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Racconti torna sul luogo del misfatto per la quarta volta e a tre anni dal suo gran ballo delle debuttanti riporta al Salone Internazionale del Libro di Torino Philip Ó Ceallaigh con la sua nuova raccolta La mia guerra segreta, venti libri dopo il primo, seminale Appunti da un bordello turco che aveva segnato anche l’esordio della casa editrice. Stavolta non ci sarà Vanni Santoni a dialogare con l’autore irlandese, bensì un altro grande raccontista come Paolo Zardi che per il precedente libro si era espresso così:

Appunti da un bordello turco di Philip Ó Ceallaigh è un libro che costringe a rivedere il modo di pensare alla scrittura, di immaginare una storia, di affrontare il mondo. Invece di porsi nel solco di una qualche tradizione, rompe i paradigmi esistenti, proponendo un nuovo punto di vista. La lettura può risultare perfino dolorosa perché talvolta attacca convinzioni profonde: finita l’ultima pagina, può succedere che si avverta la sensazione che niente potrà essere più come prima. Alza l’asticella di ciò che si può fare con la lingua. Inventa problemi che nessuno si era posto fino a quel momento.

La mia guerra segreta ci trascina per le viuzze soffocanti del Cairo e dentro fitti boschi transilvani alla ricerca di uno spazio dove togliere gli scarponi e far riposare i piedi. La forma di questo viaggio è la short story, una pratica che Ó Ceallaigh padroneggia alla perfezione tanto da non temere rivali, come non ha mancato di sottolineare il suo conterraneo Joseph O’Connor. La penna dello scrittore irlandese è sempre caustica e irriverente, ma i toni sulfurei di Appunti da un bordello turco hanno ceduto il passo a una maturazione e a una ricerca che sfiora la perfezione.

Philip Ó Ceallaigh sarà ospite a tre eventi: giovedì 9 maggio alla Libreria Pantaleon alle ore 20; venerdì 10 maggio alle 14.30 assieme a Paolo Zardi nella Sala Internazionale del Salone; e sabato 11 maggio alle 18 alla Libreria Milton di Alba.

Oltre a La mia guerra segreta, Racconti presenta (nel malinteso senso in cui Altaforte presenta il libro su Salvini) anche le altre nuove uscite: A casa quando è buio di James Purdy, La felicità è come l’acqua di Chinelo Okparanta e La casa della fame di Dambudzo Marechera. In più, per chi verrà a trovarci allo stand R78 al padiglione 3 ci sarà un’anteprima stralunata tutta da scoprire…

La casa della fame di Dambudzo Marechera (traduzione di Eva Allione) è il numero uno della nostra nuova collana degli Scarafaggi, dedicata al racconto lungo o per dirla all’anglosassone alle novellas. Marechera è stato il bad boy della letteratura africana, il doppelgänger dei Chinua Achebe e dei Wole Soyinka, o mettendola in un’altra maniera, è stato «il Joyce africano». 

Figlio di un becchino e di una bambinaia, cresciuto all’ombra del segregazionismo, la sua scrittura è «una forma di combattimento» segnata dall’esilio e dalla schizofrenia. Espulso da Oxford, Marechera conoscerà le galere britanniche e la vita da squatter prima delle luci della ribalta: Doris Lessing dirà che leggere La Casa della fame è come «ascoltare un grido» e Marechera sarà il primo africano a vincere il Guardian Fiction Prize. Dopo un tour promozionale che lo rese una star in Germania – nonostante avesse rischiato di non partire presentandosi scalzo e senza documenti all’aeroporto –, Marechera tornerà in Zimbabwe per assistere alle riprese del film tratto da La Casa della fame, ma verrà allontanato dal set dopo aver dato in escandescenze alla notizia che il suo primo romanzo era stato messo al bando.

Passa qualche anno e Marechera è una figura familiare per chi vive tra le strade di Harare: il matto farfugliante che gira con la macchina da scrivere e un sacco a pelo. Finirà i suoi giorni a soli trentacinque anni, dimenticato da tutti, malato di Aids e alcolizzato, senza una casa né un soldo a suo nome.

La casa della fame è una cronaca straniante e schizoide della quotidianità in un regime brutalmente distopico come quello segregazionista della Rhodesia di Ian Smith. Racconto polifonico ma dalla potenza immaginifica pazzesca è anche l’urlo rabbioso dei margini del mondo che si rifiutano di essere addomesticati.

Gli editori presenteranno libro e collana domenica 12 maggio alle 11 alla Libreria del Golem.

Se Dambudzo Marechera rappresenta un controcanto alla tradizione della letteratura africana, Chinelo Okparanta è pienamente inserita nella scena nigeriana che in questi anni è stata se possibile sovrarappresentata, dopo la pubblicazione e il successo di Metà di un sole giallo di Chimamanda Ngozi Adichie. Okparanta è una delle scrittrici più interessanti della diaspora africana ed è stata inserita da Granta tra le migliori narratrici americane per La felicità è come l’acqua (traduzione di Federica Gavioli) e per il suo romanzo Under the Udala Trees, una storia d’amore tra donne ambientata all’epoca della guerra in Biafra. I suoi racconti, pubblicati sul New Yorker, su Granta e Tin House, hanno vinto diversi premi tra cui l’O. Henry Prize e il Lambda – Literary Award for Lesbian Fiction.

La felicità è come l’acqua è un libro di moderne fiabe africane in cui ci si immerge accompagnati da una lingua lirica e una cadenza folclorica, dentro un nuovo mondo sorretto da parole antiche, ascoltate di sottecchi mentre si cucina un riso jollof, tuonate da pulpiti, o peggio ancora mai pronunciate e sepolte in un quotidiano limaccioso e misterico, riaffiorando in superficie, annaspando per trovare l’aria. 

La felicità del titolo è passeggera e proprio per questo preziosa; più che bagnarci si disperde in rivoli tra le nostre mani mentre leggiamo di donne disposte a tutto pur di sbiancarsi la pelle nel tentativo impossibile di assomigliare alle modelle lattiginose di Cosmopolitan per poi essere ripudiate dai mariti ed etichettate come mgbaliga, «botti vuote», quando non riescono a fare figli. Un mondo ancestrale di pozioni sciamaniche che dànno la morte e di una nuova ricchezza che avvelena i pozzi e i parchi gioco. Racconti divisi a metà tra gli Stati Uniti e la Nigeria capaci di schiudere nuovi orizzonti narrativi, che hanno fatto salutare l’arrivo di questa grande scrittrice ad autori come Mohsin Hamid e Paul Harding, Julie Otsuka, Chika Unigwe e NoViolet Bulawayo.

Last but not least, allo stand di Racconti troverete anche A casa quando è buio, la seconda antologia di short stories di James Purdy, un autore che «come tutti i grandi scrittori dice la verità e può lasciarti a bocca aperta per un dettaglio». Perlomeno a detta di Marco Rossari, il quale nel suo pezzo sulla raccolta chiosava così:

i racconti di questo libro, uno più bello dell’altro, sono quasi sempre confronti, dialoghi a due in cui si svela lentamente, con grande sapienza, tutto quello che c’è intorno: personaggi, ambienti, situazioni emergono in modo nitido eppure fuggevole, chiaro e insieme distorto. Il desiderio che emerge dal calore dell’aria tra i corpi a bordo piscina; la trasformazione belluina di un figlio angariato; la lenta, inconsapevole emersione della cattiveria in una pacata chiacchiera davanti a un tè: ogni racconto di Purdy è un quadro perfetto e insieme sbavato. 

Ha scritto Jonathan Franzen che dove gli scrittori come lui e Bellow si fermavano, lì cominciava James Purdy. Ecco, cominciate anche voi.

L’appuntamento è al Salone Internazionale del Libro di Torino: stand R78, padiglione 3 assieme a quei bei tomi di Black Coffee e Liberaria.

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