Pubblichiamo La morte verrà di Ingeborg Bachmann nella nuova traduzione di Giulia Priore. Buona lettura!
Le nostre nonne Anna ed Elisabeth sono morte anni fa e i nostri nonni Franz e Leopold sono morti, le cugine e i cugini lo sanno. Siamo una grande famiglia e contiamo tante morti e tante nascite, ne fanno parte perfino le morti come quella del dottor Kilb, il nostro medico a Stetten, e l’assassinio del Dr. Bärenthal a Hausen. I nostri morti sono distribuiti in tanti cimiteri, i nostri Ognissanti, i nostri giorni dedicati alla loro memoria, vengono dimenticati da alcuni, ma ricordati da altri. Dalla cugina Lise e dalla cugina Alwina. Nelle nostre fattorie e nelle nostre case di città ci sono gli album con le foto incollate, comprese quelle dei morti e perfino quelle dei morti in fasce, e anche di nostro cugino Ernst e di nostro cugino Mottl. L’uno aveva vent’anni, l’altro trentadue ed era cugino acquisito. E morirono a quell’età, sui campi di battaglia o anche solo passeggiando vicino a un cespuglio di biancospino, sorpresi da una pallottola vagante, non ne sappiamo nulla di più. Il nostro lutto non è uguale per tutti e alcune morti le abbiamo addirittura dimenticate, ad esempio alla zia Mitzi abbiamo dovuto ricordare a un certo punto che la zia Marie, appartenente a un altro ramo della famiglia, era morta già da anni, l’aveva dimenticato o forse non se n’era mai veramente resa conto, nonostante fosse di solito attenta a tenere bene il conto delle morti e delle nascite. E dimenticanze di questo tipo capitavano anche a Wera e Angela e soprattutto a Eugen, che vivono lontani dalla famiglia, con i quali a malapena ci si scambiano gli auguri di Natale, che sono spesso in viaggio o vivono in altri paesi e hanno formato nuovi nuclei, di cui sappiamo solo per sentito dire.
La nostra famiglia, e questa è la sua unica legge chiara, esiste per i morti, per le astre, per i servizi buoni, i bicchieri da liquore e le posaterie in occasione dei matrimoni, e per gli auguri, che in alcune giornate rallentano la posta, per le nascite, i battesimi, i compleanni e le feste della mamma. La nostra famiglia s’impadronisce della morte, della malattia, anche se potrebbe non averle comprese del tutto.
La nostra famiglia si è impadronita della morte di Ernst, il quale si impiccò per aver imbrogliato l’assicurazione, e si è impadronita della morte di una bambina di quattro anni, Rikki, che rimase impigliata nelle cinghie di una macina elettrica, ne uscì mutilata e infine morì. La nostra famiglia non è tutti noi insieme oppure un ramo o una parte, ma è un’enorme spugna, una memoria, che assorbe tutte le storie, [e] facendone una storia propria. E sul fondo, nel suo fondo umido, nella sua memoria gonfia, siede ognuno di noi, anonimo e nutrito, nella sua anonimità.
E poiché quando la morte si presenta a noi in una sua forma comprensibile, si manifesta passando [sopra] un membro della nostra famiglia. Quando la busta bianca viene trovata nella cassetta della posta, quando sotto il fermoposta s’intravede un bordino nero, quando la notizia viene letta alla fine di una normale lettera: «P.S. Lo sai che lo zio Karl è morto dieci giorni fa di cancro allo stomaco, ha sofferto moltissimo, è stato un sollievo», allora la famiglia si prende i suoi diritti e disegna una vita in pochi tratti, la vita dello zio Karl: una volta era andato in Germania per lavorare, poi aveva sposato la zia Resi, lo zio Karl si tirava il lobo dell’orecchio, giocava a carte nell’osteria, saltuariamente si ubriacava, non era andato al funerale quando era morto il nonno, litigava sempre con lo zio Hans per il giardino, per la frutta, lo zio Karl aveva una bella voce, suonava il liuto e poi, e poi, e poi lo zio Karl ora defunto, ora sotto le astre, veniva omaggiato tre decenni fa con un servizio da liquore, ora con un minuto di silenzio, tra una cosa e l’altra, tra due lettere da chissà dove, tra due momenti che non c’entrano niente.
La nostra famiglia senza misura, senza limiti, impone il suo metro di misura alle vite, l’uno ha fatto grandi cose nella vita, l’altro non ha combinato nulla, l’uno è una vergogna per l’intera famiglia, l’altro un grave peso, e notizie segrete e giudizi segreti vengono fatti girare e [—]. La morte verrà e non metterà fine. Perché la memoria dell’uomo non basta, c’è la memoria della famiglia, stretta e limitata, ma un po’ più resistente nel tempo e un po’ più fedele. Fedele per necessità, per amore della piccola immortalità, dura al massimo mezzo secolo. Poi anche lei dimentica le astre per i morti più antichi, il bosso e la sua cura. In un certo senso la famiglia vigila anche sui nomi, e non si può dire con sicurezza per quale motivo ne siano consentiti solo alcuni e altri no. Anche chi entra in famiglia per matrimonio rientra in questa regola e si chiamano Trude, Peter, Franz, spesso Elisabeth, spesso Stefanie, Josefine, Therese, ma in realtà possono dichiarare il nome per intero solo davanti ai funzionari ufficiali e nelle cerimonie importanti. Il nome di tutti i giorni, il nome in uso, è Lisi o Lisa, Steffi, Fini e Resi, le Anni, Rosi, Edi si aggiungono al gruppo. Solo una volta i nomi di famiglia sono stati messi a rischio, quando lo zio Peter si è fidanzato [con] una ragazza di nome Mary, nel 1925, e poi un’altra volta quando il cugino Ernst nell’ultima vacanza prima della sua morte spaventò la famiglia con la notizia di voler sposare una ragazza di nome Karin, di Uelzen presso Hannover. Questa Karin, la quale nel 1957 venne a trovare i parenti del suo promesso sposo defunto, s’innamorò alla fine della sua visita di un villeggiante tedesco renano e rientrò con la persona di Wolf-Dieter in territori in cui il suo nome era più benvoluto di quanto lo sia qui.
Nella nostra famiglia ci sono perlomeno due assassini e due ladri e tre prostitute, anche se questo nessuno lo direbbe della nostra famiglia e la nostra famiglia ha pagato il suo tributo alla storia e alla politica e ha, senza averlo pianificato, avuto un membro in ogni partito, a volte anche più di uno. Tutte le idee sono state rappresentate nella nostra famiglia, anche se non nella loro forma più alta e chiara, bensì in una veste più vicina al popolo, la nostra famiglia ha calpestato le idee e le ha piegate a suo favore, e a un certo punto ha avuto i suoi monarchici e anarchici, i suoi socialisti, i suoi comunisti. E poi venne un tempo in cui ha avuto i suoi nazisti e antisemiti, menti malate, i loro saccheggiatori e assassini, e allo stesso tempo ha avuto anche le vittime, e alle volte alcuni sono stati sia gli uni che le altre, come lo zio Sepp, il quale aveva uno dei numeri più bassi del partito nel paese e il quale durante la guerra aveva litigato con i membri del partito a causa di un trasporto di legna e finì in un campo di concentramento, una vittima di cosa, nessuno lo sa.
[—]Ma la nostra famiglia, e questo fa parte del suo fascino, non sa nulla delle idee che ha aiutato a covare, cui ha fornito appoggio, che ha contribuito ad alimentare. La nostra famiglia è un enorme corpo senza testa, che si trascina per il tempo, a cui vengono mozzati gli arti e a cui ne crescono di nuovi. È il mostro acefalo per il quale sono competenti ministeri e religioni, norme morali e codici della legge, e in un certo senso anche la nostra famiglia è una sacra famiglia, poiché se ne parla molto, sembra essere qualcosa di irreprensibile, di divino, e questo solamente perché si è ramificata, perché nei cespugli sul Gail due si sono accoppiati o perché lo zio Edi ha dato un altro figlio alla zia Fini da ubriaco. Tutto ciò consente alla nostra famiglia di avere un diritto sul mondo, questa terra le appartiene, e nessuno oserebbe contrapporsi. Poiché la nostra famiglia, sacra e profana, è ignara e innocente, non è ciò che sono i singoli, ma lei, che è tutti insieme, si innalza fiera e porta trionfante il nostro nome. Sì, noi le apparteniamo, lei è migliore di noi, non è solo un’idea, ma qualcosa che si è fatto carne.
La zia Lisi deve essere portata in un ospizio. La cugina Rosi ha avuto due gemelli, eterozigoti, due femmine, [loro] si chiamano Erna e Alwina. Grazie a Dio per tutto. Lo zio Sepp [è] all’ospedale per la terza volta quest’anno. Sospiriamo, tutta la famiglia sospira a fondo quando qualcuno deve andare in ospedale. La famiglia è veramente ben organizzata sul fronte delle malattie. Le malattie, se non si sospirasse e non ci si lamentasse tanto – si potrebbe quasi pensare che siano tutti sempre in attesa che qualcuno si ammali di nuovo. La zia Erna deve andare immediatamente a K., poiché Rosi si è ammalata e deve occuparsi dei bambini. Scrive a tutti di questa cosa, viene sostituita da zia Lisa, e poi Fanny, la nostra cugina più anziana, alla fine deve accogliere tutti i bambini e li deve nutrire fino a che Rosi non si rimette. Quando è Fanny ad essere malata, viene solamente zia Maiza, – oh esistono leggi non scritte! In una famiglia ci sono sempre alcune donne che si occupano di tutti i bambini, che affrontano tutte le malattie, devono aiutare tutti, e altre che invece devono contribuire di meno, ma che in compenso si occupano di altro. Le nostre cugine Maiza e Wine, per esempio, si preoccupano di non far mancare mai nella famiglia chiacchiere e pettegolezzi su cosa non si può dire e cosa non si può fare. Tutta la famiglia s’indigna di continuo per le storie vecchie e nuove delle due cugine. Maiza ha divorziato, è corsa dietro al parroco, è andata a letto con mezzo paese e, secondo la zia Lisa «non se la prende più nessuno», e da allora va con i muratori italiani e con i viaggiatori che passano per la valle. Wine è la più giovane ed è gia la terza volta che ha una relazione con un uomo sposato. La famiglia sa distinguere i pettegolezzi dalla realtà nella vita esecrabile di Wine, la famiglia lascia trapelare solo una parte della verità, ma al suo interno, tra sé e sé, è molto, molto crudele, giudicante e avida di dettagli. Ogni membro della famiglia viene giudicato dalla famiglia, ci sono gli accusatori e i difensori, c’è il pubblico e ognuno è, a seconda del caso, qualcos’altro, il difensore a volte è solo spettatore, l’accusatore a volte è difensore.
Chi accusa Maiza rimane indifferente davanti al comportamento di Wine, solo gli anziani sono severi nei confronti di tutti e fanno in modo che solo i defunti si trasfigurino in modelli. I nostri nonni sono trasfigurati e anche le nostre nonne, dei bisnonni non c’è nemmeno da discutere, hanno già le ali, e i quali […] da lontano una luce sulla nera […].
Ogni tanto, per anni, una parte della famiglia si vergogna dell’altra parte. Nostro zio Edi si vergogna davanti alla propria moglie, nostra zia Erna si vergogna della famiglia di lui, e nostro cugino Edi si vergogna dello zio Edi e della zia Erna e dei loro figli, e loro si vergognano davanti agli sconosciuti, davanti ai consiglieri regionali, ai pretori, ai villeggianti e ognuno ha il suo motivo. Lo zio Edi si vergogna, perché la zia Nana ha rubato alcune zucche dal campo di proprietà di un parente della zia Erna, e si vergogna, perché Fredi è comunista e perché parla da sopra la staccionata con i villeggianti di «governo pulito», dei pensionati e degli «stipendiati» avendo in mente lo zio Sepp, il quale vive della sua pensione e ogni volta Fredi diventa rosso di rabbia quando pensa alla vita di Sepp, il quale era un uomo delle SA e «ha partecipato a lo sa il cielo quali azioni» in Jugoslavia; si parlava spesso di azioni, e Sepp non la smette di parlare degli ufficiali e degli ebrei, colpevoli per la sconfitta in guerra e ogni sera, prima di andare a dormire, dice ai suoi figli: l’Austria è la nostra casa, ma la Germania è la nostra patria, e manda i figli a un’associazione proibita e lì imparano a loro volta cosa lui ha imparato tardi, a cantare, a srotolare le bandiere, ad accendere i falò, e la zia Resi scuote la testa, perché lei lo sa, e perciò anche tutto il resto della famiglia lo sa, tutto tenuto sotto il sigillo del silenzio: non finirà bene. Almeno i bambini dovrebbe lasciarli fuori. I bambini. I bambini. La zia Erna dice che non è la fine del mondo e lo racconta ad altri. E tutti lo raccontano ad altri che Irg ancora crede che Hitler sia in vita e che tutto ciò che c’è sui giornali oggi è una bugia, bugie e inganni dice anche Peter, e Hansi dice che lui con la politica non vuole avere nulla a che fare, Irg dice che se adesso si dovesse andare di nuovo contro i russi, lo farebbe subito, lui li conosce i russi, lui è stato nel Caucaso, della nostra famiglia in cinque sono stati in Russia, loro li conoscono i russi, due sono stati in Francia, loro li conoscono i francesi, due sono stati in Norvegia e in Grecia, loro sanno tutto sui norvegesi e i greci. Nessuno di loro ha una vera e propria fiducia nei confronti dei paesi che conoscono e infine i nostri morti sono in Russia e in Grecia e in Polonia e in Francia, ma per quanto riguarda loro, non sappiamo più cosa pensano, e Kurt e Seppi sono stati una volta in Italia, nel cimitero grande di Aprilia, e hanno portato i fiori sulla tomba di Hans, loro raccontano e ancora si racconta che il cimitero è tenuto bene, è ben curato ed enorme, un cimitero immenso, non ci si crede quasi per quanto è grande e così ben tenuto.
Un senso per la grandiosità ha la nostra famiglia, per i grandi momenti e per tutto ciò che è immenso.
Per quanto riguarda però la lingua della nostra famiglia, perché come si potrebbe comprendere la nostra famiglia se non si conosce la sua lingua, è antica e selvaggia e ferma e forgiata sui modi di dire, e questa lingua, come tutte le lingue, da tempo non è più adatta a nessun oggetto e a volte si trova proprio lì, dove nasce la poesia.
Questa è la lingua della nostra famiglia:
Fredi non vale un soldo bucato.
Erna è l’ultima ruota del carro.
Ciò che dice Hans non ha né capo né coda.
Siamo così sensibili che sentiamo crescere i fili d’erba e cose da pazzi, e Gesù Maria e Giuseppe, e l’ha presa come la contadinella dal ballo, troia rimane troia, che Dio ci perdoni, a mali estremi, estremi rimedi.
La nostra famiglia ripete a pappagallo, parla, dalla mattina alla sera, parla e parla, nelle cucine, nelle cantine, nei giardini, sui campi, non si capisce proprio di cosa parlino così tanto, ma riempiono il mondo con le loro […]. La zia Erna sta di nuovo alla staccionata con la vicina, lo zio Sepp beve il suo bicchierino di Schnaps nell’osteria dello zio Edi, parlano del fieno, delle pezze calde, del tempo, dei maiali macellati, dell’amministrazione comunale, dell’affitto, del consorzio. La nostra famiglia fa in modo che si parli di tutto, e ha già la propria opinione su tutto, e nessuno le fa cambiare idea, solo a volte, per un periodo lungo sette anni, le è stato vietato di avere alcune delle sue opinioni, poi le ha avute di nuovo, la nostra famiglia ha generato tutti i pregiudizi di questo mondo, anche se già esistevano, si è inventata tutte le crudeltà possibili; nella nostra famiglia si dice: quello o quell’altro andrebbe impiccato o denunciato oppure quell’altro se l’è andata a cercare, e tuttavia la nostra famiglia ha anche una mitezza, ha anche le sue lacrime, si è pianto e singhiozzato sul male nel mondo, sulla morte di una mucca, per la zia Maria, per la disgrazia di Maiza, la nostra famiglia preferisce piangere su se stessa, per quello che le capita, raramente per quello che capita agli altri, in quel caso ha un brivido, di cui gode: avete già saputo, Taller lo hanno trovato con tre pugnalate in pancia, nell’Obertal. Alla nostra famiglia piacciono le cattive notizie, nessuna città era stata mai bombardata abbastanza, i morti non erano mai troppi, ne ha sempre aggiunti di più, di cento ne fa mille, così che il brivido sia più forte, si crogiola e rovista nell’infelicità, ma per non fare torti a nessuno ingigantisce anche la propria di infelicità, le sofferenze, che sono state vissute, vengono […].
Nella nostra famiglia ognuno deve assomigliare a qualcun altro, questa è la legge, fin da piccolissimi viene detto a chi assomigliano i bambini, a Nona o allo zio Hans, che è sepolto ad Aprilia oppure alla zia Anna. L’onore più grande è di coloro a cui viene concesso di assomigliare a Nona, una delle nostre nonne, che però diffonde sempre terrore quando si parla di lei, custode dei maggiori segreti della famiglia. Ogni tanto qualcuno accenna a quanto fosse dura, al fatto che non dava mai un pezzo di zucchero ai nipoti, a quanto era solitaria e più intelligente degli altri, a come leggeva i libri e sapeva tutto della storia, di Rudolf von Habsburg e dell’imperatore Maximilian, e del principe Eugen, e come leggeva per ore ad alta voce nella sua stanza dal libro di storia, nessuno poteva andare da lei, e nessuno poteva darle del tu, e alla fine pensava che tutti volessero avvelenarla, e che fosse in corso una congiura contro di lei, a quel tempo la zia Erna piangeva sempre, perché era quasi convinta che gli altri pensassero che lei voleva avvelenare Nona, e lo zio Peter non entrò più in casa, perché non riusciva ad accettare il fatto di essere chiamato assassino dalla propria madre […].
Sarei degna di appartenere a una famiglia se rivelassi i suoi assassini, se denunciassi i suoi ladri. È infatti possibile perdonare i crimini e i difetti delle altre famiglie, ma la propria famiglia, con i propri bubboni purulenti, non la tradirò mai, mai. Eppure mi è permesso di vedere molto più nella mia famiglia che in qualunque altra. È nato in me un grande occhio per la nostra famiglia, un grande orecchio per le sue lingue, un grande silenzio su tutto ciò che è da tacere, visto da così vicino.
Tacciamo. La nostra famiglia che si è diffusa nel mondo, come l’umanità tra creature sconosciute, la nostra famiglia, da cui il mondo non può più guarire.
Io e Noi. Non è che a volte intendo oramai solamente un Noi? Noi donne e Noi uomini, Noi anime, Noi dannati, Noi naviganti, Noi ciechi, Noi naviganti ciechi, Noi sapienti. Noi con le nostre lacrime, vanità, desideri, speranze e disperazioni.
Noi indivisibili, divisi attraverso ogni singolo, comunque Noi.
Non intendo forse Noi, che andiamo incontro alla morte, Noi, accompagnati dai morti, Noi che stiamo affondando, Noi inutili?
In così tanti momenti siamo Noi. In tutti i pensieri che non riesco più a pensare da sola. In tutte le lacrime che sarebbe meglio non venissero versate solo per me.
Noi Ci auguriamo per l’Anno Nuovo. Noi Ci auguriamo che Rosi stia meglio, auguriamo alla zia Erna una morte dolce. Temiamo lo zio Edi. Pensiamo spesso a Nana.
Nana che scivolava attraverso le porte e che rimestava nell’abbeveratoio, che portava le bestie alla fonte. Nana, che diceva: Oh Dio, Oh Dio. Così iniziava ogni sua frase. Nana che è diventata pazza e che hanno dovuto legare al letto. Che è stata in manicomio, che aveva paura di morire di fame, a cui nessuno dava il pane, che rubò la zucca nel campo vicino. Così poco di Nana, è tutto di Nana, chi era, chi è, la nostra morta?
Non la punite. Non ci punite per nessuno. Un covo di vipere, gli eletti, questo siamo, ciò che qualcuno vuole calpestare e qualcun altro rendere grande. Sempre noi, voglio essere amata per tutti.
Ingeborg Bachmann, «Der Tod wird kommen» da «Werke, Band 2»
© 1978 Piper Verlag GmbH, München/Berlin
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↔ In alto: foto © João Jesus from Pexels
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