Penso sia giusto ci sia anche gente che comunica in modo non specifico, con cose abbastanza salottiere, un po’ stupide. Il fumetto no. Il fumetto è il dogma, il fumetto è l’esattezza, la precisione per eccellenza, perché non si scappa, c’è l’immagine, c’è lo scritto: se sei un fesso si vede subito, se sei un genio anche. Se sei un artista non lo so, perché l’essere artista è un altro paio di maniche.”
A. Pazienza“Leur changement [d’idées] n’est donc qu’un pari engagé sur ce que le tribunal va proclamer demain comme vérité.”
Kundera, Les testaments trahis
Il 20 febbraio Francesco Piccolo ha proposto Momenti straordinari con applausi finti di Gipi, fumetto, come candidato al Premio Strega. Il dibattito su fumetti e premi letterari è nato già tempo fa (in Italia nel 2014, soprattutto, sempre intorno a Gipi e allo Strega); la rubrica però esiste da così poco tempo che probabilmente posso dire la mia, anche se con un po’ di ritardo.
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La contaminazione è un bene, un bene neanche auspicabile perché di fatto naturale, a volte osteggiato, ma naturale e inesorabile (come una sonata di Beethoven, volendo insistere con i riferimenti a Kundera). In questa candidatura però, e in questa generale approssimazione, il problema è che i confini si abbattono con la ruspa, non si superano, né si assimilano, si negano. Questo accade perché le proposte sono fondate su temi e contenuti, non sulla tecnica: la tecnica è stile, lo stile è libro, il libro è atto politico. Non tenere conto delle barriere che esistono tra le arti significa svuotare di senso ognuna di queste scelte. Se un premio è dedicato a un cantuccio preciso (la narrativa, i fumetti, il cinema) deve essere calibrato non solo sulla sinossi di un’opera, ma anche sulla sua grammatica, sul suo rapporto alla tecnica.
Si potrebbe obiettare che niente impedisce l’analisi dignitosa di un fumetto nel contesto del premio Strega. È vero. Ma questo premio a chi si rivolge? Nel regolamento si parla di «libri di narrativa» (art. 5), perché quindi non a un fumetto? Non racconta anche lui storie? Certo, ma in altre forme, con altri strumenti. I vincitori di questo premio sono infatti definiti «scrittori» (art. 9): intorno alla definizione di fumettista si oscilla senza trovare un termine ufficiale, ma di certo non può essere definito «scrittore». Scrittore è qualcuno che può essere aperto alle ibridazioni, ma fa della parola il proprio strumento cardine: è una questione di dosi, di preponderanza, di stile, difficile da definire ma allo stesso modo dirimente. La (buona) scrittura è senza dubbio parte dell’arte di raccontare a fumetti, ma non basta. Funziona come per la musica (Guccini parlava di «fumetto sonoro» per definire la forma-canzone), e così come per la musica la lettera non solo non è indispensabile, ma deve spesso farsi da parte; la parola nel fumetto può anche permettersi di essere banale, debole, perché il disegno che l’accompagna le dà forza e tensione (Manuele Fior, Les cahiers de la bande dessinée). Non è allora strana questa confusione delle arti? Non è esteticamente ingiusta, da qualunque punto la si guardi?
«Libri di narrativa», si diceva: eppure romanzi e fumetti non stanno insieme nemmeno sugli scaffali di una libreria. Sono davvero lo stesso oggetto? Pensare che includere il fumetto nei premi letterari sia un modo di fargli onore è un paradosso, perché l’assimilazione è compiuta ignorando completamente la sua natura specifica di media (di tecnologia). Non è un caso, quindi, che l’inserimento dei fumetti in queste lotterie non cambi di una virgola il dibattito sul suo valore, rimanendo uno sfizio intellettuale che al massimo consacra (e sempre dopo il pubblico) un autore-personaggio.
Se si vuole mischiare tutto si faccia un premio, più generico, alla cultura italiana. Si pesi che cosa un’opera ha detto in più su cosa vuol dire stare al mondo, il suo valore artistico globale, la sua capacità di unire e di convincere, il suo successo… lasciando sullo sfondo gli strumenti che gli sono propri (senza ignorarli del tutto, ovviamente). Si rivedano i termini dei regolamenti, si premi l’arte di raccontare storie! Potrebbe essere un’idea avvincente, che includerebbe linguaggi apparentemente lontani, che aprirebbe (per davvero) i confini delle arti tenendone bene in mente i diversi caratteri. Ma in assenza di un simile programma sarebbe meglio mantenere argini e barriere, con giudizio e misura, e in questo modo complicare il livello del discorso, non confondere tutto in un calderone di semplicità a bassa risoluzione.
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