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Questo articolo è stato pubblicato in contemporanea sulla newsletter di Valerio Renzi S’È DESTRA, che ogni venerdì racconta l’Italia al tempo del governo della destra destra.

Mimmo Cangiano è docente di Critica letteraria e letteratura comparata all’Università Ca’ Foscari di Venezia. Da poco ha dato alle stampe Culture di destra e società di massa. Europa 1870-1939 per i tipi di nottetempo. Il volume prende in esame la cultura di destra tra la fine dell’Ottocento fino alla vigilia del secondo conflitto mondiale, passando in rassegna autori e correnti letterarie e culturali, tracciando una geografia di temi comuni, divaricazioni e trasformazioni della cultura di destra in paesi diversi. 

Un libro che non è solo un esercizio bibliografico, che organizza in modo coerente una grande quantità di materiale, ma soprattutto è utile e necessario per mettere la cultura di destra e i suoi argomenti in una prospettiva lunga che arriva fino ad oggi. Un lavoro che meriterebbe di essere proseguito anche cronologicamente, ma che è già una mappa perfettamente utilizzabile per rintracciare la genealogia di argomenti, temi e topos politici e letterari, tra continuità e cesure. 

Per questo l’intervista che vi apprestate a leggere discute di temi di strettissima attualità, a cominciare dell’offensiva culturale inaugurata dalla destra destra di Giorgia Meloni, fino alla riconfigurazione dei riferimenti culturali e del pantheon nazionale da parte delle forze della destra postfascista. 

Nel suo ultimo lavoro presenta al lettore un’analisi che si muove sul livello tematico, isolando alcuni topos ricorrenti, ma anche procedendo a una comparazione geografica tra culture nazionali. Quali caratteri originali presenta la cultura di destra italiana così come si è andata formando tra la fine dell’Ottocento e il fascismo?

È una domanda difficile. Nel mio libro ho cercato di mostrare come lo sviluppo del pensiero di destra sia intimamente legato, più che a determinate caratteristiche culturali su base nazionale, alle diverse velocità dello sviluppo industriale, oltreché alla capacità della borghesia liberale di mantenere più o meno saldamente le redini dello Stato. Questa è ad esempio, a mio giudizio, la ragione per cui, in Francia, le tematiche dell’intellighenzia di destra si trasformano generalmente meno che in Italia o in Germania. 

A ben guardare credo che non ci sia un singolo elemento tipico della cultura di destra (il mito della comunità, l’antisemitismo, il sogno di un capitalismo regolato dallo Stato, la guerra come rigenerazione nazionale, ecc.) che si possa ritrovare in una sola nazione (e dunque in tal senso non esiste una vera e propria «originalità»). Quello che cambia, da una nazione all’altra, è la capacità di certe tematiche di farsi egemoniche rispetto ad altre. Se, ad esempio, in Germania il tema della rigenerazione nazionale è davvero pervasivo fra gli intellettuali di estrema destra, la particolarità italiana è forse quella di intendere da subito la centralità del ruolo dello Stato (anche nella sua funzione di partner del comparto industriale) rispetto a quello della società civile. I miti organicisti sono infatti molto più presenti in Germania e in Francia che non da noi. A parte alcuni casi laterali (e non a caso ancora legati a una visione agraria, ad esempio Giovanni Boine), gli intellettuali italiani (a cominciare ovviamente da Enrico Corradini) comprendono sin da subito che la comunità nazionale va intesa a partire dallo Stato che la organizza, non dal Volk. Ciò sarà fondante anche nella discussione sul corporativismo. Ciò ovviamente non significa che la destra italiana non creda all’esistenza di una Kultur nazionale caratterizzante tanto le sue masse che le sue élite, ma crede al contempo che lo spazio di emersione di tale Kultur siano le istituzioni statali. Da qui sarà appunto impegnata a creare istituzioni che corrispondano a una presunta identità nazionale. 

Un approccio – credo sbagliatissimo – delle culture politiche e degli intellettuali democratici, è pensare alla destra come una «subcultura» o come la «negazione della cultura». Credo sia un errore dovuto a un certo approccio illuminista che ha fatto del nazionalsocialismo e della Shoah, e in misura minore dei fascismi, un incidente della storia e dei nazisti degli esseri mostruosi. Insomma per la difficoltà di riconoscere nei fascismi e del nazismo uno degli epiloghi della modernità europea, eventi da inserire nel corso della storia e non una parentesi inspiegabile. Cosa ne pensa?

Sono molto d’accordo, e credo sia anche un’interpretazione finalizzata a tenere il pensiero di destra separato da quello liberale. Se la cultura di destra è un «incidente della storia», allora essa può essere ritenuta altro dallo sviluppo del capitalismo. Questa visione però non riesce a spiegare né il continuo scendere a patti del pensiero di destra col capitalismo stesso (in tal senso la capacità di Confindustria di mantenere la propria autonomia all’interno dello Stato fascista è emblematica), né il profluvio di tematiche (ad esempio sulla necessità di controllare le masse) che il pensiero di estrema destra condivide proprio col pensiero liberale; o, ancora, la trasformazione, a destra come negli intellettuali liberali, del giudizio sulla tecnologia: nemico numero uno fin circa agli anni ’30 e poi progressivamente possibile alleato. 

Ritroviamo questa visione anche in un grande studioso del pensiero di destra, di orientamento liberal-democratico, come Zeev Sternhell. Nei suoi studi, del resto, l’alveo di nascita del pensiero di destra è il nazionalismo romantico e non il pensiero illuminista. Ma legare la cultura di destra al romanticismo significa prenderla troppo sul serio nelle sue dichiarazioni di partenza (identità, comunità, anti-modernismo, ecc.), non vedendo come, in linea con la razionalità illuminista, quella destrorsa saprà sempre adattare i fini ai mezzi, anche, come ha mostrato Johann Chapoutot in Nazismo e management, sul piano della produzione industriale.

Rispetto al suo lavoro, tra la cultura della destra degli anni Trenta e quella di oggi, quali elementi in comune troviamo?

Forse il più importante elemento di continuità è il mito dello Stato come baluardo contro la deregulation capitalista. Certo, la destra attuale non si dichiara più anti-capitalista, né sostiene il mito della terza-via, ma mantiene intatto il principio di proteggere i cittadini dagli effetti più deleteri del mercato (si pensi alle resistenze ideologiche sul Mes). Naturalmente sono cose che valgono solo sul piano delle dichiarazioni di principio: smantellamento della sanità pubblica, autonomia differenziata, flat tax vanno in tutt’altra direzione. Ecco: il vero elemento di continuità mi pare sul piano dell’azione materiale, più che sul piano delle dichiarazioni ideologiche.

Veniamo alla più stretta attualità: io ho l’impressione che le figure a cui Fratelli d’Italia ha delegato l’azione politica culturale, penso a Francesco Giubilei e al Ministro Gennaro Sangiuliano, stiano lavorando a costruire una sorta di «tradizione inventata» dove Prezzolini o Giunti assumono nella cultura delle forze postfasciste un posto che non hanno mai avuto. Il conservatorismo come corrente politica e culturale è stata sempre piuttosto marginale, sicuramente la destra italiana di stampo missina è stata più erede di Salò che espressione di un liberalismo di destra…

Questo proposito la destra ce l’ha sin dagli anni ’50. Figure come Prezzolini, Giunti, Longanesi ecc. sono sempre state utilizzate nel tentativo di creare una linea culturale alternativa all’egemonia della sinistra. Era naturalmente una soluzione legata all’impossibilità, al tempo, di rifarsi a intellettuali assai più compromessi come Papini, Soffici, Corradini, o assai più ambigui come Maccari o Malaparte. La novità è che per la prima volta l’azione sembra avere successo. Se continua così ci fregano anche Gobetti…

C’è poi credo la volontà di arrivare a una nuova sintesi nazionale, dove ci sia posto anche per Gramsci accanto a Croce e Gentile, a patto che Gramsci sia un Gramsci che sventola il tricolore e non quello che rompe l’unità della nazione con la lotta di classe. Una nuova sintesi nazionale che sia «afascista» e dove trovi spazio la storia della marcia dentro le istituzioni degli eredi del Movimento Sociale Italiano, che hanno bisogno di altri nomi da iscrivere al loro Pantheon, nascondendo Evola piuttosto che Codreanu…

Sì, il neo-nazionalismo agisce sul quadro di una concordia nazionale finalizzato a mettere in fila intellettuali di diversissima provenienza come «grandi italiani». Per rispondere a questa operazione di egemonia noi però dovremmo ribattere sul principio di una «società divisa», cioè ancora divisa secondo linee di sfruttamento e oppressione. Qualcuno nel PD è disposto a farlo? Io credo che alla maggior parte dei quadri di quel partito l’immagine di una ritrovata «concordia» nazionale tutto sommato stia bene, al massimo discuteranno sui fondamenti di questa concordia, riducendo il tutto a uno scontro fra cultura liberal-democratica e cultura liberal-conservatrice. 

One Comment

  • mmmilkyyy22 ha detto:

    Per quanto mi riguarda, non sono riuscita a combinare i miei hobby, il lavoro e gli studi per molto tempo. Ora sto usando https://www.amiciaccademici.it/ su raccomandazione del mio ragazzo. Non volevo perdere molto tempo a cercare un servizio di scrittura di base, quindi ho deciso di fidarmi della sua raccomandazione. Ho ottenuto un buon voto nel mio ultimo lavoro. Inoltre, spero che questa volta sarà lo stesso.

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