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Nasce una nuova realtà nel panorama editoriale italiano, una casa editrice indie che fa base a Napoli. Pidgin edizioni propone titoli pescati nel non ancora pubblicato in Italia e ha in cantiere una collana di racconti. Per indagare le origini e i moventi di un’operazione che un nutrito gruppo di savi definirebbe folle  – se consideriamo lo stato dell’arte editoriale e la crisi endemica di un settore moribondo o in ripresa a seconda dalle interpretazioni dei dati –, abbiamo intervistato l’editore Stefano Pirone.

Quando e come nasce Pidgin edizioni? E come si inserisce nel panorama editoriale campano? Siete convinti che ci fosse un buco nell’offerta editoriale da colmare?

L’idea di creare una mia casa editrice risale a diversi anni fa, quando all’attività di traduttore freelance si è unita un’esperienza nella redazione di una casa editrice napoletana, periodo in cui ho avuto l’opportunità di approfondire diversi aspetti del funzionamento di una casa editrice, dall’editing alla gestione della distribuzione; quella stessa esperienza, tuttavia, mi ha fatto pensare molto a cosa avrei fatto e, soprattutto, a cosa avrei fatto di diverso se avessi avuto un mio progetto editoriale.

Ne è passato di tempo prima che passassi ai fatti, e quando è successo mi sono potuto rendere conto della vivacità dell’ambiente letterario per quanto riguarda la produzione indipendente e le iniziative dal basso, specialmente qui a Napoli, città sempre fervente di possibilità di aggregazione, confronto e cooperazione. Altrettanto viva è la scena musicale indipendente locale, con la quale siamo strettamente legati, e che anch’essa offre tanti spunti sulla produzione e collaborazione artistica.

La fascia alta, per così dire, dell’editoria campana, come in generale quella meridionale, è molto modesta e composta da pochi editori storici, alcuni dei quali hanno subito un certo ridimensionamento negli ultimi decenni.

In questo contesto, io individuo due buchi da colmare: il primo è quello di una casa editrice napoletana che, indipendente dalle dimensioni dell’offerta, sia particolarmente rilevante su scala nazionale per ciò che propone; il secondo, e su scala nazionale, è il buco rappresentato dall’assenza di un progetto editoriale dalla caratterizzazione per così dire underground, con una personalità precisa e decisa, un linguaggio diretto e originale, e che vada alla ricerca di storie che siano al limite e che vadano oltre i limiti – limiti intesi come confini geografici, come i limiti del perbenismo e del socialmente accettato, i limiti del linguaggio.

Perché diavolo si decide di fare l’editore in quest’epoca di crisi endemica del mercato del libro e non si mette su un’azienda che vende sanitari?

Perché tutto ciò che ho imparato a fare nella vita mi torna utile in questo settore ed è completamente inutile in qualsiasi altro aspetto della vita pratica e del mercato del lavoro. Perché lavoro come traduttore e revisore da anni, nei settori più disparati. La convergenza di questi fattori mi ha praticamente imposto di fare l’editore e di privare il mondo del mio prezioso apporto nel commercio di sanitari.

Qual è il vostro orizzonte editoriale di riferimento? Ci sono case editrici che avete preso a modello?

Il nostro orizzonte non può essere che l’editoria americana: un mercato così grande che anche i progetti più particolari, specifici o di nicchia possono godere di un vasto pubblico. Tra le case editrici statunitensi, non posso non citare Two Dollar Radio e Tyrant Books: proposte originali e di spessore, grande coraggio e, cosa che non guasta mai, ottime persone con cui avere un dialogo e un confronto.

Le prime pubblicazioni, Il reattivo di Masande Ntshanga e Mira corpora di Jeff Jackson sono opere di autori pescati nel magmatico e florido non pubblicato in Italia. Ci racconti come siete arrivati a questi titoli?

La selezione delle opere da tradurre è sempre lunga e faticosa, e lo è stata anche nel periodo precedente alla nascita della casa editrice. Ho letto decine e decine di libri da tutto il mondo, e alla fine i due titoli che più mi hanno colpito e che ho deciso sin dalle prime pagine che li avrei tradotti (ovvero Il reattivo e Mira corpora) sono stati entrambi libri pubblicati negli USA proprio da Two Dollar Radio (anche se The Reactive è stato importato dal Sudafrica, dove è pubblicato da Umuzi/Penguin). Ma non si tratta affatto di un caso: è la riprova che un progetto editoriale può avere una personalità e che questa possa persino essere riconoscibile a una prima lettura.

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In riferimento alle letterature post-coloniali, il numero di libri di autori proveniente da Asia e Africa è in aumento costante. Immagino voi abbracciate questa crescita, ma ti chiedo: c’è un rischio di saturazione? E come si pone una neonata casa editrice nei confronti di questa concorrenza spietata?

No, non credo ci possa essere una saturazione per un processo che, a conti fatti, sta semplicemente colmando un vuoto che è sempre stato enorme fino a questo momento. Una voragine assurda, se si considera la grandezza, la popolosità e l’antichissima storia di quei continenti. Al massimo, si raggiungerà semplicemente un punto in cui i conti saranno (giustamente) pareggiati.
Non mi piace parlare di concorrenza. Ora come ora, non siamo all’altezza di competere con i grandi editori, e una guerra tra poveri con quelli piccoli e medi non ha senso: è molto più produttivo, dal punto di vista culturale, fare cerchio, e credo che possa esserlo anche a livello economico.

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Ci parli della collana Split che sarà composta da racconti?

L’idea di Split (termine tratto dall’ambiente musicale, che indica quei dischi o EP in cui partecipano più artisti con brani inediti) nasce nell’ottica di promuovere scrittrici e scrittori emergenti e, in un primo momento, era stata immaginata come una serie di raccolte stampate. Ma il progetto si è trasformato in una vetrina online sul nostro sito dove esporre e promuovere questi racconti e poesie. Ciò permette agli autori di avere un riscontro più immediato in termini di lettori e di tempi di pubblicazione: con tutto il lavoro che c’è da fare nella casa editrice, unito all’opera di selezione di questi lavori, ogni raccolta avrebbe visto la luce dopo troppo tempo. Una raccolta cartacea resta comunque nei nostri piani futuri.

Tempo fa hai detto che in Pidgin si tende a scegliere libri con un’attitudine punk? Ci spieghi meglio?

Continuo a usare il termine punk, anche se in senso abbastanza lato, perché sintetizza una parte dell’idea di base del progetto editoriale: la sfacciataggine, il linguaggio diretto e con pochi fronzoli, l’eccentricità, le tematiche forti e l’impatto come un pugno nello stomaco. Non a caso, un certo Don DeLillo ha detto di Mira corpora: «Spero che questo libro trovi quei lettori seri che aspettano che questo tipo di narrativa li colpisca diritto in faccia».

Be’, noi vogliamo pubblicare «questo tipo di narrativa». Vogliamo schiaffeggiare i lettori. Vogliamo essere i cattivi ragazzi dell’editoria italiana.

Che valore ha oggi per l’editoria spingere il lettore fuori dalla propria comfort zone?

Per l’editoria vale lo stesso discorso di qualsiasi altro ambiente artistico: spingersi fuori dalla propria comfort zone significa infrangere certezze, aprire la mente a nuovi punti di vista e vivere sensazioni in maniera diversa, e magari più intensa, rispetto al solito. A volte queste sensazioni possono essere anche percepite come negative, ma almeno si prova qualcosa.

Poi c’è da dire che la bellezza ha tutto un altro senso e valore se è rara e scovata in un mare di merda. E i libri che pubblichiamo nascondono proprio questi unici momenti di poesia. Ciò non li rende momenti migliori o peggiori, ma un’esperienza diversa che, secondo noi, vale la pena vivere.

Credo inoltre che una riflessione sulla necessità di infrangere la comfort zone sia particolarmente valida nell’ambito dell’editoria, dove è diffusa un’immagine idealizzata e intoccabile della letteratura e un grande amore di sé, della propria immagine romantica di lettore, più che, a volte, un amore per la lettura stessa.

Il nome della casa editrice rimanda chiaramente a una ibridazione linguistica e culturale, come si connette al catalogo questa dichiarazione di intenti?

Sì, la scelta è voluta e si articola su due livelli: il primo è che la Pidgin Edizioni vuole essere un ponte di intermediazione tra diverse sfere culturali distanti (geograficamente o socialmente) dal punto di vista del lettore, una sorta di lingua franca che permetta a chi legge di entrare in contatto con un mondo diverso; il secondo è più strettamente linguistico, e fa riferimento alla grande attenzione che rivolgiamo al linguaggio, alle sue particolarità, alle sue forme ibride, alle colloquialità, e ai modi in cui esso viene piegato e plasmato a fini artistici. Per questo inaugureremo a breve una collana di poesia e, in futuro, una dedicata alle opere dal linguaggio più sperimentale.

Ci parli un po’ delle prossime uscite?

Sono veramente euforico per la prossima uscita, prevista per aprile, perché si tratta di un altro libro che mi ha fulminato alla prima lettura e che è finito per diventare uno dei miei preferiti in assoluto. Si intitolerà Billy Argo: il ragazzo detective fallisce, scritto da Joe Meno, autore di quello che in Italia è stato pubblicato come I capelli dei dannati e che negli USA. è un best-seller. Si tratta di un romanzo molto originale e bizzarro, dotato di humor nero e leggibilità leggera, scorrevole, nonostante la tragicità di alcuni punti toccati.

Billy Argo era un detective bambino prodigio e terrore dei criminali della città di Gotham, New Jersey, che lui acciuffava con l’aiuto della sorella minore Caroline e dell’amico grassoccio Fenton. Ma noi lettori lo conosciamo quando ha trent’anni ed è appena uscito da un istituto psichiatrico, dove soggiornava per un’acuta depressione a seguito del suicidio di Caroline. Tornato nel mondo reale, confuso, disadattato e ancora un po’ bambino dentro, il ragazzo detective è costretto ad affrontare la realtà, riprendere le redini della propria vita e fare pace con il passato. Tutto ciò attraversando una serie di esperienze molto singolari e assurde indagini.

È un’opera originalissima, nei contenuti e nel linguaggio, con uno stile diretto e disilluso, attraversato da una sottile vena punk, ricco di dettagli e curiosità, e con momenti divertenti e altri profondi. Una delle letture più esaltanti che ho fatto negli ultimi anni. Con mia somma gioia, sarà il terzo romanzo nella nostra collana Ruggine.

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