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«Aspettami sotto il letto

È lì che finisce tutto, chissà perché

Sarà che l’anno bisestile 

È un anno da pescecane anche per me […]

Ma dedicami un’ora dei tuoi giorni felici

Di quelli che si contano

Di quelli in cui sorridi

Senza nasconderti

Armata fino ai denti per difenderti.»

Giorni felici, Giorgio Poi

Iniziare a parlare di un fumetto partendo dal testo di una canzone sembrerebbe bizzarro, ma la sua uscita ha accompagnato quella dell’omonimo volume e questi versi lasciano intuire ancora prima di aprire il libro parte della nostalgia, della complessità di temi e di forma che la lettura di questa storia porta con sé.

Giorni Felici è il secondo libro di Zuzu, nome d’arte di Giulia Spagnulo, pubblicato da Coconino Press nell’autunno del 2021 e candidato al Premio Strega 2022 da Valeria Parrella.

Il perno della storia è Claudia, ma il centro non è solamente lei, bensì le diverse sfaccettature dell’animo umano, dell’amore così com’è, com’è stato ma soprattutto di come non potrà essere se prima non ci si libera di certi fardelli personali. 

Il volume si apre con un prologo che sa di libertà: lei è al mare, con un ragazzo, comincia a sanguinare per via del ciclo ma se ne frega bellamente. Si tratta di una spensieratezza che potrebbe trarre in inganno, e di cui si comprenderà il peso reale solo alla fine della lettura: se il primo lavoro di Zuzu si caratterizza per le tavole in bianco e nero – Cheese (Coconino Press, 2019) – ciò che colpisce di quest’ultima opera è l’utilizzo di pastelli colorati che restituiscono, nonostante la vivacità di alcune tavole, anche una buona dose di cupa profondità.

Il titolo del fumetto è tratto da Giorni felici di Samuel Beckett, un’opera che influenza struttura e trama del fumetto: non solo la storia è organizzata in due atti, ma Claudia sceglie un monologo proprio da questa opera per affrontare un provino a Roma, dove ha vissuto negli anni dell’università. Se infatti all’inizio del primo atto troviamo Claudia e Piero in vacanza, sarà per l’appunto il viaggio a Roma e separare la coppia e a portarci nel passato di lei e sempre più vicini alle sue paure. 

Soffermandoci sui disegni del primo atto, quello che balza all’occhio è una serrata suddivisione della tavola che, se da un lato suggerisce uno sguardo veloce, dall’altro costringe alla ricerca del dettaglio; tra una vignetta e l’altra assistiamo a una trasformazione totale del corpo della protagonista, un cambiamento prima cromatico – il lento passaggio del suo incarnato dal rosa al bianco – e poi di forma: le spuntano dei denti aguzzi, degli artigli, una coda e persino il suo sguardo si fa più ferino. È una metamorfosi di cui i due protagonisti sono consapevoli e che pare essere accettata come ordinaria nella routine dalla coppia, nonostante rappresenti un allontanamento dalla condizione umana che scatta proprio nel momento in cui il lato più intimo di Claudia prende il sopravvento. Già nella fase iniziale della costruzione della storia, l’unicità del personaggio principale emerge sia grazie al modo di relazionarsi col compagno sia in virtù dello stupore che prova e non teme di mostrare davanti alle cose che la circondano. 

La fine del primo atto è dedicata al passato della ragazza, appena arrivata a Roma, dove incontra il suo primo amore, Giorgio; così, in un lungo flashback, la si può osservare vivere momenti felici e non, insieme al compagno di allora, come pure la problematicità – l’unicità – che un carattere ricettivo come il suo comporta. In questa fase si può osservare come, sin dall’inizio della loro relazione, proprio la sua attitudine, se prima porterà Giorgio a innamorarsi con facilità della ragazza malgrado la differenza di età, successivamente lo renderà critico nei suoi confronti fino ad arrivare all’inevitabile allontanamento dei due.

La seconda e ultima parte del libro è una vera discesa nell’abisso, una corsa che conduce inarrestabile verso la perdita di qualsiasi freno inibitore. Le tavole restano regolari ma si passa da delicati dialoghi in cui è percepibile tutto l’imbarazzo che si può provare parlando del presente con una persona simbolo del passato, a pagine nelle quali tale presente si perde di vista, il parlato sparisce in favore di immagini che, anche quando assenti – vere e proprie sequenze di vignette nere, nello specifico delle soggettive di Claudia – sono capaci di rendere chiaro un senso di smarrimento totale e profondo. Arriverà il momento del provino, che sarà intenso e commovente, ma che da motore degli eventi diventerà teatrale rappresentazione di una fragilità irrimediabilmente esposta.

Dopo essere scesi così a fondo nella storia personale della protagonista e nel suo dolore, si tornerà a Piero, con immagini paragonabili a quelle dell’inizio della storia, caratterizzate da inquadrature di più ampio respiro: lui è solo, le vignette non sono più quadrate, regolari e che ti spingono a guardare i dettagli, ma sono presenti campi medi e si ritorna a un’ambientazione bucolica; quello che distingue queste tavole da quelle iniziali è però tutta la consapevolezza acquisita dal lettore che ha potuto osservare e leggere la perdita di ogni confine, relazionale e personale, finanche quello del proprio corpo; una presa di coscienza che non lascia mai nulla esattamente com’era in precedenza, anzi trasmuta e cambia ogni cosa, come spesso accade nelle storie e, alle volte, anche nella vita.

Se nel prologo troviamo una Claudia a cui si fa percepire come bizzarro un fatto del tutto naturale, alla fine del viaggio – qui inteso come reale, quello per e da Roma, e metaforico, verso la propria ferale essenza – quella puntualizzazione di Giorgio appare, col senno di poi, ben più che una nota stonata: lo sguardo furbo della nostra protagonista diventa la perfetta immagine della pacificazione tra le diverse parti di sé. In Giorni felici si parla prima di tutto di relazioni, ma a una più attenta analisi emerge che l’argomento su cui tutto si fonda è il viscerale perturbamento che l’accettazione della propria natura comporta. All’inizio della narrazione Claudia vive la sua storia con Piero con serenità ma sempre sentendo aleggiare lo spettro dell’altra versione di sé, soltanto dopo aver lasciato che proprio quella parte prendesse il sopravvento, la nostra protagonista riesce a tornare alla sua vita, non considerandosi più come una persona mai stata intera ma vivendo con coraggio le proprie fragilità.

Giorni Felici colpisce dritto al petto, non lo fa però con la retorica tipica delle narrazioni a tema amoroso, quelle in cui le storie d’amore finiscono e lasciano vuoti; qui il vuoto parrebbe pregresso e soprattutto non riguarda l’altro, bensì se stessi. Sebbene le relazioni sentimentali passino e con esse anche le persone che ne hanno fatto parte, perdere di vista sé è il lutto peggiore al quale ci si possa sottoporre e Zuzu riesce a raccontare tutto questo senza rinunciare alla dolcezza dal retrogusto amaro tipica dei momenti felici che «quando passano sono quelli che fanno più male».

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