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Dana Madera 

La verdad no hace nada de ruido 

Nuestros años pasan de la misma manera (Rosa Iceberg, 2021) 

Traduzione di Valentina Cicinelli 

Mentre attraversavamo la strada, arrivando quasi alla fermata dell’autobus, Daniela mi chiese se avessi rotto io uno dei bicchieri della cucina. Avevamo cenato in uno dei caffè vicini al cinema e mentre mangiavamo avevamo parlato di amici che erano in viaggio e del mobile che volevamo mettere in salone. Daniela aveva tirato fuori una penna dalla borsa, aveva afferrato una manciata di tovaglioli e aveva iniziato a tracciare diversi disegni di una libreria con mensole corte e lunghe. I disegni erano tutti uguali e la cena mi aveva dato fastidio, me la sentivo tutta sullo stomaco, come tanti macigni. Con la pancia dura, avevo allontanato il piatto fino al centro del tavolo, quasi urtando la sua mano: allora mi aveva guardato. Ti senti male? Sto bene. Aveva proseguito. Dissi di sì, che il bicchiere si era rotto a me; proposi di lasciar passare l’autobus e di tornare a piedi. Poiché non rallentai mentre parlavo, mi venne dietro. 

Il bicchiere mi si era rotto mentre cercavo di afferrare un sacco con la terra che tenevamo al lato del frigorifero. Volevo rinvasare l’anthurium rosso, per vedere se si salvava. Daniela fece un gesto di fastidio con le mani. Rompere un bicchiere per quello, disse. La settimana prima avevo rotto un piatto. Ora un bicchiere. E l’anthurium rosso che stava morendo. Volle sapere esattamente come avevo fatto a romperlo. Pensai di dirle che lei non aveva svuotato lo scolapiatti. Che lei non svuotava mai lo scolapiatti e non puliva mai bene la cucina o il piano di lavoro. Ma non lo dissi. Dissi che avevo spostato tutto lo scolapiatti pieno delle cose della cena, l’avevo messo sopra il lavandino della cucina, poi avevo allungato metà del corpo nello spazio tra il piano di lavoro e il frigorifero e teso le braccia il più possibile fino a raggiungere l’estremità del sacco di terra, stretto tra due secchi di plastica e un mocio. Che con il pollice e l’indice avevo tirato un’estremità del sacco fino a poterlo prendere con la mano e per allora la mia gamba, l’unica a sostenermi perché avevo l’altra in aria in equilibrio, mi si era addormentata, avevo fatto un salto indietro e spostato lo scolapiatti con il gomito. Così il bicchiere, che stava lì lì per cadere, era caduto. Possiamo comprare altri bicchieri, aggiunsi, e Daniela accelerò il passo e mi lasciò indietro di mezzo isolato. 

Avevamo gli avanzi della cena in una scatola di cartone che ci avevano dato al caffè. Volevo lasciare la scatola sopra un secchione dell’immondizia affinché qualcuno la prendesse, ma Daniela insistette perché la lasciassimo a qualche persona che dormiva per strada; disse che se la lasciavamo sull’immondizia se la sarebbe portata via il camion. Insistetti, dissi che la gente l’avrebbe portata via all’istante ma si impuntò e preferii finirla lì. La scatola era grande e toccò a me portarla. La tenni con entrambe le mani come una cameriera inesperta. Tornammo sulla questione del mobile. Sembrava essere l’unica cosa di cui potevamo parlare: cassetti nuovi per riporre le creme, comodini nuovi per le camere da letto, aggiungere un’anta alla libreria, dividere la credenza con un ripiano di legno, comprare un porta spezie, mettere un tavolo e togliere il microonde. 

Desideravo che la mia casa avesse sempre meno cose, ma era tardi e non avevo voglia di litigare. Potevo dire sì a tutto: alla scatola con gli avanzi, al mobile in soggiorno, al quadro troppo piccolo per la parete troppo grande. Le piante morte. L’anthurium poteva ancora vivere. Adesso il sacco con la terra stava in mezzo nell’appartamento e l’anthurium sopra il tavolino da caffè. Me lo aveva portato mia madre durante una visita. Lo aveva fatto crescere un po’ al paese ma nella lavanderia di casa sua, dove non arrivava tanto il sole. Se è potuto crescere lì, può vivere nell’appartamento, aveva detto. La luce però era così scarsa che nemmeno portarlo sulla terrazza dell’edificio aveva funzionato. Daniela voleva buttarlo o portarlo a mio fratello che aveva un balcone. Se sopra facciamo due ripiani lunghi e li intersechiamo con un sottile filo di metallo, si possono vedere le copertine dei libri. Si potrebbero vedere come in una vetrina. Non so se si capisce. Dissi che si capiva, anche se non stavo prestando attenzione. La sua mano era un continuo di movimenti interminabili accumulati giorno dopo giorno. Tracciando travi, tiranti, barre nell’aria. Non avevamo nemmeno comprato un trapano. 

Arrivati quasi sotto casa sentimmo delle grida. Due tizi minacciavano reciprocamente di ammazzarsi, ciascuno su un marciapiede, e avevano un bastone per uno. Una ragazza osservava da un parcheggio e ogni tanto si univa alla discussione. Lei non aveva nulla in mano. Lasciai la scatola con gli avanzi sul parchimetro all’angolo ed entrammo nel nostro edificio. In ascensore parlammo di quello cui avevamo appena assistito. Quando entrammo nell’appartamento Daniela aprì entrambe le mani e mi chiese della scatola. L’ho lasciata per aprire la porta più rapidamente, dissi, e lei rispose che non l’avrebbe presa nessuno. Guardò il soggiorno e vide il sacco di terra, l’anthurium sciupato sul tavolo e due o tre vasi di ceramica vuoti. 

Quando andò in bagno, rimasi sola. Su tutte le pareti di casa c’è qualcosa, ad eccezione di una lunga che è vuota. È la mia favorita perché riposa la vista, lì andrà la libreria nuova che è come una vetrina. Andai in cucina e mi avvicinai a una finestra, ascoltai i vicini discutere di qualcosa a proposito del figlio più piccolo. Erano entrambi nella lavanderia, dividendosi una sigaretta. La loro lavanderia non è più grande di un quadrato di cemento, e i due quasi si urtavano muovendosi per parlare. Erano agitati, tutto quel che dicevano era importante. Le cose del figlio erano importanti. Daniela entrò in cucina e si versò un bicchiere d’acqua. Passò un po’ di tempo, voleva rimettere il sacco di terra nel posto da dove io l’avevo tirato fuori, ma non l’aveva portato con sé. Non mi mossi dalla finestra. Mi disse che dovevo smetterla, che era da ficcanaso. La coppia di vicini spense la sigaretta contro il muro senza sistemare, non smisero di litigare, ma qualcuno chiamò da dentro. Dissi che ora era un buon momento per rinvasare l’anthurium. Non mi rispose nessuno. Ad eccezione della cucina, le altre luci erano già spente.


La verdad no hace nada de ruido from Nuestros años pasan de la misma manera
Copyright © Dana Madera © 2021, Rosa Iceberg
Reproduced with permission from Rosa Iceberg


In alto: foto di Samuel Regan / Unsplash.

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