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«C’è sempre qualcosa di meraviglioso ed eccitante nel leggere o rileggere Virginia Woolf. Da qualsiasi pagina si parta, improvvisamente si scoperchia tutto un mondo, e tutto è legato, e lei è così intera, integra, così sempre se stessa, quando scrive, quando pensa, quando legge, quando cammina, quando viaggia, quando conversa, quando ride, scherza, gioca, e quando ci viene in- contro con la sua mente luminosa, che non importa se è la prima o l’ennesima volta che abbiamo in mano un suo libro, ecco: la cosa che non avevamo ancora visto, che non avevamo mai capito, tanto è immensa, tanto è vera, è lì, ancora capace di abbagliarci dopo un secolo.»

Oggi, 135 anni fa, nasceva Adeline Virginia Woolf in una casa londinese al 22 di Hyde Park Gate. Le parole della prefazione di Liliana Rampello, curatrice di Oggetti solidi (la raccolta di tutti racconti e le altre prose) non potrebbero essere più calzanti per una figura che ha segnato in modo indelebile la letteratura del XX secolo. Proprio perché Woolf «non solo riformerà, come altri grandi scrittori suoi contemporanei, il romanzo del Novecento, ma rivoluzionerà il canone della critica e il genere biografico», riprendendo ancora quanto scrive la studiosa.

«Phyllis e Rosamond, per esempio, nasconde nel buio della sua ovatta molti semi vivi che riguarderanno l’interesse costante di Virginia Woolf per le vite comuni, di donne “ordinarie”, le vite “degli oscuri”, “degli eccentrici”, di quelle ragazze che, sorde alle sirene dell’emancipazione che le renderebbe banalmente simili ai loro fratelli, hanno come luogo di lavoro il salotto, il luogo della conversazione e del mercato matrimoniale, poiché è lì che imparano a conoscere il desiderio e i suoi limiti, l’illibertà e la dipendenza, la paura e l’automoderazione.»

Non è un caso che a soli ventiquattro anni Virginia Woolf avesse compreso ciò che le interessava più di ogni altra cosa, nella scrittura e nella lettura: la vita stessa. Questo assunto permea ogni piega, ogni riga, ogni livello dell’intelaiatura dei suoi scritti. Ed è così che anche nei racconti si ritrova lo stesso seme che guiderà il percorso di romanziera; il ritmo della prosa, infatti, è la luce che dà lustro a uno stile inteso non solo come questione tecnica ma come visione; laddove la centralità di poesia e fotografia le consente di dare stura a una concezione anticonvenzionale della narrativa, un’idea che prescinde dalla trama (anche se non come si potrebbe pensare a una prima analisi superficiale) ma non rinuncia a «gettare una corda al lettore», come accade nel piccolo prezioso racconto che dà nome alla raccolta edita da Racconti, Oggetti solidi:

«Contemplato più volte in modo appena cosciente da una mente che pensa ad altro, qualsiasi oggetto si mescola così profondamente con la materia del pensiero da perdere la sua vera forma e ricomporsi in maniera un po’ diversa in una forma ideale che ossessiona il cervello nei momenti più inattesi.»

Il protagonista del racconto, John, sta vivendo una sorta di rinascita esistenziale e, se da un lato troviamo l’afflato pittorico di Woolf con l’intreccio lirico a far da collante alla prosa, per altro verso l’autrice «getta una corda» costruendo un plot strutturato in modo canonico tale da far entrare in empatia col politico disperato e protagonista:

«Trascurava i suoi doveri, forse, o vi adempiva distrattamente, o i suoi elettori quando venivano a trovarlo non erano favorevolmente colpiti dall’aspetto del suo caminetto».

Accade così, grazie a questa duttilità e non solo, di riscontrare una «materica leggibilità» nei racconti, che si «staglia in forma esteticamente definita, ha una vita propria autentica, è esperimento autonomo», argomenta Liliana Rampello. Perché «le arti non si imitano l’una con l’altra, la luce, l’ombra, la prospettiva sono presenti ed esigenti in prosa, in poesia, in pittura; ognuno di questi linguaggi cerca, a modo proprio, di creare, non di interpretare».

Anche nel nucleo di racconti ascrivibili alla cosiddetta «coscienza della festa» si ritrova quel tratto umano e intimo che contraddistingue l’autrice, e soprattutto lo si nota dai temi che sono «investiti di una vera e propria esplorazione psicologica, sono quelli che hanno turbato la Woolf fin da ragazza con la loro ambiguità (gioiva delle uscite in società più prima che durante): il senso di inferiorità e inadeguatezza, l’incertezza mista a noncuranza sull’abbigliamento, la solitudine, la conversazione come forma di conoscenza primitiva e quasi intuitiva, in cui una sola parola o un solo gesto possono riassumere comportamenti di tutta una vita, l’io profondo e la superficie degli obblighi mondani, il ripresentarsi dei ricordi di infanzia, l’amore per gli altri e i suoi camuffamenti, il giardino e il salotto, sfondo di diverse visioni…».

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D’altra parte nel caso di Oggetti solidi, come sottolineato, siamo di fronte all’opera di Woolf in nuce. Si tratta di «guardare come attraverso un imbuto, o con un binocolo, come “zampillano” nella sua testa questi racconti che, quasi per farci rincorrere a ritroso la formazione minuziosa del romanzo, gli fanno da corona.» Mrs Dalloway per esempio nasce dalla prosa breve e successivamente migra. Ed ecco che in Mrs Dalloway in Bond Street ritroviamo quanto, poco dopo, leggeremo nel romanzo dal nome identico tranne che per la menzione della celebre via londinese. Ecco l’incipit dal racconto:

«Mrs Dalloway disse che sarebbe andata lei a comperare i guanti.

Big Ben stava suonando quando scese per strada. Erano le undici e l’ora incontaminata era fresca come se dovesse essere offerta a dei bambini sulla spiaggia. Ma c’era qualcosa di solenne nel ritmo deliberato dei colpi ripetuti; qualcosa di commovente nel mormorio delle ruote e nello scalpiccio dei passi.

Senza dubbio non erano tutti avviati verso traguardi di felicità. C’è da dire molto di più su di noi, oltre al fatto che percorriamo le strade di Westminster. Anche Big Ben non è altro che verghe d’acciaio consuma- te dalla ruggine, non fosse per la cura del Ministero dei Lavori pubblici di sua Maestà. Solo per Mrs Dalloway l’attimo era completo; per Mrs Dalloway giugno era fresco. Un’infanzia felice – e non solo per le sue figlie Justin Parry era stato un uomo in gamba (certo anche troppo comprensivo nella sua carica di giudice); fiori nella sera, fumo che sale; il grido delle cornacchie che cade da altezze infinite, giù giù attraverso l’aria di ottobre – niente può prendere il posto dell’infanzia. Una foglia di menta la riporta indietro: o una tazza con il bordo azzurro.»

Nel giorno dell’anniversario della nascita di Virginia Woolf nel 1882, Oggetti solidi e tutta l’opera della scrittrice-attivista, rimane una pietra miliare di un secolo fecondo per la letteratura, un asse portante per comprendere l’evoluzione della narrativa, e in definitiva un corposo momento di sospensione da canoni espressivi codificati che al tempo stesso rappresenta uno dei modelli più consistenti di immedesimazione del lettore. Per questo, cara Virginia Woolf, il XXI secolo deve ringraziarti.

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