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Deng2837 si era tirato su con un presentimento acido alla bocca dello stomaco.
Imprecisato, inaspettato. Si era rotolato qualche secondo nelle coperte, leccando il silenzio lasciato dalla suoneria della sveglia, sperando che bastasse lasciar perdere qualche secondo ancora per rimettere le cose a posto. Aletha9267 era stesa al suo fianco come quando si era coricato. La sfiorò leggermente. Il corpo, ancora morbido nonostante il tempo, emanava una piccola scintilla di calore. Al di là delle finestre, oltre le sue curve; a vetri scoperti, le luci rade della città componevano una costellazione sghemba e innaturale, arrangiata per l’arrivo dell’alba. Non erano, naturalmente, risposte.
Deng2837 non aveva mangiato particolarmente pesante la sera prima. Ci pensò tastandosi il ventre, mentre si portava in piedi con una curva impacciata e dolorosa della spina dorsale. Solite pezzature fresche, portate dietro dalla Casa del Taglio alla fine della giornata. Le celle erano in ordine. Il macello limpido. I pochi colleghi rimasti dopo i licenziamenti e le infezioni, inappuntabili. Quel bruciorino che stava patendo non poteva nemmeno annoverarsi tra le cause della Febbre. Rispetto all’inizio dell’epidemia, i sintomi erano conosciuti, stabilizzati. Sudorazioni, allucinazioni, fremiti, piuttosto. Riflusso gastrico, proprio no. Deng2837 si stirò, riportando dritte le ultime vertebre. Alla sua situazione non aveva, naturalmente, risposte.
Accese la televisione in soggiorno. I numeri cominciarono a scorrere sullo schermo: novecento nuovi casi di positività diagnosticati nella notte. Poco più di duecento morti. Ospedali presi d’assalto da manifestanti, impauriti, appestati. Fabbriche e uffici diventati tombe in un deserto di morte. Omini grigiastri in giacca e cravatta ripetevano come dischi inceppati che, date le condizioni di crescente stabilità dell’instabilità sistemica del pianeta – Deng2837 lo sapeva: significava temperature più alte, meno acqua, più virus – stavano già facendo tutto il possibile per trovare una soluzione. Nemmeno questa era una risposta.
Deng2837 abbassò il volume e si diresse in cucina. Rovistò tra i ripiani della dispensa alla ricerca di un boccone per asciugare il bruciore. Ma, come ricordava la voce distante del presentatore, le consegne di prodotti agricoli ai supermercati erano state rimandate fino a data da destinarsi, e per la mancanza di manodopera, e per l’impossibilità di irrigare i terreni e sostenere la crescita del raccolto. Deng2837 lasciò perdere gli sportelli e aprì l’anta del frigorifero. I vani erano stipati di sacchetti sottovuoto etichettati con precisione, riportanti data di confezionamento e tipologia del contenuto. Scelse una busta sottile: dentro, lamelle rosa intenso, striate di venature più scure, rattrappite in biscioline essiccate. Tagliò la confezione, se ne portò un pezzetto alle labbra. Indugiò qualche secondo. Inalò il sapido della marinatura, il tocco pungente delle fibre su cui si era concentrato un po’ di sangue rappreso in colatura; il sottile strato di pepe in cui erano state invecchiate, poi rimosso completamente, di cui si intuiva ancora il pizzicore. Prese il primo morso. Lo fece girare tra i denti, sulla lingua. Sospirò, seguì il secondo, un terzo. Il sapore giusto, famigliare, fece dimenticare a Deng2837, per un solo momento, lo stranissimo malessere con cui si era svegliato.

Deng2837 non si era sempre chiamato così. Il codice alfanumerico era stato introdotto dopo le prime fasi della Febbre, quando lo Stato, privo di risposte, aveva deciso di diradare la popolazione sul territorio e assegnare a ogni settore una targa di riconoscimento. Così tenevano conto delle entrate e delle uscite. “Deng” era l’area della città in cui viveva. Ventotto-trentasette la sequenza di riconoscimento. Questo fu il primo passo. Il secondo, assicurarsi che ogni nucleo famigliare si spalmasse in quante più zone possibile, così da diradare la concentrazione, ripopolare il vuoto, e abbassare il rischio di contagio. Aletha9267 non aveva quel nome, quando Deng2837 l’aveva sposata. La Febbre era iniziata nove anni prima, li aveva trovati all’undicesimo anno di matrimonio. E da nove anni aveva vissuto da solo nella città, muovendosi a spoletta tra le pareti domestiche e la Casa del Taglio.
Da allora, da nove anni, era la prima volta che la vedeva. La pelle le si era fatta cartapesta, attorno agli occhi si erano dispiegate le ali di una falena fiaccata dalla notte. Piccoli tagli agli angoli della bocca. I folti capelli neri, ora diradati, resi fini dal calore dell’atmosfera. Bellissima ancora, com’era naturale. Una da far girare la testa ai colleghi alla Casa del Taglio, più di vent’anni prima, sugli inviti al matrimonio. Lungo la catena aerea dei maiali, tra i rulli scuoiatori e il banco del taglio, si desiderava che Aletha9267 sbucasse con il suo musetto, ché di quelli dei porci ne avevano abbastanza. Anche senza avere risposte, in un certo senso, Deng2837 ragionava, la sua Aletha9267 aveva perso qualche setola. Se i compagni fossero ancora stati alla Casa, questa volta sarebbero stati soddisfatti.
Invece, i turni erano assegnati a un dipendente per volta. Da nove anni, Deng2837 lavorava solo. Così, si diceva, aveva scampato la Febbre. Che fosse vero o meno – lui non lo sapeva mica; in più si vociferava che le sequenze genetiche contenute nel DNA di certi individui li rendessero immuni all’infezione –, a ogni buon conto non gliene importava, perché a lui, quel lavoro, piaceva davvero.
Non era stato un ripiego pur di trasferirsi in città, sobbarcarsi un matrimonio, vivere secondo orari prestabiliti. In testa a tutto c’erano state le campagne, dove lo aveva imparato, dove aveva conosciuto Aletha9267, dove l’avevano rispedita e dove, questo era certo, era cresciuto anche lui. L’acqua scorreva nei canali di irrigazione. La brezza assennata distribuiva il calore sui campi. L’abbondanza, in quegli anni, era tale da poter produrre per sé e per gli altri, rendendo la sussistenza un lavoro, cura sbilenca del prossimo; tale da permettere un capanno malconcio, tirato su già vecchio, recuperato da vecchie lamiere, adibito a scatoletta di sardine per maiali in piccolo gruppo.
Eppure, a Deng2837 non piaceva la carne. No, non era esatto: il suo gusto, per lui, era del tutto secondario, vizio di forma. Altrimenti, quel materiale molle, misterioso, sollevato da muscoli e articolazioni nella forma di questo o quell’animale; quello sì che gli interessava.
Forse era iniziata dall’incognita del momento sacro: una volta all’anno, il padre di Deng2837 si vestiva di nero e scendeva al capanno con un chiodo lungo e spesso in tasca. Al rientro la sua pelle aveva un odore colpevole, sapido e unto. Quel giorno, la madre di Deng2837 metteva in tavola gli ultimi resti delle scorte di porco dell’anno precedente, essiccate o in salamoia. Nulla era fuori ordine. La carne vecchia lasciava il passo alla carne nuova, e anche Deng2837, quel giorno, nasceva un’altra volta. Il mondo si risolveva nel futuro, debellava le domande. Prendersi cura di questa cosa che non fermava. La certezza del domani aveva l’odore di un abattoir di maiali.
In pochi cicli, il sacro fu violato. Deng2837 fu ammesso al rituale, il mistero si tramutò in mestiere. Imparò a conversare con la carne, a riconoscerne il grasso buono e il taglio succoso. Capì che un chiodo non ammazza, ma stordisce, e che è nella morte che la carne acquista vita. Che i tagli devono essere netti, unici, precisi. E che, per non imputridire, l’animale deve dissanguare. Questo uccidere, per Deng2837, non aveva nulla a che vedere con la violenza, semmai con il continuamento della vita. Il boia era legato alla vittima indissolubilmente. Affondare il dente nella carne era un cenno di rispetto, gloria della vita che nasceva da se stessa.
Aletha9267 non l’aveva mai vista così. La sua famiglia lavorava la terra: se le mani di Deng2837 agivano come forza di cambiamento, le sue accarezzavano lo stato delle cose, esortavano, accompagnavano. C’era fretta nel colpo netto, preciso, esercitato da Deng2837? E sopportazione, sacrificio, nel rimestamento di zolle, concimazione, irrigazione di Aletha9267? Può darsi. Ma non era comunque una risposta al fastidioso bruciore che aveva attanagliato l’uomo quella mattina, al ritorno della sposa. La città non le era mai piaciuta. Non le era stato grave, doversene tornare tra le erbe allo scoppio della Febbre. Gli ultimi mesi prima del trasferimento, come intuendo una nuova vita giunta con il sole, Aletha9267 aveva cominciato a coricarsi lontano dal corpo brutale di Deng2837, l’odore di sale e comando che si portava. Quella stessa patina che ungeva la pelle del padre, nobile. E che, da quando Aletha9267 era partita, trascinava con sé tra le coltri del letto.
Quel giorno, però, quando Aletha9267 tornò da lui, Deng2837 fece un’eccezione. Si fregò a fondo nella doccia, acqua bollente quasi a scorticarsi e perdere aculei e peluria, come i suoi animali nelle vasche al mattatoio prima di passare per il rullo scuoiatore. Si spogliò della sua forza e della sua identità. Si distese al fianco della consorte e attese che la notte si esaurisse.

Continuano le infezioni da Febbre. Nei nove anni dalla diagnosi del primo caso in area Hiyu, la popolazione umana si è ristretta del 46%. Nonostante gli sforzi della comunità scientifica, una cura universale non è ancora stata raggiunta. Questo è dovuto sia al fatto che la Febbre, per come la conosciamo, sembra presentare caratteristiche genetiche diverse per ogni individuo infettato; sia al fatto che gran parte della suddetta comunità scientifica è stata vittima a sua volta della malattia, venendo decimata in breve tempo in quanto maggiormente esposta al contagio a causa della natura della professione. A oggi, le informazioni certe sembrano essere solo quelle riguardanti la modalità di trasmissione del virus, che avverrebbe per via aerea nelle vicinanze di un individuo infetto. Nel post-mortem, non si riscontrano pericolosità di sorta legate al cadavere. Ricordiamo che le conoscenze che possediamo al momento non sembrano indicare l’origine della Febbre in un salto di specie, bensì in una serie di mutazioni genetiche casuali avvenute nel paziente-zero, la cui identità non è mai stata rivelata per motivi di privacy, in modo del tutto simile allo sviluppo incontrollato delle cellule tumorali, avvenimento propiziato dalle condizioni ambientali fuori controllo. Il drastico calo della popolazione mondiale ha provocato non solo ingenti problemi di gestione della forza-lavoro nelle aree più colpite, così come di approvvigionamento legati alla produzione di alimenti a consumo umano, ma anche difficoltà senza precedenti nello smaltire i cadaveri. Diversi hotspot in tutto il mondo sono stati convertiti per prendersi cura di questo problema. Il razionamento delle scorte alimentari intanto prosegue. Tutti i cittadini dotati di tessera punti per la riscossione del pasto sono pregati di rivolgersi a-

Deng2837 spense la TV, si legò stretti i lacci delle scarpe, e si portò fuori casa per dirigersi al lavoro. Il corpo di Aletha9267 pesava sulla coperta come il detrito di una galassia lontana. Deng2837 lo fissò a lungo. Non ci fu movimento.

Una volta, prima della Febbre, le strade dell’alba erano tappezzate di schizzi di vita. Quando Deng2837 si mise in viaggio verso la Casa del Taglio, invece, i viali ad alto scorrimento sembravano i ventricoli di un cuore in diastole, loffi, inermi. Pareva mancasse il respiro. Una nube di calore picchiava dal cielo, saliva dalla terra. La mente umana non era stata programmata per ragionare in contrazione. L’occhio rimbalzava sul vuoto tra i blocchi di cemento, sgusciava lontano, si dimenticava di sé. Pareva lo schizzo infantile di una brutta intelligenza artificiale, un tempio eretto alla morte. Tra le sue navate si muoveva Deng2837, gran sacerdote di misteri. Il suo altare sapeva di sangue e sudore.

Deng2837 non era degno di nota. Se non fosse stato per i grandi viali svuotati dalla Febbre, nella città non sarebbe spiccato. Aveva un volto tondeggiante, come gran parte dei Deng, vuoi per affinità genetiche o condizionamenti ambientali. La stempiatura della pur giovane età si era impossessata dell’intero cranio, risparmiando una sottile striscia di peluria malconcia, sbruciacchiata dal caldo e dal chimico. Basso e tarchiato, le braccia gli creavano lunghe liane ai fianchi, il che, si diceva, compensava il piccolo difetto estetico in praticità. Negli ultimi anni, a furia di buste della Casa del Taglio, si era fatto un ventre prospiciente. Camminava satollo per le strade diastoliche della città con la postura di uno scarafaggio. Non aveva voluto prendere l’auto, si era detto, così da smaltire il bruciorino oltre ai tagli grassi del macello. Quelli, però, erano rimasti ben fissi davanti ai suoi occhi. L’altro si era disteso, e come un lago artificiale a cui sia stata alzata la diga si accaparrava spazio, appiattendosi in uno strato di terrore, circondando ogni organo e stritolandolo in una morsa lenta, ma infinita.

La Casa del Taglio era buia, sapeva di amuchina. O forse era il fumo di uno scarico tossico che finalmente la terra restituiva. Deng2837 chiuse il pesante portone dietro di sé e azionò il generatore elettrico. Nei razionamenti era compresa anche l’energia. Agli edifici essenziali come il macello era consentita l’indipendenza dalla rete, così che non si corresse il rischio di interrompere le attività. I corridoi prima scuri, poi giallastri nella mezza luce che ricopriva le pareti piastrellate, provocavano sempre a Deng2837 uno scossone alla spina dorsale. Al suo arrivo in città, il mattatoio non dormiva mai. Le squadre si alternavano sotto le lampade al neon, gli ingranaggi ruotavano dietro carne nuova e nuova, decostruivano la vita, l’assemblavano daccapo. Come all’ultimo giorno di maiale vecchio, Deng2837 non sentiva il peso del coltello, ma il fascino di una speranza strana che si scavava un posto tra i ventricoli del cuore e riscaldava, ovattava, ed era pace.

Tempo prima, quando Deng2837 non era ancora nato, né suo padre o il padre di suo padre, i cuori dei maiali si erano sostituiti a quelli degli uomini. I giornali annunciavano i trapianti in prima pagina. Il progressivo peggioramento delle condizioni dell’atmosfera aveva raggrinzito gli esseri umani, e con loro il sangue, gli organi, i tessuti, costringendo sempre più individui a sottoporsi a trapianto per non vedersi l’esistenza tragicamente tranciata. D’altronde, con l’avanzamento del progresso, ci si sarebbe aspettati che le persone vivessero sempre di più. Invece, un cuore faticava a sorreggere il corpo in quelle condizioni. Invece che lasciarle andare, le vite vennero barattate. Così, gli ignari donatori andavano a rafforzare le schiere dei macelli prima della Casa del Taglio. Un versante della vita si salvava, un altro se ne degradava. Uso compassionevole, l’avevano chiamato. Processi medici altrimenti secolari erano stati compressi nel giro di qualche mese. Alcuni dicevano che non tutto fosse stato osservato correttamente. Che i cuori di maiale, pur modificati geneticamente per evitare il rigetto, avessero conservato i ganci per un altro genere di rifiuto, profondo e ribelle. E che il male subdolo che avvolgeva la terra fosse semplicemente il risultato di un’infezione recepita dalle cellule suine, impazzita nel corpo di un uomo, più uomini contemporaneamente.
Qualcuno aveva parlato di terrorismo biologico. Altri dicevano, in sostanza, che la Febbre fosse nata proprio da lì, all’incontro tra due storie pensate per rimanere separate. Taluni si erano spinti nella filosofia, accusando il genere umano di aver esercitato sulla natura un pugno di ferro, stritolandola, facendone saltare i meccanismi di sicurezza. E che in un cosmo in cui il creato si era fatto accessorio, accessorio sarebbe stata anche la loro razza. Quei cuori di maiale, Deng2837 li trovava spesso al macello. Evirava i corpi prima di spingerli sulle macchine, riponeva gli scarti in secchi capienti. Nulla, dopo nove anni di distruzione, poteva andare sprecato. Così Deng2837 spaccava tutto con le mani, succhi e sangue a imbrattare fino ai polsi. Scolava dei liquidi. Pressava la poltiglia in una busta trasparente, le dava una passata tra i rulli scuoiatori. Apriva l’involucro, lasciava seccare all’aria. Inseriva qualche grano di pepe in una pasta di strutto, la massaggiava sulla superficie – i cuori erano esigui in parte grassa. Terminava la preparazione in un apposito forno, in dotazione al macello per ridurre al minimo gli sprechi. Spezzava il prodotto in tante barrette, lo rimetteva in una busta pulita. A volte sulle stecchette capitavano le forme di una vena sopravvissuta. Di cuori di maiale, mentre le razioni fuori dalla Casa diminuivano con ogni nuovo giorno, Deng2837 si era fatto pasciuto.

Deng2837 attese che l’elettricità rimettesse in forze l’impianto, poi mise in moto le macchine. Lo sferragliare dei primi movimenti gli imburrò le orecchie, gli fece schioccare le lingua della gioia di chi pregusta, e conosce, o vede un figlio muovere i primi passi mentre il futuro si dispiega davanti ai suoi occhi. Nella città di una volta, prima della Febbre, Deng2837 era stato l’ennesima ombra tra le tante. Chiuso nella sua cella di ape operaia, portava offerte diligenti a una regina che lo sovrastava e che con il suo corpo fuori controllo tutto ingoiava, risputava, avviliva. Questo era stato Deng2837 per gli abitanti della città: schiavo al pari dei maiali che scuoiava nel macello, di cui doveva conservare i cuori. Ne era cosciente? Non è dato saperlo. Deng2837 non è un uomo di molte parole. Legato a una catena che non vedeva, aveva sempre eseguito, tagliato di netto, dissanguato, eliminato setole e peluria, tranciato precisamente gli zampetti prima di disossare la carcassa. La gloria del suo odore, delle sue mani, per gli altri era vergogna. La sua divinità, il numero di un giullare di corte. Con la Febbre, però, il mondo era cambiato. E il saltimbanco, come negli antichi Carnevali dei progenitori, era diventato re di un giorno che non aveva ancora conosciuto notte.

Circa sette anni prima, Deng2837 era stato convocato dalla direzione del macello. I turni erano già stati diradati, le perdite causate dalla Febbre si aggiravano attorno al 5% degli abitanti del pianeta. Aletha9267 era partita per i campi. Si scrivevano, qualche volta. Ma, appunto, Deng2837 non era un uomo di molte parole. Quel giorno di circa sette anni prima, Deng2837 era solo nella Casa. Attraverso alcuni schermi per la gestione da remoto dell’attività, così che i supervisori non dovessero recarsi sul posto incorrendo nel rischio di un contagio, era stato fatto accomodare nell’anticamera delle celle frigorifere. Il corridoio, lungo, era piastrellato in blu profondo. Al centro, davanti alle porte delle celle, era stato posizionato un tavolo di acciaio lungo e stretto, di quelli usati per disossare la carne al termine della lavorazione. All’occhio profano, avrebbe potuto ricordare la postazione di un’autopsia. La superficie era ingombra di una massa parimenti affusolata, nascosta da un telo opaco che la ricopriva interamente. Quando Deng2837 giunse sul posto ed ebbe osservato la scena per qualche secondo, uno schermo si accese nel corridoio, illuminando con aria lugubre le piastrelle alle pareti. Da uno sfondo brillante, una voce parlò, senza volto:
«Dipendente Deng2837».
Deng2837 annuì senza proferire parola.
«Abbiamo una richiesta da sottoporle in quanto campione di produttività dell’anno. Vede questo tavolo? Lo ha osservato?»
Deng2837 annuì senza proferire parola.
«Quello che dovrà fare è sollevare il telo che ricopre ciò che il tavolo sorregge. È un capo piuttosto pregiato, un occhio esperto come il suo lo riconoscerà senza difficoltà. La carne è stata preparata tramite dissanguamento e la pelle è lavata di ogni impurità, unghie e parti molli comprese. Il suo compito è riconoscere i vari tagli del capo, sezionandoli accuratamente e dando un nome a ciascuno per la commercializzazione e l’inserimento nelle razioni giornaliere dei cittadini. È chiaro?»
Deng2837 annuì senza proferire parola.

Dall’avvento della Febbre, l’insospettabile Deng2837 era diventato il miglior partito sulla piazza. Lavorare per la Casa del Taglio significava, oltre al privilegio di uno stipendio mensile, anche una fornitura costante di cibo. Anche in un sistema chiuso e rigidamente controllato, spazi di informalità rimanevano. Anche a corridoi sorvegliati da schermi di vigilanza, alcuni potevano ancora procedere con gli occhi chiusi. Questi erano gli individui come Deng2837, ormai indispensabili per l’approvvigionamento di risorse alla società e lo smaltimento dei rifiuti in eccesso. Nessuno avrebbe visto favorevolmente che un campione come Deng2837 arrivasse al lavoro affamato. Busta dopo busta, della carne che preparava, Deng2837 si era stipato il frigorifero. D’altronde, Febbre o non Febbre, questo era tutto quello che aveva sempre desiderato, l’unica riconoscenza per il lavoro svolto: poter divenire anche lui parte del ciclo di vita che governava con la mannaia che si appendeva alla cintola. Da carne nasce carne, e Deng2837 non era mai stato così ripieno di esistenza.

Quel giorno di sette anni prima aveva lasciato una scarica elettrica sui polpastrelli di Deng2837, agli angoli delle cornee. La scintilla di un’adrenalina che lo portava giù dal letto sempre prima, a tenere conto delle infezioni più accuratamente, a calcolare le proporzioni tra quello che sarebbe entrato, quello che sarebbe dovuto uscire, dalla Casa del Taglio. Dalla precisione della sua mano dipendevano i superstiti, battiti di cuori umani o suini che fossero. Un giorno, dicevano i pochi esperti che ancora rimanevano in circolazione, il pianeta sarebbe tornato quello che conoscevano prima della Febbre. I corpi rimasti avrebbero sviluppato difese contro l’infezione, un uomo nuovo sarebbe nato dall’unione di due specie. Alcuni si spingevano ai vaticini: la Terra sarebbe rinata dopo la distruzione, e anche la specie umana originaria sarebbe di nuovo comparsa, spontaneamente, come la prima volta – ma a questo punto, dicevamo, come si sarebbe potuto dire che si fosse trattato davvero di una prima volta? Quante Febbri avevano attanagliato i mammiferi bipedi dalla pelle morbida e permeabile, che un coltello rimodellava senza sforzo alcuno; quanti finti umani eravamo stati, mischiandoci insieme agli altri viventi; e se il cuore che attribuivamo alla specie non fosse stato nostro? I polmoni, il risultato di antiche guerre da cui eravamo usciti vittoriosi?
Tutta una bella filosofia. Le trasmissioni giravano, si esaurivano, ricominciavano durante i turni di Deng2837 alla Casa del Taglio. Per l’arte, il pensiero, la poesia non era stato svezzato. Riconosceva, però, la mano di un dio quando la vedeva all’opera. Era stato suo padre nel capanno. Era la sua lama affondata dentro le carcasse del macello.

Quel giorno di sette anni prima, Deng2837 aveva eseguito con precisione il compito che gli era stato assegnato. Il capo che gli aveva fornito la direzione era, sotto ogni aspetto, un miracolo di natura, una pezzatura eccellente. Le curve della carne si agghindavano con grazia attorno alle ossa, si abbarbicavano ai legamenti. Il grasso era sottile, ben collocato in zone strategiche per fungere da cuscinetto per gli organi vitali. Il colore indicava un muscolo profondo, sviluppato senza eccessi – l’animale doveva aver passato parecchio tempo all’aria aperta. Le estremità degli arti erano nodose, ma non senza potenzialità: subito dopo aver terminato, Deng2837 le aveva portate a ebollizione in una vasca per le rimozione delle setole. Il brodo ricavato aveva una speziatura familiare, elegante ma presente, regalava il ricordo di un consommé ben eseguito.
Trovare nomi adeguati a tagli così pregiati non era stato facile. Alcuni, però, gli erano riusciti piuttosto bene: Volante per la parte subito sotto la scapola, Guardiano per il ventre saporito, Ermes per le cosce che viaggiavano veloci, Nut per la cotenna che ricopriva come cielo quell’opera mirabile…
Quando tutto il capo fu diviso e insacchettato, Deng2837 si diresse, come ogni fine turno, verso le docce aziendali. Come ogni fine turno, si rimosse i guanti al gomito, schizzati di succhi rosa e molli. Come ogni fine turno, azionò il getto al minimo, non molto caldo, così da conservare il sangue, il sapido, il segreto della vita. Come ogni turno, si rivestì degli abiti civili e si preparò per uscire. Ma quando annusò la sua pelle, macchiata dell’odore di quell’animale inusuale, lo stomaco gli fu preso da un bruciore inedito, come se il corpo si fosse riconosciuto fuori di sé, e in un impeto di nostalgia cercasse di riprendersi. Deng2837 rimise bile e succhi gastrici sul pavimento del macello. Un frammento di cotenna che non aveva resistito dall’assaggiare cruda galleggiava insensata nella pozza di lui, e lo riguardava da quel lago, in cui Deng2837 si specchiava senza comprendersi.

Dopo sette anni dall’inizio della Febbre, il Governo aveva effettuato un annuncio: era stato inventato un protocollo rivoluzionario per smaltire i cadaveri in eccesso delle vittime. Non solo: grazie all’efficientamento degli allevamenti ancora rimasti in essere, tutte le razioni statali avrebbero contenuto una porzione giornaliera di carne. I cittadini avevano salutato favorevolmente la notizia, ed erano tornati a morire in pace. Qualcuno, prima di dissolversi, aveva lamentato improvvisi bruciori di stomaco seguiti da impetuosi conati di vomito. Alcuni pazienti li avevano descritti come un urlo antico che continuava nel tempo, che risaliva in superficie in gobbe sporadiche. Avevano dichiarato di esser stati investiti da una tristezza immensa. Che nel petto, a dispetto di qualsiasi cuore, si era scavato un abisso.

Deng2837 l’aveva capito come in un lampo, che cos’era quel bruciore pestifero che lo attanagliava dalla mattina. Vi si era riconosciuto come una madre nomina la prole. Quel pizzicore era già stato lui. Lo ricordò dopo essersi cambiato negli spogliatoi della Casa, dirigendosi lungo i corridoi blu profondo, oltre le celle frigorifere, verso la sala delle macchine. Lo lasciò svilupparsi passando in rassegna i capi del giorno, appesi alla catena aerea con la spina dorsale scombinata dalla gravità. Era il carico appena smontato dalla raccolta notturna dai mattatoi. Da quando la Febbre era divenuta una costante, le prime operazioni di macellazione venivano smistate tra la Casa e altri spazi, così da gestire più efficientemente il carico di lavoro crescente. Era stato Deng2837 a istruire i colleghi su come effettuare i tagli di dissanguamento. Li vedeva netti alla base del collo, appena sopra il cinto scapolare. Le mucose che spuntavano dalla pelle, a teste appese in giù, erano divenute purpuree per l’accumulo degli ultimi liquidi del corpo. Era ottimo: i fluidi avrebbero protetto le cervella, mantenendole succose per le lavorazioni successive. Deng2837 sbatté gli occhi con fare di approvazione. Ogni sua indicazione era stata seguita scrupolosamente.

Li aveva visti, scendendo le scale del palazzo quella mattina. Erano entrati con una barella da dove lui era uscito. Indossavano, per scrupolo, tute protettive contro il rischio biologico. Il loro furgoncino era nero tinta unita. Le porte sul retro si erano chiuse con uno schiocco mentre passava, chiuse su ripiani di corpi rosa immobili. Li avrebbe rivisti tra poco. Sarebbero stati il lavoro della giornata
Continuò a scorrere la linea della catena d’aria
Aveva indugiato sul percorso il tempo necessario a immaginarsi l’attimo pronto a giungere
Arrivò all’esemplare che conosceva come la sua stessa carne
Le luci si accesero nella finestra del suo appartamento
Era diventato magro e abbrustolito per il lavoro nei campi ostili
Cercò di ricordarsi il suo nome… Non era sicuro di comprendere del tutto il motivo per cui concedessero un’ultima notte con i famigliari deceduti
Il bruciore lo riportò a sette anni prima
Lei aveva conservato per tutta la vita il suo cuore di umano


Foto di Alex Block / Unsplash.

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