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«Per me Firenze è la mattina presto, quando per caso hai fatto tardi e la vedi dal piazzale. […] Più che di Firenze vorrei dire dei fiorentini, che sono impastati di cultura, nati di storia, tessuti in una miriade di intrecci. Firenze non è una città che rappresenta qualcosa. Firenze è.»

Le parole di Simone Innocenti da un’intervista a il Libraio descrivono al meglio l’essenza di Firenze mare, guida letteraria al capoluogo toscano pubblicata da Giulio Perrone. Il punto di vista per fotografare una città complicatissima da disegnare su carta – densa com’è di tracce percorribili – deve essere per forza di cose distaccato, sostiene l’autore. La prospettiva allora – si potrebbe aggiungere – deve essere quella di un Clifford Geertz che inchioda la rivoluzione malinowskiana. Per scoprire il vero punto di vista dei nativi non basta stabilire un duraturo rapporto d’empatia ottenuto grazie alla capacità mimetica dell’etnografo in osservazione partecipante. Non a caso la letteratura antropologica postmoderna insegna che l’accesso deve passare per la comprensione del sistema di significati che i nativi attribuiscono alla propria vita sociale. Per questo, quando un autore si pone di fronte alla possibilità di scrivere della città a cui è più legato si pone di fronte a un’operazione complessa. Le soluzioni sono variegate: l’ibrido narrativo (di cui abbiamo già parlato per Genova macaia di Simone Pieranni), la fiction l’autofiction il memoir e le altre vie canoniche. Innocenti tenta la strada del sistema di significati di cui sopra cercando la testa di ponte sull’Arno tra mitologia letteraria e formato-guida.

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«Firenze è una città che si è fatta isola, che ha unito il di qua col di là, è miracolosa, una città del litigio che ha unito il Diquad’Arno col Dilàd’Arno, e che nell’unire si è scissa in milioni di piccole Firenze fino a far diventare isole ogni singola casa, ogni singola via, ogni singolo quartiere.»

La polverizzazione fiorentina si dà nella lunga fila di artisti citati e raccontati. Botticelli, Calvino, Pratolini, Zeffirelli, Landolfi, Michelangelo, Stendhal, Dante, Vespucci, Viani, Cataluccio, Malaparte, Manganelli, Stancanelli, Campana, Palazzeschi, Tobino e non solo. Un excursus tra le parole di scrittori e poeti, ognuno dei quali rappresenta un’anima singolare della Firenze schiva e nobile che bagna gli occhi dell’autore come le sponde del fiume. La memoria dell’acqua pare congenita al tessuto urbano fatto di ponti e vicoli e chiese e caffè malinconici e muri che portano i segni delle piene.

La Firenze di Innocenti è una crociata tra le mareggiate artistiche e culturali che l’hanno attraversata e il libro vuole fungere proprio da faro per la navigazione. «Che la natura marina sia propria di Firenze è un fatto oblungo sul quale scrittori e pittori si sono trovati molto spesso a confrontarsi, il più delle volte in silenzio perché la natura del fiorentino è quella di attanagliarsi nelle assenze. C’è questa specie di maledizione che perseguita chi vive a Firenze e chi di Firenze scrive.»

«Una città che i fiorentini percorrono sott’acqua» e che può essere descritta al meglio solo dai protagonisti del passato. Su tutti Giorgio Manganelli che occupa molto spazio nella Firenze marina di Innocenti perché accreditato come uno dei pochi ad averne carpito il gusto salino e la vera essenza, come in Sconclusione:

«Firenze è una delle forme dell’altrove. (…) Come in Spagna mi ispanizzo e in Germania vagheggio di farmi goethiano, così a Firenze sperimento una trasformazione, una insidia, una seduzione che non saprei descrivere in altro modo: divento o vorrei diventare Italiano. Ma non sono già, nel bene e nel male, un italiano? Eh, c’è modo e modo. L’italiano che emerge in me a Firenze è uno dei modi dell’altrove, come dire che Firenze è estero, ed anzi che a Firenze scopro come l’Italia intera possa essere estero. Firenze è estero perché, qui, l’Italia è estero. È un luogo da raggiungere, un luogo lontano. È fuori.»

Firenze mare è un’imbarcazione, un navigare a vista popolato dalle righe dalle pennellate e dalle inquadrature dei migliori del Novecento e non, tutti in adunata presso il canto di Firenze ma bene attenti a non udirne il richiamo; e così anche chi fra loro ha passato una sola notte in città diventa co-fondatore di un firenze-centrismo ingenuo quanto onesto. Come se l’autore fosse Odisseo e tutte le altre figure i suoi Perimede ed Euriloco che tentano di tenerlo legato all’albero della nave. Ed è proprio qui, in questa generosa e affettuosa partigianeria nei confronti di una fra le città più ammalianti del globo terracqueo che risiede un aspetto rilevante dal punto di vista dell’osservazione di cui si accennava in apertura. La grandezza di Firenze è indiscutibile e il cittadino fiorentino diventa narratore di se stesso, si osserva e si partecipa allo stesso tempo, redige un diario su se stesso, appunta le citazioni di grandi poeti e trova da sé le connessioni che legano la sua indole alla città. Verrebbe da dire che il fiorentino è talmente evoluto da essere ormai lo studioso di se stesso.

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