandito i polpettoni di successo o cose vagamente simili. Grazie al mio eroico rifiuto dei gusti popolari, ero diventato famoso nel gruppo sparuto degli esteti letterari della città. Mentre la mia vita sentimentale prosperava grazie al mio famoso snobismo, gli affari andavano ma­le. L’ho definita la mia epoca d’essai, un tributo al breve flirt del cinema hindi con il cinéma-vérité nei primi an­ni ’80, una fase ascetica che si era bruscamente conclu­sa con l’arrivo dei filmoni di cassetta con le superstar.

Anche la mia presa di posizione anti bestseller si era ribaltata quando mi innamorai di una scrittrice di best­seller. La nostra storia si era guastata dopo quattro me­si di accoppiamenti frenetici e piuttosto stressanti. Se frequentare una scribacchina come lei era così faticoso, tremavo all’incubo che poteva essere tenere il passo con una scrittrice seria. Quando la storia era finita avrei do­vuto reintrodurre il mio diktat anti bestseller in segno di spregio nei suoi confronti. Ma dopo parecchi anni in cui a malapena andavo in pari, ora che avevo riaperto le porte all’equivalente letterario di hamburger e pata­tine fritte, mi ero affezionato allo scalpiccio dei passi e al trambusto allegro del negozio affollato. Non potevo più permettermi di disprezzare il profitto. E non stavo certo ringiovanendo.

Per proteggermi dall’eventualità dell’indigenza geria­trica, investo in libri rari e antichi come la maggior parte delle persone investe nei propri figli. Perlomeno i miei investimenti non si rivolteranno contro di me per spu­tare nel piatto di chi ha pagato per loro. Conservo quei preziosi volumi avvolti individualmente nella plastica in un armadietto di acciaio in camera da letto. Li rimescolo una volta al mese, altrimenti si appiccicano l’uno all’al­tro come strati di fango. Quando faccio queste pulizie mensili, mi imbatto invariabilmente in almeno due li­bri che non sembrano più degni di essere conservati nel sacro spazio dell’armadietto. Magari nel frattempo ho trovato un’edizione più antica, o forse l’autore di una copia autografata è finalmente morto senza le lamenta­zioni pubbliche che prevedevo. Mi sembra di aver capi­to che ogni investimento contenga un buon tasso di ri­schio implicito. La mia paura più grande è che quando sarò pronto a vendere le mie merci rare, il mondo non le riterrà più degne del prezzo che ho in mente. Le cose vecchie, inclusi i libri, avranno sempre un mercato. È l’unico modo in cui possiamo sperare di interpretare il passato – possedendone i resti. Rimane da vedere però se la gente avrà voglia di pagare abbastanza per quei resti da mantenere un vecchio libraio in pensione.

Se posso, non rifiuto mai i libri usati che mi vengo­no offerti, a meno che non siano in cattive condizioni, o troppo misteriosi o discutibili, o se il venditore propo­ne un prezzo irragionevole. Nonostante la mia perenne prontezza nell’acquistare libri, a volte non mi viene of­ferto nulla per lunghi periodi. Cosa ci può essere di più piacevole per un venditore di vedere le merci diminuire davanti ai suoi occhi? Quando sugli scaffali iniziano a comparire dei buchi, è ora di prendere in mano la situa­zione. Intasco qualche migliaio di rupie, affido il nego­zio ai miei dipendenti ed esco.

Nonostante le frequenti retate delle autorità, l’eco­nomia da marciapiede di Mumbai rimane uno dei più grandi vizi proibiti dei cittadini. Gli ambulanti sono come mosche che ritornano a posarsi anche se continui a scacciarle. Il comune non può farci niente. La capaci­tà di ripresa del commercio al dettaglio, disorganizzato e illegale, permette ai cittadini di avere accesso a cibo, vestiti, scarpe, accessori, e soprattutto per me, libri a prezzi ridicoli.

A chiunque covi ancora l’ambizione di scrivere un li­bro, consiglio una visita a una delle bancarelle di Mum­bai. Su un telone di plastica sono sparpagliate centinaia di libri, a pochi centimetri da scarpe infangate e da san­dali che passano ticchettando con aria indifferente. Li­bri pubblicati a New York, Londra, Sydney e New Delhi buttati uno sopra l’altro, a condividere la disgrazia di non essere desiderati. Non importa dove vivi o di cosa scrivi, non importa che tu abbia ricevuto un sacco di soldi co­me anticipo o che il tuo agente sia un pezzo grosso: non c’è nulla che tu possa fare per evitare che il tuo libro si disperda nelle strade implacabili della metropoli. Però puoi fare qualcosa per salvare il tuo libro quando atterra sui marciapiedi di Mumbai. Non è facile, richiede una pazienza infinita e sforzi massacranti, e potresti riuscire o fallire miseramente. Ma è fattibile. Il segreto per assi­curarsi che il tuo libro non rimanga troppo a lungo sui marciapiedi è questo: scrivi un libro meraviglioso. Un libro così perfetto che verrà scelto nonostante la polvere e le cacche di piccione sulla copertina, nonostante l’o­dore acre delle pagine ormai ingiallite. Quando vado a comprare libri per rimpinguare le mie scorte, mi vedo come un eroe che salva queste eccellenti opere d’arte, pie­ne di pathos e ben scritte, colte e meno colte, che siano romanzi o saggi, finite a lato della strada senza averne nessuna colpa. In generale i proprietari delle bancarelle non mi vedono come un avversario, anzi, mi sono grati perché compro in blocco. Sfrutto la loro disperazione e la loro ignoranza scegliendo tesori che pago una miseria.

Nei giorni successivi ai miei grandi acquisti, lo spa­zio dietro al bancone sembra un’infermeria letteraria. Tascabili e brossure giacciono insieme in vari stadi di trascuratezza, in attesa di attenzioni e cure da parte mia o di uno dei miei dipendenti. I libri che compro in stra­da sono spesso in condizioni disperate, e devono essere salvati dalla disintegrazione prima di tornare abbastanza presentabili da essere codificati e disposti sugli scaffali.

Non sono in grado di dire quali libri ho in negozio. Non tengo un catalogo, né ho un elenco computerizza­to. Quando un libro finisce in una sezione particolare diventa un ricordo sfocato, più un lampo dell’intuizione che di un intelletto attivo. Anche se io o i miei dipen­denti sappiamo dove si trova un particolare volume, non vogliamo rivelarlo. Magari un lettore viene a cercare la biografia di Naipaul scritta da French, la compra, e poi trova anche lo scandaloso resoconto di Theroux della sua amicizia con Naipaul. Queste sono le gioie casuali del semplice curiosare. Ci vuole un tipo particolare di per­sonalità per godere della scoperta inaspettata, per trarre piacere all’idea di imbattersi in qualcosa mentre si cer­ca qualcos’altro. Mi rincresce constatare che questo ti­po particolare di personalità, ricettiva alla serendipità, è ormai in via d’estinzione.

I clienti d’oggi sono quasi sempre delusi dalla mia in­capacità di dire con certezza se ho il libro che vogliono. Si spaventano quando li invito a dare un’occhiata. Co­me dev’essere triste volere soltanto quello che si vuole. Non mi ero reso conto che le persone fossero così in­differenti a quello che non è familiare. Sembrano infa­stidite quando si imbattono in qualcosa che non hanno già controllato, come se lo sfrigolio perenne delle loro vite iperconnesse precludesse la possibilità di accettare qualsiasi elemento inesplorato.

Alcuni dei libri che ho in negozio sono così vecchi, e fuori catalogo da così tanto tempo, che dubito i loro autori se ne ricordino – sempre che siano vivi. Mi lascia sempre stupefatto che ad alcuni di questi libri sia stato concesso di esistere. L’erudizione delle generazioni prece­denti sembra così pittoresca a pensarci adesso. Incredibile immaginare che uomini e donne delle generazioni prece­denti abbiano consacrato tutta la loro vita a studiare, per esempio, gli effetti dell’elettricità sull’anima dell’uomo.

«Spero che il suo negozio non chiuda mai.» Ogni giorno, almeno due clienti ripetono queste parole con un sospiro triste, allungandomi gli spiccioli per i loro acquisti. Il fatto che siano ricchi è testimoniato dai cellulari giganteschi, dai tablet con la cover di pelle, il por­tafoglio o la borsetta firmata, l’abbigliamento casual, alla moda. Li chiamo i Piagnoni della Bombay che Scompare. Piangono la chiusura dei caffè iraniani. Si infuriano per la diminuzione dei taxi gialli e neri, i Padmini. Si van­tano di andare a caccia di pezzi vintage a Chor Bazaar appena hanno una giornata libera. Venerano tutto ciò che è in declino, superato e malfermo e al contempo si assicurano che niente e nessuno minacci la loro appar­tenenza a un mondo in cui tutto è nuovo, chic, moder­no e ipertecnologico.

Ho delle brutte notizie per questi lagnoni buonisti. Sto cercando di difendermi dal proprietario di un risto­rantino vicino al mio negozio. Vuole ampliarlo e sa be­ne che sono sull’orlo della bancarotta fin da quando ho aperto la libreria nei locali ereditati da mio padre. È solo questione di tempo prima che il ristoratore mi faccia la proverbiale offerta che non si può rifiutare. E così ci sa­rà l’ennesima istituzione della Bombay che Scompare da fotografare e documentare e lodare sui social media. So che ci si aspetta che mi comporti bene in quegli ultimi mesi. Spalle curve, aria sconfitta, un’espressione peren­ne di rammarico con un tocco di tristezza, ma niente di drammatico, perché le emozioni spaventano i piagnoni, perché li sfidano a fare qualcosa, mentre loro non voglio­no fare altro che svolazzare qua e là e fare qualche foto e prendersi un pezzo della tragedia commerciale in atto.

Con la vendita della proprietà, diventerò ricco come non lo sono mai stato. Il mercato immobiliare a Mum­bai è un assegno che càpita una sola volta nella vita e una volta incassato può mantenere una famiglia intera fino alla fine dei suoi giorni. La città offre abbastanza svago per mantenere i più abbienti perennemente occu­pati. Avrò un sacco di scelta: partite di cricket, festival di cinema, musica, gastronomia, e in ogni caso ci sarà sempre qualche esempio di Bombay che Scompare, qual­che attività che annuncerà l’imminente chiusura dando ai pigri come me una scusa per lagnarsi con i proprieta­ri affranti. Potrei offrirmi di comprare un pezzo dell’ar­redamento del locale come ricordo, forse una sedia, o un orologio da parete. Sarà l’ennesima paccottiglia che va ad aggiungersi alla mia casa che era già parecchio in­gombra quando l’ho ereditata e che alla fine venderò per trasferirmi in una città più economica, scomparendo da questa città come tutto il resto, come tutti.

 

Karmaclown®Racconti, 2016 Tutti i diritti riservati   ®Altaf Tyrewala, 2014   ®Traduzione italiana di Gioia Guerzoni

 

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