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Il 3 dicembre 2015 è stata la data d’uscita prevista in Italia per Il Piccolo Principe, film d’animazione diretto da Mark Osborne – già co-regista, assieme a John Stevenson, di Kung Fu Panda –, tratto dall’omonimo romanzo di Antoine de Saint-Exupery. Un adattamento cinematografico dell’opera era stato già tentato, nel 1974, da Stanley Donen, sotto forma di commedia musicale: nominato agli Oscar, il film ricevette il Golden Globe per la colonna sonora.

Il film di Osborne che si preannunciava a livello qualitativo un blockbuster a tutti gli effetti, colpisce, tuttavia, per una scelta particolare: la narrazione del racconto è affidata al personaggio dell’Aviatore che, ormai in pensione, tenta di soddisfare la curiosità della sua nuova vicina di casa: una bambina rimasta affascinata dalla lettura del diario di guerra del vecchio, nel quale viene accennato qualcosa riguardo l’incontro con un bambino di un altro pianeta.

Un approccio di questo tipo, a prima vista scontato, si rivela in realtà essere il frutto di un percorso filologico molto accurato che ha portato, dopo lungo tempo, allo scioglimento di un caso biografico particolare.

La vicenda esistenziale dello scrittore venne cristallizzata nel mito, nel momento stesso in cui Le Petit Prince venne letto, in modo semplicistico, come testamento letterario di un suicidio premeditato. Tutto questo secondo un’interpretazione che vedeva, a posteriori, la coincidenza tra l’io narrante – ovvero l’Aviatore nel deserto – e lo scrittore/uomo (o l’uomo/scrittore) Saint-Exupéry, basata su un non-fatto: il mancato ritrovamento dell’F-5 precipitato nel Tirreno, dopo il decollo da Borgo, in Corsica. La tesi del testamento letterario veniva avvalorata anche a causa della suggestiva consequenzialità temporale: tutto questo era avvenuto appena un anno dopo la pubblicazione dell’opera, nel 1943.

A.G.Roemmers sembra trovarsi in completo accordo con la visione premonitrice di Le Petit Prince, tanto da proporre, in Il ritorno del giovane principe, una continuazione dell’opera prima. Nel libro di Roemmers infatti si legge del viaggio su una decappottabile che il Principe intraprende, una volta tornato sulla Terra degli uomini e ormai adolescente, in cerca dell’Aviatore. Il protagonista è accompagnato da un uomo a cui viene affidata la narrazione che è al contempo, riflessione, riscoperta e antitesi del Sé adulto rispetto alla purezza sempre costante del ragazzo, il quale non ha il coraggio di rivelare al suo nuovo amico l’identità del ricercato, identità che corrisponde a quella di Saint-Exupery, ormai scomparso in un incidente aereo.

«Se avessi saputo chi era su quell’aereo, non avrei sparato. Non su quell’uomo.»

Con queste parole, nel 2008, Horst Ripper, ex aviatore tedesco, rivela a un’équipe di ricercatori, formata dall’esperto d’incidenti aerei Lino Von Gartzen, il giornalista Jacques Pradell e il sommozzatore Luc Varnell, autori del libro-inchiesta Saint-Exupéry: l’ultimo segreto, la verità sulla scomparsa misteriosa dello scrittore.

La confessione di Horst Ripper funge, dunque, da tavola di presenza baconiana e, laddove il mito del suicidio viene sfatato, l’editoria mondana si reinventa vassalla del cartoon di Osborne, futuro signore d’incassi – a discapito del cavaliere solitario Le petit Prince, la sola opera di Saint-Exupéry che rimane pubblicata, non a caso, dalle grandi case editrici italiane prima del 2008.

[Terra degli uomini, Passigli, 2015.; Volo di notte, Passigli, 2014; La pasta umana: taccuini 1935/40, UTET, 2015; Volo di notte e L’aviatore, Newton Compton, 2015; Pilota di guerra – la morale dell’inclinazione, Terra degli uomini – Il pilota e le potenze naturali, Mondadori, 2015.]

Si scopre come Le petit prince, e a livello tematico, e a livello stilistico – basato su una purezza lessicale in cui la regressione allo stato infantile non fa che rafforzare l’universalità potenziale del messaggio – non sia un unicum, bensì un raccoglitore di topoi molto cari allo scrittore che ritroviamo in tutte le opere sopra citate: la coincidenza tra il protagonista e il personaggio aviatore; l’artificio della caduta dell’aereo: in particolare dai Taccuini e da Terra degli uomini, autobiografici entrambi, apprendiamo come questo sia legato al ricordo traumatico dell’incidente che lo vide precipitare nel Shara libico assieme al suo navigatore André Prévot, per essere poi salvati da un beduino; la crudeltà dell’uomo legata all’istinto di autoconservazione hobbesiano, accentuata dalle meschinità precedenti alla guerra; il tutto contrapposto alla purezza visionaria dell’Artista.

Seppure destinato a un pubblico di bambini, il film di Osborne propone, in conclusione, un punto fermo nella vicenda biografica di Saint-Exupery, aiutato dal risveglio della critica, attenta ora alle letture troppo affrettate: lo scrittore non è morto suicida, come si credeva, anzi diventa addirittura il narratore di se stesso e del personaggio di se stesso.

 Certo, una qualche incoerenza permane: come fa l’aviatore a essere vecchio, se comunque è rimasto ucciso in una guerra a soli quarantaquattro anni?

E allora, ecco che se da una parte Osborne distanzia finalmente l’opera da quella visione testamentaria e premonitrice, allo stesso tempo mantiene una concordanza tra l’uomo che vive e l’uomo che racconta. 

E così suggella i personaggi a simbolo: l’eterna antitesi del Sé bambino e del Sé maturo che si contrastano e compresenziano.

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