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La madre, dato a questa un bacio in fronte, la mise lì come sur un letto, ce l’accomodò, le stese sopra un panno bianco, e disse l’ultime parole: «addio, Cecilia! Riposa in pace! Stasera verremo anche noi, per restar sempre insieme. Prega intanto per noi; ch’io pregherò per te e per gli altri».
I promessi sposi, A. Manzoni

Sarebbe stata la struggente scena della madre di Cecilia, che adagia con grazia il corpo della sua piccola, morta di peste, sul carro dei monatti a ispirare in Asmae Dachan, l’idea del romanzo Il silenzio del mare, edito da Castelvecchi a ottobre 2017. Nel capolavoro della letteratura italiana, la morte della bimba rappresenta il simbolo della sofferenza e del dolore patito dalla popolazione, decimata dell’epidemia.

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«In Siria, di episodi come questo, ne succedono tutti i giorni», racconta in un’intervista, l’autrice, che ha scelto volutamente la forma del romanzo per descrivere il dramma di una guerra che dura da sette anni e non accenna a placarsi. Il conflitto siriano è difficile da comprendere e, soprattutto, diventa fuorviante affidarsi alle sole notizie trasmesse dai media o che circolano sul mondo social. Troppe sono le parti in causa, oscure le motivazioni.

Con parole semplici, Dachan scardina i luoghi comuni che aleggiano da tempo sulla situazione bellica e offre alla più amplia pletora dei lettori una spiegazione, attraverso la storia di due fratelli, Fadi e Ryma Abbud.

Si tratta di due studenti universitari che hanno preso parte ai movimenti di protesta che hanno animato il Paese nella primavera del 2011, per la rivendicazione della libertà e di ogni forma di diritto contro il governo sanguinario di Bashar Al-Assad. Classificati come oppositori, quindi, criminali, e condannati a morte, i due giovani saranno costretti a scappare dalla Siria e ad abbandonare la propria famiglia. Giunti in Libia, pagheranno con i loro risparmi i trafficanti locali per imbarcarsi clandestinamente verso l’Italia, insieme a centinaia di migranti.

Fadi e Ryma hanno un sogno: raggiungere l’Europa, dove potranno proseguire i loro studi e godere di un bene prezioso che nel loro paese non hanno mai conosciuto, la libertà.

La traversata del Mediterraneo, però, sarà terribile. Accatastati in sovrannumero su un gommone in balia delle onde e del mare grosso, solo in pochi riusciranno a essere salvati dai soccorritori italiani. Molti gli annegati, altrettanti i dispersi.

Fadi riesce a sopravvivere grazie all’aiuto di Gino, un pescatore siciliano, che si affeziona sin da subito al giovane e decide di ospitarlo nella propria casa non appena il siriano viene dimesso dall’ospedale. Della sorella, purtroppo, Fadi non riuscirà ad avere più notizie e dovrà rassegnarsi alla crudele realtà: Ryma è morta durante il naufragio.

A mio avviso, sono tre i temi principali affrontati egregiamente dall’autrice. Il primo è la tragedia interiore del migrante. Nonostante l’accoglienza, forse utopica, manifestata dagli italiani che Fadi conoscerà nel corso della sua nuova esperienza, vivrà un eterno e insanabile dramma. Ryma non c’è più, le sue ricerche si riveleranno inutili e Fadi non riesce a perdonarselo. Il senso di colpa per non essere riuscito a proteggerla sarà lacerante, come anche il doverlo comunicare ai genitori.

In Siria si continua a morire, le barrel bombs del regime distruggono quartieri e intere città. I pochi amici con cui Fadi si sente sui social si sono uniti alla Resistenza civile oppure hanno imbracciato le armi e sono andati a riempire le fila dell’Esercito Siriano Libero e presto perderanno la vita, come succederà anche ai suoi cari. Fadi deve prendere una decisione difficile. Se da una parte, ora lui è in Italia, ha una casa, un lavoro e sta imparando la lingua dall’altra parte sente il richiamo della sua terra. Vorrebbe tornare in Siria e aiutare il suo popolo, che oltre ad Assad deve anche affrontare la minaccia dei tagliagole dell’Isis.

Spesso Fadi si reca al porto a contemplare il mare, e spera che prima o poi la sorella possa tornare. Sa bene che è solo un’illusione: il mare che lui tanto aveva amato, lo ha tradito e conserverà per sempre nel silenzio il corpo di Ryma e di tutti i migranti che non ce l’hanno fatta. È un silenzio che uccide, che strazia, che fa venir voglia di urlare.

Il secondo tema è il volontariato. Dafne, la dottoressa che ha curato Fadi e che diventa la sua migliore amica, è il personaggio migliore del romanzo. La donna sembra dedicare anima e corpo al lavoro trascurando i figli e il marito Gabriele, anche lui medico, che a un certo punto, dopo una lite, le lascia un biglietto:

Vorrei entrare negli spazi dei tuoi silenzi. In quel tuo mondo da cui mi sento escluso. Vorrei capire cosa ti manca perché tu debba andare a nasconderti altrove, nei dolori degli altri, perché la tua anima possa trovar pace.

Dafne è, in realtà, afflitta da una grave crisi depressiva che le impedisce di vivere con serenità ogni momento piacevole della vita e le provoca un continuo sentimento di insoddisfazione e incompletezza. L’unica forma di appagamento per la donna è aiutare gli altri.

La condizione mentale della donna combacia con una delle teorie di Eric Hoffer, di cui lo stesso parla nel suo libro più famoso, Il vero credente. Hoffer pone come sentimento principale alla base del volontariato non l’amore per il prossimo, ma la frustrazione individuale. Quando ti accorgi che la tua vita è miserevole allora cerchi di dedicarti a una causa giusta, col solo fine di rinnovare il tuo Io e migliorare la tua condizione.

Gli eterni turbamenti assumeranno in Dafne delle forme estreme.

L’ultima questione affrontata è il pregiudizio della massa. Siamo nel 2014, anno in cui viene proclamato lo Stato Islamico, i video delle decapitazioni imperversano sulla rete e ottengono una vastissima eco sugli organi di stampa. La veridicità di una notizia o di una immagine passa in secondo piano rispetto alla sua capacità di impressionare. Migliaia di giovani europei, soprattutto le seconde generazioni, abbandonano le proprie famiglie alla volta della Siria per arruolarsi tra le fila dei miliziani del Califfato. Verranno denominati foreign fighters.

La paura per il rischio di attentati futuri si diffonde tra i cittadini europei e i partiti di estrema destra colgono la palla al balzo per gettare sospetti su possibili infiltrazioni di terroristi tra i flussi di migranti che raggiungono giornalmente le coste siciliane. Senza alcun fondamento, l’immigrazione viene in automatico collegata al terrorismo.

Nel romanzo, la xenofobia popolare è ben rappresentata da Gabriele, marito di Dafne. Nel momento in cui quest’ultima scompare nel nulla, lui non ha dubbi: la moglie è scappata in Siria e Fadi è responsabile della sua radicalizzazione. Fadi, il giovane siriano, le ha fatto il lavaggio del cervello. Fadi è senz’altro legato all’Isis. Il pregiudizio si impossesserà anche delle istituzioni: Fadi è ricercato in Siria, è un criminale, ergo, è un terrorista. Non viene per nulla presa in considerazione la possibilità che Fadi sia stato condannato nel suo Paese perché oppositore del regime. Un Paese in cui il concetto di giustizia è una questione di punti di vista.

Il silenzio del mare è un romanzo in cui i dialoghi sono ridotti al minimo e viene lasciato grande margine alle più profonde riflessioni.

Quella siriana è una guerra fratricida, l’Isis non è altro che una costola del regime e i mercenari che lo compongono sono funzionali alla repressione, o meglio alla pulizia etnica, promossa da Assad. Sullo sfondo, gli interessi non espliciti delle potenze mondiali. Iran e Russia appoggiano il governo di Damasco e i continui veti di quest’ultima alle risoluzioni del Consiglio di Sicurezza dell’ONU sul cessate il fuoco, hanno contribuito ai recenti massacri di civili inermi e di bambini nella regione del Goutha. Non meno ambiguo è l’atteggiamento del governo americano, passivo di fronte all’invasione turca della Siria nord-occidentale.

Alla fine, Fadi, spalleggiato da Azzurra, la ragazza di cui sarà segretamente innamorato, prenderà la decisione migliore: aiutare il suo popolo dall’Italia attraverso la diffusione della conoscenza.

Un popolo a cui viene negata la dignità e che si sente eternamente imbavagliato è un popolo destinato a morire e la Siria aveva ancora voglia di vivere. […] Forse il suo ruolo ora era quello di raccontare, di far arrivare la voce di chi non c’era più o di chi era morto per rincorrere quel sogno di libertà.

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