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È raro che autori che fanno la storia della loro arte scrivano periodicamente per i bambini, nel cinema, in prosa o in poesia, ma è quello che accade con Ariol, disegnato da Marc Boutavant, prolifico e originale autore per l’infanzia, e sceneggiato da Emmanuel Guibert, uno dei più grandi fumettisti contemporanei, già vincitore nel 2020 del “Grand Prix” di Angoulême. Sicuramente nel mondo dei fumetti i confini tra le età sono spesso più labili che altrove ma, il più delle volte, questo è dovuto alla fedeltà dei lettori che iniziano da giovanissimi a seguire una serie e, crescendo, non l’abbandonano. (Questo è vero almeno per le generazioni in cui la serialità era la regola.) È una trasversalità, dunque, che riguarda principalmente l’impegno e la nostalgia del pubblico, solo in parte entra in gioco la capacità degli autori di condire una storia con diversi piani di lettura. Più raro è il caso che vede degli autori lavorare costantemente su più tavoli, caparbi, rivolgendosi di volta in volta a un’età precisa, come accade con Ariol.

Si tratta di una serie che viene pubblicata dal 1999 su J’aime lire (“Amo leggere”, una rivista per bambini dalla grande tiratura, Oltralpe, ma chissà perché vissuta per pochissimo in Italia col nome di Vitamina, tra il 2015 e il 2016). I suoi episodi sono periodicamente raccolti in volume dal 2002, editi in Italia da BeccoGiallo. Gatto gattaccio è il sesto e penultimo albo della serie e, se dal titolo lascia presagire storie all’insegna dello scontro tra il protagonista (l’Ariol del titolo) e la sua nemesi felina e vincente (Tiburgio), nelle sue dodici storielle affronta un vario affresco di personaggi e situazioni, tutte a misura di bambino. 
I protagonisti sono alunni della seconda elementare, ognuno trasformato in un animale di cui conserva caratteristiche fisiche e, più vagamente, psicologiche. Fino ad ora, Guibert ha descritto un solo anno della vita dei personaggi, ma in un’intervista di qualche tempo fa non escludeva di poterne raccontare l’adolescenza, a un certo punto, o addirittura l’età adulta: un’idea che si accorda al resto della sua opera, la parte ‘seria’, caratterizzata da una forte tensione biografica, e che si arricchisce ancor più di risonanze se proprio lui afferma, flaubertianamente: «Ariol, c’est moi!», e racconta di trarre gran parte dell’ispirazione dai propri ricordi d’infanzia.

Ariol è un asinello dagli enormi occhiali, innamorato di Petula, vitellina (si sta allacciando una scarpa) e a sua volta amato dalla mosca Bisbiglia (anche lei occhialuta, sulla sinistra); il suo grande amico Ramono è un maiale (ci sta chiacchierando), il suo avversario di tante scaramucce è Tiburgio, un gatto (al centro).

Destinate dunque editorialmente a un pubblico di giovanissimi, le inquadrature di Ariol riprendono gran parte delle volte i personaggi in piena figura, attraverso prospettive piane. Lo sfondo varia di rado e spesso la scena procede orizzontalmente, senza strappi, attenta a non perdere alcun gesto dei protagonisti. Quello di Boutavant è un disegno espressivo e molto pulito, sempre, perfettamente leggibile anche grazie all’uso di colori tenui e naturali, completamente funzionale al tipo di storie raccontate.

Queste poi, sempre inseguendo un equilibrio di immediatezza e comprensibilità, sono costruite con una forma ricorrente facilmente decodificabile: dieci tavole, ognuna divisa in quattro vignette della stessa taglia. Anche quando le vignette diventano tre le proporzioni non sono alterate e si conserva così un’idea rassicurante di ordine e regolarità (v. immagine successiva): è il caso della prima e dell’ultima tavola di ogni storia; la prima è occupata in alto dal titolo e poi da un solo unico grande disegno che serve a dare subito il tono, il luogo e il tema dello sketch; l’ultima, in cui una sola vignetta occupa la striscia inferiore, vi concentra la battuta finale, la scena in cui gli snodi vengono al pettine e vi si trova o la spiritosaggine del racconto, come da tradizione della striscia umoristica (Uno a zero e Acquapluf), oppure la morale (Le torte della signora Sapolini), o ancora della calma che segue l’azione, fatta di imbarazzi e piccole paturnie (Gattino di neve e Votate Ariol). 

Proprio i finali sono un buon esempio della raffinatezza compositiva di queste storielle: da una parte, quando la trovata è di pura comicità, la battuta non è necessariamente pronunciata a parole ma può anche essere suggerita dal disegno, invitando così il lettore alla decodifica e divertendolo con la variazione delle soluzioni, e dall’altra (soprattutto) queste storie non terminano necessariamente con un’esplosione narrativa, stuzzicando così il senso del ritmo e suggerendo che una giornata è fatta anche di timori, piccole noie, momenti di passaggio. 

La tecnica nasconde del contenuto, insomma, e come da tradizione proprio ciò che è angusto e regolamentato stimola la fantasia degli autori: Ariol si trova di volta in volta di fronte a piccoli momenti quotidiani. Questo da una parte è uno stimolo per lo sceneggiatore, che deve pensare una decina di tavole costruite intorno a un evento elementare (ribaltando così l’idea che dieci pagine siano poche), e allo stesso tempo dare modo ai personaggi di acquistare profondità, mettendone in scena non solo le azioni ma anche i sentimenti, i pensieri, le riflessioni. 

In questo modo Ariol si presenta come una serie curata e fine, perfetta per l’educazione narrativa e sentimentale del proprio pubblico ideale ma su cui ci si può sporgere anche da lettori un po’ più attempati, con la curiosità di chi guarda alle piccole beghe e passioni dei personaggi con un po’ di nostalgia e rendendosi a volte conto che, stringi stringi, cambia poi poco col passar del tempo e delle stagioni: la fifa, l’invidia, la timidezza sono motivo di gioco e di imbarazzo a qualsiasi età. Tutto questo, visto attraverso le storie di alcuni bambini, è accolto e digerito con maggiori tenerezza, apertura e comprensione.

Una menzione affettuosa per Barbaglio, cavallo goffo e lento che prova con la sua pigrizia a sottrarsi al destino già scritto della sua specie.

C’è altro però che può stimolare la partecipazione e l’attenzione di questi lettori imprevisti. Come spesso accade nei fumetti per bambini, anche in Ariol un personaggio si fa carico dell’elemento fantasioso, quello capace di prendere la realtà e farla diventare altro (Nemo, Calvin, Snoopy): è proprio lui, il protagonista, e in quanto lettore di fumetti, in particolare modo quelli di Cavalier Cavallo, un supereroe senza macchia e senza paura; ne legge le avventure e sogna di somigliarli. Le sue fantasticherie, però, sono trattate come possibilità non di fuggire la realtà, ma di cercare di capire il perché di certe aspirazioni:  resta un elemento tra i tanti possibili, e rimane collaterale. Così, al contrario delle tre più celebri strisce, il mondo di Ariol sembra più ancorato a un tempo e a uno spazio, e nonostante faccia a meno di qualsiasi fisionomia umana. Questo è possibile forse perché tutti i personaggi hanno caratteristiche tanto semplici quanto coerenti (non c’è un bambino esperto biblista, un pupazzo di pezza non prende vita, non si vive di sogni) e molto probabilmente perché qui gli adulti sono attori fondamentali delle vicende: Ariol fa parte del novero di strisce per bambini che non li eliminano dall’orizzonte narrativo. Il rapporto generazionale è affrontato, così da interpellare il lettore facendolo riflettere sulle proprie abitudini, quale che sia la sua età.

Il nome “Ariol” è preso dalla lingua berbera e significa, senza particolari invenzioni, “asino”.