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«Tutto il resto era buio.»

Casa d’altri, Silvio D’Arzo

 

Vanni lo chiamavano il «muto» perché non era un tipo socievole e, per la maggior parte del tempo, prendeva a sassate i gatti: gli piaceva vedere come scattavano sotto le macchine parcheggiate nelle stradine intricate del Borgo. Il Borgo somigliava proprio a delle budella che erano state tirate fuori dalla pancia di un cristiano e tirate sopra un monte, sembrava un intestino spiaccicato sul cucuzzolo, con una manciata di case e il palazzo comunale e il campanile della chiesa. D’altronde Duccio, che era lo scultore del posto, lo diceva sempre, come un mantra, affacciandosi dalla sua bottega tutto impolverato di marmo e con lo scalpello in mano: «Quello che i turisti chiamano minimalismo toscano, per noi è soltanto la miseria».

Comunque a chi gli domandava perché non combinasse mai niente, Vanni non si prendeva nemmeno la briga di rispondere. Si limitava a scrollare le spalle, come se la cosa fosse più grande di lui. Neppure quella nuova febbre della «banda larga» era riuscito a contagiarlo. Un gruppo di operai era venuto con un furgoncino su per i viottoli che tagliavano i valichi e i terreni e gli albereti e le argille. Quando l’antenna era stata montata la gente del Borgo aveva esclamato: «È più bella della Tour Eiffel!». Il sindaco aveva preso l’Ape-car della campagna elettorale e col megafono aveva voluto avvisare la cittadinanza che ora finalmente anche al Borgo ci sarebbe stato «campo». Qualche vecchio contadino aveva interrotto il desinare per dirgli: «Oh sindaco, qui c’è sempre stato solo quello».

A Vanni internet gli metteva tristezza. Internet secondo lui era come una piazzaccia invasa da una manifestazione politica. La piazza vera invece si era svuotata, e anche i bar, con le sale del dopolavoro che restavano vuote, i mazzi di carte intonsi e le seggiole di plastica accatastate una sopra l’altra. La gente cosa faceva? La gente, diceva Duccio quando si affacciava dalla sua bottega di scultore, stava sui social network, e non servivano più i luoghi d’aggregazione reali perché ci si aggregava per finta. Dentro quegli aggeggi c’erano le relazioni, i tradimenti, gli addii e i ritorni di fiamma. Incontrarsi non serviva più, era bello stare a scriversi senza combinare nulla, sospirare dell’impossibilità, pascersi nella chimera.

Un giorno Vanni incontrò il Neri, che era il postino del Borgo e, sebbene fosse un po’ grullo, per la natura particolare del suo lavoro sapeva tutto di tutti.

«Ne conosci tanti che c’hanno una tresca su internet?» gli chiese a bruciapelo.

«E chi non ce l’ha?» ribatté pronto il Neri. «Ce l’avrei anch’io una storia, ma mi vergogno della fava.»

Vanni si fece spiegare: ci si scambiavano messaggi con le donne finché non arrivava qualche fotina, però bisognava subito ricambiare, e fare anche bella figura, sennò addio!

A Vanni venne un’illuminazione: «Se vuoi la fava te la presto io.»

Si misero d’accordo per un servizio completo. Una decina di foto da varie angolazioni, e per aumentare la verosimiglianza Vanni avrebbe indossato la divisa da postino del Neri.

«Duecento euro, ci troviamo appena riscuoto lo stipendio» disse alla fine il Neri, tutto serio.

Vanni, che era ancora a scrocco dai genitori con paghette settimanali da scolaretto, non batté ciglio e, per rassicurare il suo cliente, si tirò giù i pantaloni e mostrò la mercanzia.

«Intanto ti faccio una foto così» disse il Neri, mostrando il suo apprezzamento.

Quella sera, mentre nei cunicoli deserti del Borgo la solitudine infuriava (affacciandosi avrebbe visto soltanto le lucine dei telefonini, tante, tantissime, peggio di un’invasione di lucciole), Vanni si divertì a immaginare il suo bizzarro quanto estemporaneo business prendere il volo. Quanti grulli come il Neri ci sarebbero potuti essere nel Borgo? Magari avrebbe prestato la fava anche a Duccio, o al sindaco, o al monsignore (s’immaginò di fare un servizio fotografico dentro la sagrestia, con la tonaca da prelato, e sogghignò). Magari si sarebbe sparsa la voce, qualcuno lo avrebbe contattato anche da fuori. Gli avrebbero spedito gli indumenti, e poi avrebbero pagato con bonifici bancari. Tutti lo avrebbero voluto come prestafava, perché offriva quel servizio unico di personalizzazione. S’immaginò che tra i suoi clienti ci fossero volti noti, dj, calciatori, attori, che gli spedivano jeans Moschino e completi di Armani, e forse gli pagavano perfino biglietti aerei per fargli fare le foto a bordo piscina oppure dentro a una Maserati. Per i compaesani non sarebbe più stato il «muto», e rosi dall’invidia avrebbero temuto la sua partenza, il suo addio al Borgo (benché in diversi ritenevano che Vanni avesse un senso delle radici più sviluppato del normale, quasi una forma d’ottusità).

Vanni passò una settimana con questa febbre addosso, finché non arrivò il giorno stabilito. Dopo un bidet accurato, si tagliò i peli pubici con le forbicine da unghie per mettersi in ordine (una cosa che non solo non aveva mai fatto, ma non gli era mai passata neppure per l’anticamera del cervello), e poi uscì di casa tutto baldanzoso.

Dopo pochi metri gli si parò dinnanzi tal Gabriellina, la sua ex storica (o meglio, la sola ragazza con cui fosse mai stato): una micragnosa che lavorava in una lavanderia a valle, unica italiana in mezzo a una selva di rumene.

«Il tuo lo riconoscerei tra mille, non mi posso sbagliare» esordì, senza girarci intorno.

In pratica il Neri, durante la quotidiana consegna della posta, si era già vantato del suo nuovo membro con la quasi totalità della popolazione femminile del Borgo.

Gabriellina continuò implacabile: «Qual è la mia percentuale? Sennò ti sputtano, e perdi il cliente».

Vanni ci rifletté un istante, poi disse: «Ti va bene il venticinque per cento?»

«Il cinquanta.»

Vanni accettò e poi andò a lamentarsi nella bottega di Duccio che le «donne era meglio perderle che trovarle». Raccontò anche del Neri e del suo accordo, e del fatto che magari questa strana forma di noleggio potesse riscuotere successo.

«Tu che dici?» chiese ingenuamente. «Diventerà un business?»

«Con tutte le foto che si possono rubare su internet la vedo difficile, ma certo il mondo è pieno di grulli» disse Duccio. «A questo proposito, qual è la mia percentuale? Sennò ti sputtano, e perdi il cliente.»

Vanni restò per un attimo in silenzio, preso in contropiede, poi propose: «Ti va bene il venticinque per cento?».

«Il cinquanta.»

Col Neri, per prestagli la fava, aveva appuntamento sul belvedere del Borgo, dove un tempo c’era un viavai continuo di coppiette, ma ora che era stato deturpato da una linea ferroviaria ad alta velocità non ci trovavi neanche una lucertola. Vanni però, all’improvviso, tornò «muto» e cominciò a girovagare per il Borgo e anche più in là. Camminò per i viottoli che tagliavano i valichi e i terreni e gli albereti e le argille. L’addizione, per quanto nella sua testa tentasse di modificarla, era elementare: cento euro a Gabriellina, cento euro a Duccio. Ma cento più cento faceva duecento, cioè l’intero importo pattuito col Neri. A un certo punto si fermò e scrollò le spalle, come se la cosa fosse più grande di lui. Prese un sasso abbastanza aguzzo da terra e s’avviò ciondolando verso i gatti del Borgo.

Luca Ricci (Aprile 2018)

 

 

 

 

 

 

 

 

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