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Silvano Rei, trentatreenne protagonista del romanzo di Sergio Oricci Cereali al neon. Cronaca di una mutazione (pubblicato da effequ), è nebuloso e imprevedibile, senza legami emotivi stabili, fluido nella sua esistenza. È il topos dell’eroe sfaticato, fragile, buono a nulla, inadeguato, fuori dai meccanismi di una società incentrata sulla produttività dell’individuo e disumanizzante. Alla fine delle tre parti che compongono il libro – Contrarsi, Vibrare, Espandersi –, perderà la sua umanità per diventare qualcos’altro, compiendo una mutazione – una metamorfosi – obbligata.

«Le pillole azzurre sono finite, la abbiamo mangiate al party dei looner; restano pillole rosse, incandescenti, confetti di luce.» L’era del consumo ha ridotto l’individuo alla sua funzione sociale più utilitaristica e Silvano Rei tenta di tirarsi fuori dall’ingranaggio cercando un’altra verità in una vita dissoluta di festini, performance estreme, feticismi, esperienze psichedeliche e videogiochi, ma anche attraverso gli strumenti di quella stessa società: match su Tinder, tweet, Instagram, condivisioni e like. L’hub del groviglio di dispositivi tecnologici che regolano la vita è il rapporto tra uomo e macchina: «Gli smartphone sono estensioni di noi. Contenitori di una memoria che non siamo più capaci di tenere dentro. Non lo siamo mai stati. Altri cervelli, altri cuori. Sistemi nervosi che riusciamo a toccare. E a disattivare, anche se con dolore.» Proprio perché protesi umane spegnere i telefoni significa spegnere se stessi, recidere i legami con il mondo: «Solo una notifica, voglio lampeggiare solo un’altra volta. Chiuso nella mia testa. Immobile. Inconsistente, quasi trasparente».

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La contrapposizione finto-reale, artificiale-naturale, vero-virtuale è uno dei temi cardine del romanzo di Oricci. Il mondo digitale è rassicurante, pulito, ordinato, ma esplicita che niente è permanente, che tutto sarà sostituito: «Percorriamo strade virtuali su Google Maps, senza curarci di quello che abbiamo attorno; tutto quello che serve è sullo schermo, basta eliminare un aggiornamento per tornare alla versione precedente, che subito torna a essere attuale. Cancellazioni e sostituzioni, la percezione è in un continuo stato di refresh (F5, F5, F5, F5)»; e ancora: «Il presente ci scivola dalle mani. Dopo un minuto dobbiamo essere sostituiti». Il concetto di sostituzione permea l’intero romanzo e non riguarda soltanto il discorso sull’automazione in un immaginario cyberpunk, ma si estende anche ai rapporti esclusivamente umani: i vari feticismi sessuali descritti sono un esempio di come il desiderio si sposti da una persona viva a un sostituto, un oggetto inanimato, come i palloncini per i looner – «Un’erezione senza penetrazione, un piacere di plastica che vale tutta la carne che ho visto. Le soffiatrici iniziano a soffiare, respirano nei palloni sgonfi». I dispositivi che diventano velocemente obsoleti siamo noi e quindi il destino di Silvano Rei è inseguire il bianconiglio e cercare una forma più consona alla rapidità, al riciclo infinito proprio del mondo digitale che diventa metafora della vita stessa. La tecnologia mostra quello che abbiamo sempre saputo – siamo destinati a scomparire – facendo spallucce e chiedendoci: e allora? È tutto un gioco.

Attraverso un monologo nevrotico, dialoghi sfuggenti, frammentati, riflessioni, visioni e ricordi intermittenti come neon, Silvano Rei assimila e interiorizza la realtà riflessa, indaga le cause prime delle sue azioni allo stesso modo del protagonista di Memorie dal sottosuolo di Dostoevskij, ripercorrendo i propri fallimenti: «Che si fa dopo aver fatto una buona primaimpressione? Come si sostiene la primaimpressione? Come si gestiscono le aspettative? Come ci si sviluppa come esseri umani, dopo la prima impressione? È che faccio troppo. Spingo troppo. Tutto e subito. E poi più niente. Non c’è più niente da vedere, niente di buono da dire. In quattordici minuti ti mostro tutto, tutto». Il flusso di coscienza discontinuo è quindi perfetto a descrivere una vita di infinite molteplicità perché principalmente inconscio, e quindi provvisorietà o, per dirla con le parole di Knut Hamsun, «un mondo di reti e di cellule e di spigoli e di sconcertanti profondità, in cui tutto vive e si muove e si muta».

A quell’eroe debole ed emarginato che è Rei – «È terribile. A volte la certezza di essere un disadattato esplode, e non so come reagire. Non perché voglia adattarmi, non si tratta di questo. È il dolore» – non resta altro da fare che trovare una via di fuga, spingersi verso un ulteriore stadio antropologico, frantumare l’essere e superare i confini tradizionali dell’io per raggiungere un nuovo livello, oltrepassando l’uomo. La soluzione è esplodere, scomparire, annullarsi, ricrearsi e, come in un videogioco – del resto trattasi di un viaggio dell’eroe in digitale –, ripartire dall’ultimo salvataggio.

Il tormento dell’uomo contemporaneo – «dopo i trentotto anni si sparisce, o si muore» – viene proiettato all’esterno: «Ti ricordi quando mi hai raccontato quella storia del tizio che si sveglia una mattina e quando va in cucina non trova la Nutella? […] E poi quando va dalla moglie a chiedere dove sia finita la Nutella, lei gli dice che non ha mai sentito parlare di questa Nutella, che però da come lui la descrive suona come una cosa deliziosa e le piacerebbe che esistesse e invece no, mai esistita. […] E a poco a poco spariscono altre cose. Oggetti, calzini e caffè per esempio. E concetti come sonno e fame. […] Ti ricordi come finiva? […] Finiva con l’uomo seduto su un centimetro di asfalto, circondato dal nulla. Dal vuoto. In attesa che anche quel minuscolo punto di appoggio svanisse, per cadere chissà dove».

Allo stesso modo in Cereali al neon. Cronaca di una mutazione a poco a poco scompaiono tutti gli elementi, gli appigli. Attorno a Silvano Rei non resta che il vuoto, cresciuto ed espanso sotto i nostri occhi. Sta al lettore colmare le lacune del protagonista, completare la sua figura poliedrica e alla fine domandarsi: Cosa diventiamo quando mutiamo? Del resto dobbiamo tenerci occupati mentre aspettiamo la scritta game over.