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Roberto, quanto fai di panca piana? Cento. Alla faccia del cazzo, Robeʼ. E di pressa? Quasi duecento, forse uno e ottanta. E si vede, si vede, Robeʼ. Squat? Non me lo ricordo, Franceʼ, però tanto. E ci credo, ci credo.
Francesco, vienimi a vedere la schiena se sta dritta quando torno su col bilanciere. Subito, Robeʼ. Ma no, ʼspeʼ, finisciti la serie. No, Robeʼ, ma figurati, sono fiacco oggi. Preferisco darti una mano a te. E vabbuoʼ, Franceʼ. Vieni.
Robeʼ, vieni a vedere il bagnoschiuma, ha un nome strano, tiene scritto che è elicriso. Madoʼ, Franceʼ, ma quale bagnoschiuma: ma tieni un cazzo tanto. E che non lʼavevi mai visto? No, e ti pare che se lʼavevo visto non me lo ricordavo. Lo sai quanto ci alzo con questo? Non lo so, Franceʼ, a me basta che mi ci alzi a me.

Francesco prepara la cena. Uova strapazzate, petti di pollo alla piastra. Due bicchieroni di latte di mandorla. Roberto gioca alla PlayStation, corse di automobili, mentre sta al telefono con un suo amico. Nunzio ʼo ballerino.
Nunzio, ma tu a Dante non glielo dai bene. Quello la sera torna a casa stanco, non ce nʼha di mettersi a fare le capriole, lo devi coccolare, devi fare tutto tu. E te lo dico perché sennò a Dante lo perdi. Per lui ci sta prima il soldo. Poi vieni tu. Ma questo lo sapevi, non te lo devi far dire da me. Che sto a faʼ? Gioco alla Play. No, mi dispiace, non tengo un cazzo a cui pensare. A me se mi va bene un mese di lavoro, poi faccio quello che voglio, il tempo lo scialacquo come dico io. Altro che gli sculettamenti tuoi. Franceʼ, ti saluta ʼo ballerino! Nuʼ, ti risaluta Francesco. Statti buono.

Roberto sta provando a ottenere la sua forma migliore in vista di una gara di bodybuilding. Qualificazioni al campionato italiano, categoria Menʼs Physique. Fra tre mesi, a Padova. Vincenzo lo allena dall’anno scorso.
Allora, girati di schiena. Fammi un doppio bicipite. Ci hai i dorsali inesistenti, Robeʼ. Lo so, non mi crescono. Robeʼ, con una schiena così è inutile che gareggi. Addirittura. Eh, addirittura. Se vuoi proviamo un poʼ di multifrequenza. Ma qua’ multifrequenza, qua ci vogliono le bombe. Ancora con le bombe, Robeʼ? Ma non ti andare a rovinare la vita per una garetta del cazzo. Vinceʼ, ma tu davvero fai? Ma che vuoi, Robeʼ. Ma vattene affanculo, vaʼ. Ma sientʼacchistʼ.
Roberto esce dalla palestra e si tira su il cappuccio della felpa. Riaccende lo smartphone, inserisce il codice pin e lo schermo viene tempestato di notifiche di WhatsApp. È Francesco che chiede a tutti i costi di sentire i suoi audio. Sono tre, da quasi otto minuti lʼuno. Roberto aggrotta la fronte ma non si agita affatto. Tira fuori gli air pods, li accende e fa partire gli audio.

Il ragazzo alla reception è nuovo. Quando incrocia lo sguardo di Roberto, che ha due occhi gonfi e rossi, cerchiati di un viola scuro venato di verde, non sa che quello è un Roberto devastato. Pensa sia uno strambo come tanti fra quelli che frequentano la palestra. Roberto gli dà la tessera e il ragazzo gli porge le chiavi dellʼarmadietto.
Robeʼ, su, se vuoi racconta. E che vuoi che racconto, Ricca’. Aspetta, fatti aiutare con questa serie. No, faccio da solo. Ma venticinque chili da solo, a freddo, Robeʼ? E ce la faccio, mannaggia la puttana, ce la faccio. E vabbuoʼ, vai. Però se vuoi parlare, parla. Parlo, parlo.

Roberto esegue le alzate laterali senza respirare. In faccia è diventato rosso acceso, una vena sulla fronte è grossa quanto una corda.
Così tʼammazzi, Robeʼ. Ho vomitato tutta la notte. Dicci. Non ho dormito, a lavoro non sono andato. Ho vomitato tutta bile, figurati se mangiavo. E no Robeʼ, hai da mangiare. Ma che mangiare. Ma che mangiare il cazzo, Robeʼ, guarda che Vincenzo sta incazzato. Pure. Eh, pure. Vincenzo mi suca le palle. Ma si è fatto sentire, almeno? Ma chi. Ma come chi: Francesco. No. ʼAzzo. Ma perché, un verme così serve pure di risentirlo? E allora è proprio un verme, Robeʼ.

A casa, Roberto prepara uno shaker di proteine al cocco. È la sua cena. Il televisore è su raiuno e va in onda il telegiornale delle venti. La conduttrice ha una collana di losanghe bianche e nere, che a seconda dei movimenti sotto i riflettori cambiano colore, dal rosso brunito allʼocra. Roberto ci rimane incantato, senza più sentire di quale fatto politico stia parlando.
Si guarda allo specchio del bagno. Torace, spalle, bicipiti e trapezio non sembrano sgonfiati. Eppure sa che Vincenzo li troverà calati di volume, addirittura ammosciati. Lʼaddome è massiccio, ma la tartaruga fa fatica a venire fuori. Roberto strizza i muscoli, poi cede e ha un momento di sconforto. Si piega sul lavandino e piange senza emettere suono. Singhiozza e sbuffa. Poi si rialza piano. Si guarda di nuovo nello specchio e sputa.

Vedi che ti riacchiappiamo, stai tranquillo. Sto tranquillo. Dopo che vai via, passa dal ragazzo che ti dà il barattolo che ti dicevo. Vabbuono. Robeʼ, lʼaltra faccenda? Quale. Robeʼ, Francesco. In culo. Buono. Passi dopo a vedermi i dorsali, Vinceʼ? Passo dopo, passo dopo.

In salotto, Roberto è sul divano e guarda il telegiornale delle venti. La conduttrice indossa una maglia bianca e una giacca jeans. Il barattolo di proteine è ancora imballato e per cena non cʼè nulla. Prende il telefono e chiama Nunzio.
Nunzio, te la vuoi fare una chiavata. Vieni qua tra unʼora. Tʼaspetto. Ciaʼ.
Roberto corre in camera a fare cinquanta flessioni. Poi unʼaltra cinquantina di addominali. Vuole pompare sangue nei muscoli, sudare un poʼ. Si tira quanto più possibile per quando arriverà Nunzio, che è un ragazzino alto e magro e soprattutto esigentissimo. È un passivo arrogante. Duro e flessibile come una barra di titanio; sguizza dalle mani appena lo dai per scontato. Roberto lo sa, ci ha avuto da fare già altre volte. Non è una scopata da prendere alla leggera. Si mette a fare gli squat, ma non più di una quarantina, sennò gli si appesantiscono troppo le gambe. Chi lo sa cosa vorrà fare Nunzio.

Robeʼ, io te lo dico: Francesco è ritornato in palestra. Ma quando. Lʼaltro ieri. E vabbuono. E io però te lo dovevo dire. E che me ne fotte. Se lo incroci che fai. Niente, che devo faʼ, digli che è un coglione. E quello lo sa già. E tu pure tieni ragione. Senti, Robeʼ, ʼsta gara? La vai a fare? E perché non devo. Non lo so, mica ti vedo che ci stai con la testa. Riccaʼ, non ti ci mettere pure tu. Già Vincenzo mi caca il cazzo che se non vado è meglio. E vedi che magari te lo diciamo perché ci preoccupiamo. Ma di che? E porca madonna, Riccaʼ, è una gara del cazzo a Padova, mica vado a faʼ la rapina alla banca. Non tʼarrabbiare, Robeʼ, ti fai brutto. Ma vaffanculo.
Negli spogliatoi, Roberto se ne sta nudo, in piedi, davanti agli specchi. Ma si guarda la barba. È nera, coi riflessi castani e rossi. Quattro peli bianchi.
Che culo che tieni, Robeʼ. Grazie. Ti do una cinquanta. Che me ne faccio. Dammi duecento. No, trecento. Robeʼ, con trecento mi ci pago mezzo affitto. E allora continua a cercaʼ su grinder. Fammelo mordere. Ma di che. Eddai, Robeʼ. Ma vattene.

La sera prima della partenza per Padova, Roberto chiama Nunzio.
Mi vieni a fare un massaggio, te ne torni a casa alle dieci, dieci e mezza. Ti faccio la carbonara. Nunzio, per favore, mica te lo chiedevo così, se non mi serviva. Ma che me ne fotte di Dante. Mo la scusa di Dante, tieni. Ma vafammoccʼ.
Si toglie gli slip e comincia a fare gli squat in salotto. Al terzo squat si interrompe, perché sente vibrare lo smartphone. È Vincenzo.
Vinceʼ, mo che vuoi. E sto a casa. No, faccio due squat, il bagno caldo e poi dormo. Te lo giuro. E Vinceʼ, ti giuro. A che ora passi domani. Va bene. Ciao, ciaʼ.
Va a sedersi sul divano. Apre la galleria e col pollice della mano sinistra scorre fino a fermarsi su delle foto di Nunzio che balla a torso nudo, in discoteca. Sono foto di un anno fa. Prende e inizia a farsi una sega. Si concentra sui deltoidi di Nunzio. Sono gonfi e striati. Viene subito. Si tiene la cappella in mano per non farsi colare la sborra addosso, sul divano. Zompetta per il corridoio con il cazzo stretto in punta, ancora eretto. In bagno accende la luce, si vede nello specchio. Continua a farsi schifo.

Robeʼ, dove hai messo gli elastici. Stavano qua. Robeʼ, ma possibile. E che rʼè, mo pure per gli elastici mi devi cacare il cazzo. Ma non è gli elastici, non ci stai proprio con la testa. Vuoi andartene? Vai, vaʼ. E mica mi servi tu. Robeʼ, cerca gli elastici. Me li faccio dare da qualcuno. Ma chi te li dà, che si fanno tutti i cazzi loro, giustamente. Vinceʼ, ma che cazzo mi hai accompagnato a fare?
Roberto suda troppo. Tutta lʼabbronzatura spray gli cola sul petto. Sembra fatto di mogano striato.
Fammi i bicipiti frontali. Vai, strizza, strizza. Strizza di più. Ci hai ancora mezzʼora, fatti due flessioni. Mettici cattiveria, Robeʼ. Dai. Dai, che ne ho visti certi che secondo me ti piazzi bene.

Roberto compie la sua routine quattro volte in mezzo ad altri undici uomini. Non passa il primo turno.

Ma a lavoro come va. Va. Eh, e grazie. Ho chiuso una casa, va bene. Non ti preoccupare. Ma chi si preoccupa, era per parlare. Certo, Robeʼ, mica puoi tenere il muso per tre mesi mo. Ma cʼ bbuoʼ, Riccaʼ. Robeʼ, abbassa la voce. Allora non mi stare a dire le stronzate. Ma stai inviperito. Scopi? No. E scopa, Robeʼ. Tieni pure la fila, se vuoi: ci sta il ragazzetto biondo che gioca a rugby, quello ti guarda solo a te qua dentro. Ci scambio qualche parola ogni tanto, te lo presento. Hai capito chi. No, Riccaʼ, me ne frega un cazzo. Eddai, ma devi scopare, mica puoi stare a pensare a Francesco per sempre. Ma chi ce pienzʼ. Eh…

Roberto si sistema sotto la pressa per i quadricipiti. Ha caricato a duecentoventi. Stacca il peso e spinge. Diventa rosso, sbuffa saliva come un geyser. Riccardo corre subito verso di lui. Dice che doveva avvertirlo.
Robeʼ, piano!, e piano, cazzo! Ma te la vuoi finiʼ o no?, Riccaʼ!

Francesco parcheggia proprio sotto casa di Roberto. Scende dalla macchina, gli manda una nota vocale. Rimette lo smartphone in tasca. Passeggia un poʼ sul posto, poi va a controllare se Roberto ha visualizzato: non ancora. Pensa che potrebbe andare a citofonare. Non riesce a decidersi. Guarda ancora: spunte grigie. Manda un’emoji: una manina con lʼindice alzato. Poi fa un altro audio. Roberto continua a non visualizzare. Allora va verso il citofono. A passo svelto attraversa fuori dalle strisce. Arrivato al portone si blocca. Controlla ancora: ancora spunte grigie.
Roberto è sul divano. Mangia un panino con prosciutto cotto, sottilette e maionese. Gioca alla PlayStation. Un gioco di corse. Il telefono è in camera da letto. Sente citofonare. Mette il gioco in pausa. Va a rispondere. Appena sente la voce di Francesco preme istintivamente il pulsante per aprire il portone. Riaggancia subito. Bestemmia a denti stretti.

Robeʼ, quello ti rifai al prossimo campionato. Se ti tieni la forma e ci lavori, il salto lo fai. Vincenzo te lo dice sempre, o no? Sì. E vedi. Mi sono messo a mangiare male. E che problema è: mangi meglio. Ho sempre fame. Sai che devi comprarti? Il taglia fame. È un coso che si inala, lo vendono in farmacia; costa nemmeno cinque euro, provalo. E lo proverò. Il resto, Robeʼ… Tutto bene? Nemmanco per il cazzo. Va male a lavoro? Franceʼ, non fare il coglione, per piacere.
Roberto tiene in mano le palle di Francesco. Sono lisce e dure. Riesce a stringerle a malapena, quanto sono grosse.
I coglioni di toro, tieni. E il cazzo di un cavallo. È vero: tieni il cazzo del cavallo. Mo te lo mangio, vuoʼ vedeʼ? Ma vaʼ…

Robeʼ, tieni freddo a stare nudo. No. Come no, ci hai la pelle dʼoca. E dici a Vincenzo di alzare i riscaldamenti. Comunque di petto sei cresciuto. Grazie. Mo quandʼè che rifai una gara? Lʼanno prossimo. Robeʼ, ho sentito cose brutte. Che. Ho sentito che a Francesco lʼhai ridotto male. Ma che tʼhanno detto. Eh, che hanno detto… Quello canta. Qua in palestra sanno tutto. E sanno male. Ma qua’ male, Robeʼ, quello i segni ha fatto vedere, a tutti quanti. E se li è fatti lui. Robeʼ, ti devo dire una cosa. Riccaʼ, dici, e che cazzo. Vincenzo non ne vuole più sapere. E lʼavevo capito. Neanche le palle di dirmele in faccia, le cose. Mi dispiace. Ma che mʼ nʼ fottʼ. Robeʼ. Riccaʼ, mʼhaʼ shcassatʼ ʼo cazzʼ. Fammi fare la serie. Non mi frega un cazzo, cambio palestra, cambio preparatore, cambio purʼ ʼo quartiere. Calmati, Robeʼ.

Vincenzo è fuori a fumare insieme a un socio. Guarda il cielo. È gonfio, color catrame. Sta per mettersi a piovere.
Io coi ricchioni già una volta ci ho avuto a che fare. Sono gente che se si mette dʼimpegno riesce in tutto. Come i giapponesi, i cinesi. Ma quelli, i ricchioni, pensano troppo al pesce. È la malattia loro. Più che noi con la fessa. Quelli gli metti il pesce davanti e sono capaci di buttare via i milioni, la vita. A me di Roberto dispiace, era una buona pubblicità per la palestra, figuriamoci. Ma coi ricchioni, Ferna’, m’agg’ rutt’ ‘o cazz’.

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↔ In alto: foto Gorilla Freak / Unsplash.

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