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Cassoli D., Ferletti W., Sonda F., Tripano N.

Abstract

Riservando ad altra sede l’analisi delle implicazioni neurologiche rilevate nel Caso dei quattro[1], proponiamo qui la testimonianza del primo contatto avvenuto con il soggetto numero cinque.

Inquadrando le ricerche più istruttive compiute nel settore, intendiamo altresì rivitalizzare l’interesse della comunità scientifica internazionale al fine di condurre questo campo di studi fuori dall’oblio in cui è stato a lungo confinato.

Per rispettare la privacy delle persone coinvolte, ne vengono taciuti i riferimenti anagrafici; si menzionano esclusivamente quelle informazioni ritenute irrinunciabili per la comprensione del fenomeno.

Il soggetto numero cinque risulta, a oggi, l’unico con cui sia stato possibile avviare un dialogo rigoroso e attendibile.

Introduzione

Del caso numero uno non si dispongono informazioni scientificamente esaurienti. L’uomo, residente in un villaggio di mille abitanti ca., era marito e padre di due figlie. «Persona mite ed equilibrata»[2], secondo la testimonianza della moglie, ha lavorato a lungo nel settore lattiero-caseario, fino alla comparsa dei primi sintomi di adesione[3], durante il febbraio 1996.  

Dalle dichiarazioni della donna, supponiamo che la patologia abbia seguito il decorso ordinario. Dopo sporadici «stati confusionali»[4], gli episodi di adesione si sono verificati con regolarità in un periodo compreso tra i quattro e gli otto mesi. «Dentro XXX non c’era più lui: c’ero io, le nostre figlie, chiunque», si legge in Diari dal vuoto[5], la lunga intervista rilasciata dalla moglie al reporter Alfredo Zamagni.

Gli studi in materia erano all’epoca a uno stato germinale: il solo Thomas Tacker provò a tracciare le coordinate della patologia[6], pagando questa scelta con lo scherno della comunità scientifica.

Non disponiamo pertanto di dati che attestino la condizione psicofisica del soggetto al momento della comparsa del secondo stadio nosologico: la sparizione[7]. La moglie, interrogata dalle forze dell’ordine, ricostruì: «Ci trovavamo in salone. Lui stava sempre peggio. Fissava un punto in fondo alla stanza, sprofondato nel divano. Mi sono alzata per andare a controllare le bambine – avevo sentito delle urla, stavano litigando in camera. Al mio ritorno, XXX era sparito»[8]. Dopo tre mesi di ricerche, il caso venne archiviato.

Diversa la condizione del soggetto numero due. Analista aziendale presso una società di consulenza, «esempio di dedizione e impegno»[9], ha iniziato ad accusare i prodromi della patologia durante l’ottobre 1996. Confuso in origine con quello che oggi inquadreremmo come burnout lavorativo[10], l’assenteismo del soggetto è mutato presto in assenza completa. La società, dopo numerosi richiami, ricorse al licenziamento.   

Trascorsi cinque mesi – di cui non abbiamo rilevato traccia – il soggetto numero due richiese l’inserimento in una struttura psichiatrico ospedaliera, dove i medici diagnosticarono il secondo caso di adesione. Nonostante le terapie somministrate[11], l’équipe non riuscì a ottenere risultati apprezzabili: «XXX lamenta una grande confusione, un “senso di vuoto”. Scivola con frequenza nel suo interlocutore. Qualsiasi confronto risulta sterile»[12].

Il caso numero due è anche il primo ad aver attestato scientificamente la relazione tra mimesi e scomparsa fisica. «Durante una seduta – XXX era di fronte a me, stava giocando col tappo di una penna – il suo corpo ha iniziato a dissolversi. Dopo qualche secondo, di lei non era rimasto più nulla»[13].

A seguito di queste testimonianze, le pubblicazioni in merito ebbero una prima consistente proliferazione. La patologia raggiunse però risonanza globale grazie alla ricerca Adhesion: an esoteric practice[14], a firma delle antropologhe Hailey Allen e Janet Moore. Inoltratesi nella foresta amazzonica durante il giugno 1997 per condurre uno studio sulle popolazioni indigene, le ricercatrici inglesi vennero a sapere dell’esistenza di uno sciamano «capace di leggere l’anima»[15]: il «Riflesso»[16]. Superate le renitenze delle tribù locali, furono introdotte al suo cospetto.

Moore descrive l’incontro così: «Siamo entrate in una tenda di pelle pesante, ampia e calda. L’uomo sedeva al centro: ci ha fatte accomodare. È rimasto in silenzio; quindi ha cominciato a muovere le labbra. All’inizio non capivo cosa stesse facendo, poi ho realizzato: ripeteva i miei pensieri. Ero sconvolta»[17]. Allen ricorda: «Quando toccò a me, dovetti uscire. Avevo letto qualche articolo su quella nuova malattia, ma non avrei mai immaginato che potesse arrivare fin lì. Volevo andare via il prima possibile»[18].

Dalla ricerca possiamo dedurre che il caso numero tre avesse raggiunto uno stadio di adesione quasi completo; la popolazione locale interpretò la patologia come un dono.

Le antropologhe tentarono di indagare il fenomeno, con risultati modesti. Riuscirono ad attestare il carattere non contagioso della patologia, ma la sua genesi restò un enigma: il soggetto numero tre venne infatti trasferito dalla tribù in un’area interna – e inaccessibile – della foresta. Non si hanno informazioni attendibili rispetto al suo attuale stato di salute psicofisico.   

Menzioniamo qui che il caso numero tre, ulteriore conferma della validità scientifica della patologia[19], generò settoriali riserve[20]

Il quarto fenomeno finora registrato aprì invece il campo di studi alle relazioni interspecifiche, avvalorando la tesi presente in nuce nel lavoro di Nasca e Prettoli sulle «possibili e differenti manifestazioni dell’adesione»[21].

La scoperta dell’esistenza del soggetto numero quattro – biologa marina specializzata nello studio del sarago sparaglione della zona tirrenica – si deve al giornalista Fausto Ravenna.

Il reporter, inviato nel settembre 1998 da una testata di settore per intervistare la donna, notò alcuni comportamenti anomali. «La prima volta che la incontrai, era stesa prona lungo il pontile: la testa sporgeva di sotto e la sentivo bisbigliare all’acqua»[22]. L’intuizione venne accreditata da un’équipe scientifica contattata dallo stesso Ravenna, già lettore dei Diari dal vuoto: «Ero certo di trovarmi davanti al soggetto numero quattro. Una voce dentro di me diceva che era così. Lasciai perdere l’intervista. Quella cosa era più importante»[23].

L’interesse sul caso crebbe sensibilmente, e così la pressione mediatica sulla biologa. Ma la collaborazione tra Ravenna, il team di ricerca e la donna durò meno di un mese. «Una mattina – sarà stato metà ottobre – stavo passeggiando verso il pontile per incontrare XXX. Da lontano, la vidi tuffarsi in acqua. Corsi più veloce che potevo. Quando arrivai lì, le onde sbattevano ancora sulla banchina, ma lei era scomparsa»[24]. Il corpo del soggetto numero quattro venne rinvenuto dopo 24 ore ca., impigliato tra gli scogli di una spiaggia del litorale. L’autopsia non rilevò alcun segno di violenza o abuso: ne venne dichiarata la morte per annegamento[25]. Gli studi convergono sull’ipotesi che l’adesione – rivolta a una specie non umana – abbia indotto nel soggetto la convinzione di «possedere le branchie»[26], determinandone la prematura dipartita. Registriamo inoltre che il decesso ha inibito l’attivazione del secondo stadio nosologico.

I fenomeni, verificatisi tutti tra il 1996 e il 1998, si esaurirono. Gli studi in materia seguirono presto la stessa sorte. La patologia venne perciò classificata come irrisolto e contingente evento antropico, ricordato dai più come «Caso dei quattro»[27]. Valutiamo dunque ancor più urgente riportare l’attenzione su questo settore di ricerca, alla luce dell’episodio registrato dopo ventitré anni di apparente stasi.

Materiali e metodi

Il soggetto numero cinque, maschio in età adolescenziale, è entrato in contatto con la nostra équipe grazie all’accurato lavoro di documentazione dei genitori e del loro medico di riferimento. Nonostante il team non fosse più in attività, abbiamo accolto la richiesta, recandoci in loco.  

Il primo contatto con l’individuo si è verificato presso la sua camera da letto. Dopo aver espresso alcune riserve, il soggetto ci ha permesso di entrare. 

Durante il colloquio conoscitivo, l’équipe ha riscontrato sintomi di adesione caratteristici di uno stadio non ancora avanzato. Trattandosi di una condizione clinica unica, è stato possibile avviare un dialogo proficuo.

Dato lo stato ancora puramente speculativo dell’analisi e gli esigui elementi a nostra disposizione, ci riserviamo di riportare la trascrizione di uno dei colloqui avvenuti, utile a fornire lo stimolo per una rinnovata attenzione in materia ma insufficiente ad attestare un progresso scientificamente attendibile. Il testo viene pubblicato con il consenso dei genitori.  

«Quando ha iniziato ad accusare i primi sintomi?».

«…».

«Si prenda il suo tempo. Non abbiamo fretta».

«…».

«Va tutto bene?».

«Posso avere un po’ d’acqua?».

«Certo. Mando subito un collega».

«…».

«Per noi è importante che si trovi a suo agio».

Il soggetto numero cinque riceve un bicchiere d’acqua. Lo beve.

«Non ce la faccio».

«Non vogliamo metterle pressione».

«…»

«È che abbiamo poche informazioni su questa patologia. E il suo contributo potrebbe essere essenziale. Per lei e tante altre persone».

«Ok… ok».

«Allora, ricominciamo: quando ha iniziato ad accusare i primi sintomi?».

«Non voglio sparire».

«Non si preoccupi, non succederà».

«Come fa a saperlo?».

«Siamo qui per evitare che accada».

«…».

«…».

«Cinque settimane fa. È iniziato cinque settimane fa, più o meno».

«Saprebbe dirci come se n’è accorto?».

«L’ha capito mia madre. Io non sapevo nulla di questa cosa».

«Può spiegarsi meglio?».

«Stavo giocando alla playstation. Ero in salone, saranno state… le quattro del pomeriggio, credo. A lei non piace che mi chiuda davanti la tv. Infatti se la sento passare, ecco, di solito stacco. Ma stavolta ero preso dal gioco. E quando è entrata ho detto “Spegni quel coso”».  

«E sua madre? Che reazione ha avuto?».

«Si è arrabbiata».

«Perché?».

«Pensava la stessi prendendo in giro. Ma poi è successo di nuovo, ecco».

«Continui».

«Due giorni dopo, mi sembra. Forse tre. Era domenica, stavamo al ristorante, c’erano anche gli amici dei miei. Parlavano del futuro dei figli e cose simili, e io ho fatto: “Edoardo il prossimo anno andrà all’università, ma è indeciso tra ingegneria e matematica”. Hanno riso tutti, pensavano fosse uno scherzo. Mamma ha stretto il tovagliolo, come fa quando è arrabbiata. Poi mi ha visto in faccia, e penso che… scusate, non ci riesco». 

«Tranquillo, sta già facendo molto. Le va di dirci cosa prova, in queste situazioni?».

«Non lo so. Sono stanco».

«Adesso o –».

«Sempre. A lei capita mai?».

«Certo, a volte».

«A me ogni giorno, da qualche mese. E sono stanco pure di questo. Stanco di sentirmi, non so, vuoto».

«Che intende?».

«In che senso?».

«Quello che ha detto: sentirsi vuoto».

«Era così, per parlare. Non è importante».

«Tutto è importante».

«E che dovrei dirle. Alcune volte, mi è capitato come, tipo… Per esempio, quando vado a scuola: seguo le lezioni e tutto. Poi torno a casa ed è come se non ci fossi stato. Non mi è rimasto niente. Ma che c’entra?».

«Ha vuoti di memoria?».

«No, no. È più… mi sento confuso».

«Si spieghi meglio, se può».

«Non capisco perché me lo domanda».

«Ogni informazione può essere utile. Potrebbero essere cali di concentrazione, secondo lei?»

«Sì… cioè no. No, è diverso, credo».

«In che modo?».

«Sento… so che sembra strano, però, è come se, cioè vedo quello che ho davanti, eh, ma non lo registro. Tipo una telecamera accesa, che però non riprende». 

«Questi eventi si sono verificati soltanto a scuola?».

«All’inizio. Poi anche a casa».

«Saprebbe dirci in quali circostanze?».

«Varie. I miei dicono delle cose, ma non mi rimangono, non so come spiegarlo meglio. Scivola tutto». 

«E lei, come si sente?».

«Ehm… vuoto, gliel’ho detto».

«Riuscirebbe ad argomentare un po’?».

«…».

Conclusioni

Date le due fasi della patologia attualmente conosciute – adesione e sparizione – e registrate le testimonianze del soggetto numero cinque, ipotizziamo l’esistenza di un terzo stadio, antecedente ai primi due. Questo si manifesterebbe sotto la forma di una progressiva erosione che, una volta consumata l’interiorità psichica, andrebbe a infettare l’intero organismo ospitante, determinandone la scomparsa fisica, così come accade tra termiti e legno.

Seguendo questa classificazione nosologica, l’adesione potrebbe essere considerata uno stato intermedio (e non germinale) della patologia: l’interno, in risposta al «vuoto» prodotto dall’erosione, simulerebbe una presenza che non c’è. 

Le supposizioni sopramenzionate modificherebbero profondamente la geografia del nostro campo di studi, e ci permetterebbero di accedere a settori attualmente inesplorati. Ma anche se appurassimo l’attendibilità di queste ipotesi, e siamo ancora lontani da un simile risultato, un territorio ignoto si stenderebbe davanti a noi: da dove viene, questa malattia?


[1] Cfr. Casoni B., Ipotesi neurologiche nel Caso dei quattro, Conoscere, mensile di psichiatria, Bologna, 1999, pp. 84-101; Criun F., Vanato D., Caso dei quattro: uno studio neurologico, Psichica: rivista di psicologia contemporanea, Roma, 2000, pp. 21-35.

[2] Verbale giudiziario, Scomparsa del Sig. XXX, 1996, p. 5.

[3] Per un resoconto dettagliato del dibattito terminologico-scientifico, cfr. Bertoni A., Crapa G., Sempieri D. et al., Adesione e sparizione, Sintetica Editore, Pavia, 1998, pp.187-189; Demetri F., Tura T., L’impossibilità di sparire, Edizioni Carrani, Napoli, 1999, pp. 45-67. Ci affideremo qui alla definizione proposta da Riccardo Rodolfi: «L’adesione è un processo mimetico teso alla replicazione dell’altro» (Rodolfi R., Vocabolario scientifico, Biblioteca Tecnica, Roma, 1999, p.1248).

[4] Verbale giudiziario, op. cit., p. 6

[5] Zamagni A., Diari dal vuoto, Iato Editore, Milano, 1997, p. 21.

[6] Tacker T., A human disappearance, Thinking: swedish scientific journal, Stoccolma, 1996, p. 78.

[7] Rodolfi: «Per sparizione si intenda la scomparsa fisica del soggetto» (op. cit., p.1259).

[8] Verbale giudiziario, op. cit., p. 42.

[9] Balato C., Il soggetto numero due: cure e risultati, Ratio: mensile di psicoanalisi, Padova, 1997, pp. 6-12.

[10] Sui legami tra lavoro e patologia, cfr. Amiganti S., Lampa G., Modelli occupazionali e alterazioni della percezione del sé, Teri Editore, Trento, 2000, pp. 145-161; Mazzoni G., Logica del capitale e logica individuale, Edizioni Pris, Torino, 1998, pp. 86-90

[11]Balato C., op. cit., p.31

[12]Ibidem.

[13]Ibidem.

[14] Allen H.,Moore J., Adhesion: an esoteric practice, Human: anthropological contemporary journal, Londra, 1998, pp. 70-88.

[15] Ibidem.

[16]Ibidem.

[17]Ibidem.

[18]Ibidem.

[19] Cfr. Bertoni A., Crapa G., Sempieri D. et al. op. cit., pp.192-194; Nasca B., Prettoli V., La vita come sentire comune, Iato Editore, Milano, 1997, pp. 106-109.

[20]Cfr. Davozzi G., Lodovi L., Dall’adesione alla sparizione: storia di un falso psicologico, Ratio: mensile di psicoanalisi, Padova, 1999, pp. 88-92; Veramo B., Gozzi D., Sensi M. et al., La patologia che non esiste, Psichica: rivista di psicologia contemporanea, Roma, 2001, pp.61-67. Questi studi trovano ancora oggi esiguo riscontro scientifico.

[21] Nasca B., Prettoli V., op.cit., p. 72

[22] Ravenna F., La donna pesce: leggere nella mente degli animali, Acquatica, Genova, 1998, pp. 2-6.

[23]Ibidem.

[24] Ravenna F., La mia esperienza con la donna pesce, Acquatica, Genova, 1999, pp. 5-11.

[25] Autopsia giudiziaria,Decesso della Sig.ra XXX, 1998, p. 7.

[26] Battaglia M., Ferri S., Relazioni interspecifiche nel soggetto numero quattro, Conoscere, mensile di psichiatria, Bologna, 1999, pp. 9-16.

[27] L’espressione è attribuita a Casoni B., op.cit., p. 86.

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↔ In alto: foto Stefano Pollio / Unsplash.

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