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Seconda parte di una guida all’orientamento dell’ultimo album di Kendrick Lamar, Mr.Morale And The Big Steppers, in occasione del suo prossimo concerto all’Arena di Verona. La prima parte è qui.

SECONDA PARTE

1. Count Me Out

In questa seconda parte dell’album Kendrick si apre con uno sguardo più onesto e personale al suo rapporto con Whitney, e pare essere finalmente arrivata una svolta, grazie soprattutto alla terapia [Session 10, breakthrough]. Anche il coro ascoltato prima in United in Grief si fa più personale, per così dire:  [All of these hoes make it difficult] e ascoltiamo la voce di Eckhart Tolle che richiama Kendrick [Mr. Duckworth]. In questa canzone si assume le proprie responsabilità e si sente in colpa di aver ferito sua moglie [Got guilt, got hurt, got shame on me], ma soprattutto decade l’aura di invincibilità che si era cucita addosso, come qui [And I’m tripping and falling] o qui [Wipe my ego, dodge my pride]. Segue quindi i suoi stessi consigli che dava agli altri in N95 di liberarsi di queste fantomatiche “maschere” [But a mask won’t hide who you are inside]. C’è poi il simbolismo riguardante lo specchio come oggetto di Verità (che tornerà nell’ultima canzone, Mirror), una rappresentazione dello stare solo, nudo, allo scoperto e “vedere riflesso” la tua vera immagine, meditando sulle proprie azioni. [Ain’t nobody but the mirror lookin’ for the fall off]. 
Kendrick così intraprende riflessioni specifiche sulle dinamiche che ha vissuto nella relazione con Whitney: il fatto che si sentisse sotto pressione con il suo lavoro e [You said I’d feel better if I just worked hard without liftin’ my head up] poco ascoltato [That left me fed up], fino a diventare anaffettivo [I made a decision, never give you my feelings]. A leggerla così sembrerebbe più una giustificazione che altro ma nel finale c’è invece il vero “passo” in avanti: Kendrick cambia prospettiva e assume il punto di vista di Whitney [Miss Regrets, I believe that you done me wrong], citando una vecchia canzone di Cole Porter, che parla di una donna che ha ucciso il suo amante per la sua infedeltà. Nella canzone originale la donna (bianca) viene linciata in pubblica piazza, mentre in questo caso (ribaltando ancora la prospettiva), è Kendrick a dichiararsi colpevole e ad esser pronto a pagarne pubblicamente le conseguenze [Something’s up, must confess – Spoke my truth, paid my debt].

2. Crown

Qui Lamar alza di parecchio il livello e ci parla dei suoi sentimenti contrastanti nello sfidare il suo status di Messia. Facendo un percorso a ritroso, si chiede in sostanza se meriti la corona (come sfoggia nella cover) per quanto fatto come leader della sua comunità. La cosa grandiosa è che porta avanti queste sue considerazioni facendo riferimenti a L’Enrico IV di William Shakespeare in tutto il ritornello [Heavy is the head that chose to wear the crown – To whom is given much is required now a confronto con lo shakespeariano Uneasy lies the head that wears a crown]. Anzi, fa di più: imita il suo schema ritmico, il cosiddetto pentametro giambico, come un vero e proprio dramma teatrale [Favor come with favors and you can’t say no]. 

Esamina quindi il suo modo di mostrare amore ed essere un leader [You walk around like everything is in control], soprattutto in relazione ai suoi fans [They idolize and praise your name across the nation]. Ritroviamo i suoi big steppers [Tap the feet and nod the head for confirmation] che vengono elogiati per la loro lealtà [Promise that you keep the music in rotation]. Nei ritornelli Kendrick sottolinea il fatto che questo amore però va ricambiato e non è garantito [One thing I’ve learned, love can change with the seasons]. Come sempre l’elaborazione di tutto ciò arriva ancora nel finale: intuisce che non può più (solo) fare affidamento su quest’amore, semplicemente perchè è impossibile accontentare tutti [I can’t please everybody]. Se da una parte è dunque riconoscente al “suo” popolo per il loro affetto nonostante il suo silenzio prolungato in questi 5 anni, capisce anche di aver agito bene privilegiando la salute e il benessere della sua famiglia e di sé stesso.

3. Silent Hill

Seppur non (ancora) confermato da nessuno, il riferimento del titolo potrebbe esser riferito alla celebre serie di videogiochi horror della Konami. Vera o falsa che sia, la suggestione è che Kendrick debba farsi largo dai fantasmi/mostri che lo inseguono e cercare di allontanarsi da loro [Pushin’ the snakes, I’m pushin’ the fakes – I’m pushin’ ‘em all off me like, “Huh”].

Dopo aver quindi realizzato che non poteva accontentare tutti in Crown, Kendrick decide dunque di isolarsi da tutto [And they like to wonder where I’ve been]: il suo rifugio pare essere questa “valley of silence” citata nella successiva traccia Savior [Protecting my soul in the valley of silence], dove può concentrarsi solo di sé e la sua famiglia. Torna Kodak Black che sembra abbracciare questa scelta di pace e tranquillità [Every Thursday, girl’s day, spendin’ time with my daughter, make me go harder] e entrambi si interrogano nuovamente sulle loro vita, sul successo e le false amicizie [can’t hide behind your monеy, dawg]. Kendrick necessita quindi di separarsi dalla tossicità che lo circonda [be quiet, I’m stressed out] per arrivare al passo successivo del suo viaggio di guarigione e alla radice dei suoi problemi.

4. Savior (Interlude)

Il problema di Lamar è ora scavare nel suo passato per individuare i suoi traumi, questo intermezzo viene così aperto da Eckhart Tolle che descrive il “corpo di dolore” citato in precedenza.

[If you derive your sense of identity from being a victim. Let’s say, bad things were done to you when you were a child. And you develop a sense of self that is based on the bad things that happened to you]

Ma il primo a sottoporsi all’analisi di questi traumi qui non è Kendrick bensì suo cugino Baby Keem, che ricorda le sue esperienze negative: l’aver assistito ai problemi di droga di sua madre in giovane età [You ever seen your mama strung out while you studied division?], l’aver visitato parenti finiti in carcere [Seen both of those in the county jail visits], fino ad aver assistito alla nonna che sparava in strada a delle persone [Grandma shootin’ niggas, blood on the highway]. Tutte queste esperienze lo hanno certamente segnato nel profondo, ma grazie al suo cugino Nick Young (ex cestista nell’NBA) che ce l’ha fatta ad uscire da questo circolo vizioso [Cousin in the courts, heard he jumped off the porch], ha individuato la sua strada per il successo [Now, how can I fold lookin’ at twenty million – This money don’t come with a probate].

5. Savior

Qua si sviscera fino in fondo il ruolo del salvatore: Nel primo verso della traccia Kendrick affronta perlopiù questioni razziali; nella seconda parla di COVID-19 e di politically correct; e, nel terzo, discute i propri difetti e lotte.

Kendrick inizia ricordandoci che tutti i vari rapper, sportivi e VIP neri (come i menzionati J Cole, Future e Lebron James) non devono necessariamente essere visti come guide o moderni Messia per la comunità afroamericana […but he is not your savior]. Dopodichè se la prende con l’ipocrisia di fondo che circola nella società e anima chi lo critica [Two times center codefendant judging my life]. In questa posizione di salvatore si sentiva spesso come se fosse costantemente sul banco dei testimoni riguardo le sue opinioni, impedendogli così di fare anche scelte controverse, come inserire Kodak Black nel suo album [Like it when they pro-Black, but I’m more Kodak Black]. A tal punto da preferire lui anziché perdere tempo nelle divisioni inutili che sono pur presenti nella comunità americana [I seen n****s arguing about who’s blacker – Even blacked out screens and called it solidarity]. Tutto questo sembrerebbe rivolto alle critiche che gli sono piovute per esser rimasto in silenzio [Meditating in silence made you wanna tell on me] e non aver partecipato sui social e supportato il movimento di Black Lives Matter e iniziative come il Blackout Tuesday (da qui il riferimento agli schermi neri). 

Fa notare subito dopo che molti rappers hanno paura di dire verità o comunque toccare temi controversi per paura di essere “crocifissi” per le loro opinioni [Bite they tongues in rap lyrics – Scared to be crucified about a song, but they won’t admit it]. Kendrick tocca anche il tema dei vaccini per il COVID, facendo notare le diverse ipocrisie tra i fondamentalisti cristiani che non volevano inocularsi e la querelle relativa al cestista dei Brooklyn Nets Kyrie Irving e il suo no alla vaccinazione obbligatoria nello stato di New York [Seen a Christian say the vaccine mark of the beast – Then he caught COVID and prayed to Pfizer for relief – Then I caught COVID and started to question Kyrie]. 

Kendrick dichiara che ogni giorno della sua vita è una protesta e una lotta contro l’ingiustizia razziale, al di là delle prese di posizione prese appunto sui social [One protest for you – Three-sixty-five for me (You really wanna know?)] E come detto prima in Worldwide Steppers [killed freedom of speech], la società sta assumendo una mentalità brutale e bellicosa come Vladimir Putin [Vladimir making nightmares – But that’s how we all think – The collective conscious – Calamities on repeat, huh]. Morale: nessuno dunque può dirsi realmente sincero in una società del genere [N****s is tight-lipped, fuck who dare to be different], tutti generalmente si uniformano al politically correct vigente e ritengono di avere una superiorità morale rispetto a quelli che non si uniformano, sebbene non paghino sulla propria pelle le ingiustizie di cui si fanno paladini.

Due personalità: Dr Jekyll e Mr.Hyde verrebbe da dire. Si lascia così il (non-più leader) Mr. Morale e si analizza meglio lo stato d’animo del Mr. Duckworth: il cinismo e l’apatia descritta prima si riversa anche nella sua persona [I find it just as difficult to love thy neighbors], e Kendrick in sostanza dice di non fidarsi di nessuno, specialmente quelle che ritengono avere un’alta levatura morale ma in realtà si muovono solo per soldi [Especially when people got ambiguous favors – But they hearts not in it, see, everything’s for the paper – The struggle for the right side of history]. Torna anche un pò di sano anticapitalismo che aveva contraddistinto la sua opera anche in precedenza, ammonendo le corporations che si dicono progressiste in pubblico ma non nei fatti [Capitalists posing as compassionates be offending me – Yeah, suck my dick with authenticity]; ci sta dicendo in sostanza che non c’è nessuno, nemmeno un mostro sacro come Tupac [Yeah, Tupac dead, gotta think for yourself] o lui stesso, che può essere preso come leader morale della società. Ciascuno deve quindi formarsi una propria opinione ed evitare la retorica degli eroi del popolo [I rubbed elbows with people that was for the people]. Kendrick conclude la canzone ripetendo il concetto dell’Interlude, ossia che a causa di questa tossicità che ravvisava essere intorno a lui [They all greedy, I don’t care for no public speaking], ha deciso di isolarsi in questa “valle silenziosa”, per salvare la propria coscienza e anima [Protecting my soul in the valley of silence].

6. Auntie Diaries

Questa traccia mostra la maturità di Kendrick nel cambiare ed avere le proprie opinioni, liberandosi dei preconcetti morali dati dalla sua “cultura”, dalla religione o dalla famiglia. In “Auntie Diaries” racconta la sua esperienza personale a contatto con due persone transgender nella sua famiglia. 

In questo percorso il cuore sembra vincere sulla mente [Heart plays in ways the mind can’t figure out], concetto ribadito dallo stesso Tolle nell’intro [This is how we conceptualize human beings], alludendo sia alla disforia di genere che puo crearsi in queste situazioni, sia al percorso di Kendrick riguardo la transfobia e la sua famiglia. 

Kendrick racconta la transizione di suo zio usando volutamente il misgendering [My auntie is a man now], sottolineando la sua incapacità di accettare questo cambiamento in famiglia. Questo episodio avviene durante il suo periodo alle elementari [Elementary kids with no filter, however] e racconta di quando insieme ai suoi compagni lo copriva di insulti. Applica poi lo stesso trattamento anche nei confronti della cugina [Demetrius is Mary-Ann now], stavolta durante il periodo delle medie [Middle school kids with no filter]; seppur dimostri affetto [I knew exactly who he was, but I still loved him] continua a non dare peso alle parole [“F****t, f****t, f****t,” we ain’t know no better] e non si accorge di come possano ferire i suoi parenti [he seemed more distant – Wasn’t comfortable around me, everything was offensive]. Questa prospettiva non cambia finché durante una messa di Pasqua, suo zio viene chiamato in causa e accusato da un predicatore per il suo cambio di sesso [Church, his auntie is a man now,” it hurt]. Qui Kendrick si fa avanti per difenderlo [I said, “Mr. Preacherman, should we love thy neighbor?], facendo inorridire i fedeli [The building was thinking out loud, bad angel] ma guadagnandosi la stima dei suoi cari [That’s when you looked at me and smiled, said, “Thank you”The day I chose humanity over religion]. Da questo passaggio Kendrick abbandona la “morale” imposta dalla chiesa sulla comunità LGBT+ e l’ignoranza sull’argomento che aveva da giovane, decidendo di cambiare mentalità. Alla fine della canzone fa riferimento ad un episodio controverso del maggio 2018 quando ha invitato una ragazza bianca sul palco dell’Alabama Hangout Festival, e quest’ultima ha pronunciato ripetutamente la N-word. Kendrick sovrappone così l’uso improprio della N-word con quello della F-word da parte della sua stessa comunità per denigrare le persone trans. Capisce dunque che le sue ferite possono guarire solo se si riescono a comprendere i traumi altrui e far nascere così un sentimento di comprensione e empatia nei confronti degli altri [To truly understand love, switch position]. Qui vien fuori anche una riflessione sulla sua cristianità e la sua fede, che si vedrà anche dopo in Mother I Sober [Where’s my faith? Told you I was Christian, but just not today]…

7. Mr. Morale

Qui Kendrick riparte dall’episodio dell’ultimo brano, ovvero la ragazza bianca e la N-word, ma la voce dell’intro è di uno youtuber sportivo, Shango, che si sfogava per la sconfitta della sua squadra [It was one of the worst performances I’ve seen in my life].  Dopo aver deluso la sua comunità ammettendo le proprie fragilità e rovesciando il suo status di salvatore, Kendrick qui allude al crollo del personaggio di Mr.Morale [I’m sacrificin’ myself to start the healin’ and…], affermando che non può vivere ancora con il peso dei suoi dolori passati [Hydrate, it’s time to heal] e soffermandosi su temi come il trauma generazionale e gli abusi. In particolare su questi punti fa il nome di alcune celebrities nere americane e si chiede come hanno affrontato anche loro questo peso: Ryan Kelly [If he weren’t molested, I wonder if life’d fail him], Oprah Winfrey [I wonder if Oprah found closure -The way that she postered the hurt that a woman carries] e Tyler Perry [Tyler Perry, the face of a thousand rappers – Using violence to cover what really happen]. Kendrick capisce così che la sua condizione che sta attraversando ora è il risultato delle tribolazioni del passato e degli eccessi che aveva [Past life regressions to know my conditions – It’s based off experience – Karma for karma, my habits insensitive], facendo così suoi gli insegnamenti di Eckhart Tolle, che torna di nuovo nel finale [People get taken over by this pain-body – Because this energy field that almost has a life of its own – It needs to, periodically, feed on more unhappiness]. Nel suo terzo libro infatti, Un nuovo mondo, Tolle parla infatti dei traumi ereditati di generazione in generazione, soprattutto nella comunità afroamericana:

«Il corpo di dolore collettivo razziale è molto presente e forte nei neri americani . I loro antenati, sradicati violentemente, percossi e sottomessi, sono stati venduti come schiavi. La prosperità economica americana ha alla base, in origine, il lavoro di quattro/cinque milioni di schiavi neri. Infatti, la sofferenza inflitta ai nativi e ai neri americani non è rimasta confinata a queste due razze, ma è diventata parte del corpo di dolore collettivo americano. Succede sempre così, che la vittima e il carnefice soffrono entrambi le conseguenze di ogni atto di violenza, di oppressione o di brutalità. Perché quello che fate agli altri lo fate a voi stessi».

8. Mother I Sober

In Mother I Sober si raggiunge l’apice dell’album e probabilmente resterà una delle canzoni rap più importanti degli ultimi anni (anche se non è stata mai cantata dal vivo, probabilmente per il contenuto personale “difficile” per Kendrick). Qui il rapper riassume tutti i temi toccati in precedenza e alza ancora di più l’asticella: si apre totalmente e fa i conti a viso aperto con i suoi traumi. 

Inizia questa canzone con l’intenzione di guarire la sua comunità [One man standing on two words, heal everybody] ma ora capisce che il reale cambiamento deve cominciare per forza di cose da lui  [Heal myself, secrets that I hide, buried in these words]. Descrive l’abuso sessuale che ha sofferto sua madre per mano di un familiare [Mother cried, put they hands on her, it was family ties] e la paura della madre che questa stessa persona potesse far dello male a Kendrick. I suoi sensi di colpa si acutizzano poi con la morte della nonna, avendo la sensazione che il suo fantasma gli rimproverasse il fatto di non essere intervenuto nei confronti della madre [My mother’s mother followed me for years in her afterlife / Starin’ at me on back of some buses, I wake up at night]. La sua incapacità a prender sonno di notte è figlio di questo post-trauma sessuale. E’ trasparente anche nel modo in cui rivela di come ha perpetuato il suo dolore in passato, nascondendolo attraverso l’illusione del denaro [Loved her dearly, traded in my tears for a Range Rover – Transformation, you ain’t felt grief ‘til you felt it sober]. Più avanti spiega di non essere mai stato soggetto ad abusi di alcol o droghe [I was never high, I was never drunk, never out my mind] ma comunque soggetto alla dipendenza del sesso [No dependents, except for one, let me bring you closer]. 

Nella seconda strofa Kendrick descrive il modo in cui ha sfruttato il suo talento, il rap [I started rhymin’, copin’ mechanisms to lift up myself] come unica via d’uscita per sfuggire dalla difficile situazione in casa, soprattutto la confusione che si creava attorno a lui nelle accuse false riguardo gli abusi sessuali di suo cugino [Family ties, they accused my cousin, “Did he touch you, Kendrick?” – Never lied, but no one believed me when I said “He didn’t”], e in questa costante domanda che la madre gli proponeva [“Did he touch you?” I said “No” again, still they didn’t believe me]. Questa domanda che è rimasta una ferita aperta sino ad oggi, impressa nella memoria [Frozen moments, still holdin’ on it, hard to trust myself]. Finchè Kendrick annuncia il triste e inquietante finale di questa brutta situazione, ovvero che suo zio si vendica dell’abuso subito dalla sorella [Mother’s brother said he got revenge for my mother’s face] picchiando l’aggressore (il cugino di Kendrick). L’immagine che ne viene fuori è brutale [Black and blue, the image of my queen that I can’t erase], e ricorda così i colori dei lividi (neri e blu) sul viso della madre, scena che non riesce a togliersi dalla mente. 

Nella terza strofa si torna ad analizzare la sua lussuria [Intoxicated, there’s a lustful nature that I failed to mention] e le insicurezze che lo hanno portato ad andare a letto con altre donne [Insecurities that I project, sleepin’ with other women] e ferendo così sua moglie, Whitney Alford [Whitney’s hurt, the purest soul I know]. Qui Kendrick getta definitivamente tutte le maschere e si rende conto di aver toccato il fondo, chiedendosi ora se riuscirà a essere perdonato dai suoi cari [Askin’ God, “Where did I lose myself? And can it be forgiven?”]. La sua relazione con Whitney sembra dunque compromessa, ma fino all’ultimo continua a mentire a sè stesso e a sua moglie riguardo la sua dipendenza dal sesso [Broke me down, she looked me in my eyes, “Is there an addiction? – I said “No,” but this time I lied, I knew that I can’t fix it”]. Ciononostante Whitney si prende cura di lui e gli ha consigliato come sappiamo di andare in terapia [Gave me a number, said she recommended some therapy]. Qui si torna ancora una volta all’origine di questo trauma: per scoprire la verità riguardo le continue domande sugli abusi da parte del cugino, Kendrick chiede spiegazioni alla madre, lei gli rivela di essere stata abusata sessualmente a Chicago, [I never knew she was violated in Chicago, I’m sympathetic], ovvero prima che la sua famiglia si trasferisse in California. Questa incomprensione tra madre e figlio [Told me that she feared it happened to me, for my protection] spiega così come questi traumi passino di generazione in generazione [Now I’m affected, twenty years later trauma has resurfaced], ampliando il discorso di Tolle in Mr.Morale

In questa ultima parte Lamar capisce che questo ciclo iniziato con la madre viene replicato da lui stesso nei confronti della moglie, diventando una maledizione generazionale, un ciclo di abusi sottaciuto ma che affligge tutta la comunità nera [A conversation not bein’ addressed in Black families] e che sembra risalire fino al grande trauma della schiavitù in America [The devastation, hauntin’ generations and humanity – They raped our mothers, then they raped our sisters]. Si potrebbe dire che qui Kendrick si rivela davvero un abile storyteller e forse un vero “profeta” per la sua comunità, cogliendo dalla propria situazione familiare una verità ultima, assoluta riguardo il male che affligge il suo popolo. La mancata fiducia in se stesso, la sua chiusura e incomunicabilità con l’esterno, l’incapacità di amare ed essere amati (qui si potrebbero  evocare i chakra nello Yoga) erano paletti che impedivano a Kendrick di essere un reale “Messia”, e lui stesso era diventato come le persone problematiche che era “chiamato” a salvare (gli Steppers appunto); con il superamento di essi, Kendrick sembrerebbe essere tornato così il “Savior” della sua gente. 

Si rende conto che questo problema generazionale continua ad essere presente nella società americana e va affrontato seriamente [we ain’t recovered – Still livin’ as victims in the public eyes]. Analizza inoltre la correlazione tra i rappers neri come lui e questi abusi sessuali subiti in giovane età [I know the secrets, every other rapper sexually abused], che usano appunto il rap come unica via d’uscita da questi traumi [I see ‘em daily buryin’ they pain in chains and tattoos]. Kendrick riacquista quindi forza nel suo messaggio e invita tutti a seguire il suo percorso [So listen close before you start to pass judgement on how he move – Learn how he cope], tentando di non giudicare ma comprendere i traumi degli altri e intervenire prima che sia troppo tardi [whenever his uncle had to walk him from school – His anger grows deep in misogyny].

In questo climax da guaritore, Kendrick decide di spezzare le catene del passato [So I set free myself from all the guilt that I thought I made], liberandosi della vergogna di sua madre [So I set free my mother all the hurt that she titled shame], la colpa che ha dovuto sopportare suo cugino [So I set free my cousin, chaotic for my mother’s pain] e il dolore della sua compagna Whitney [So I set free the power of Whitney, may she heal us all]. Si augura infine di poter liberare tutte le persone coinvolte in questo viaggio, tentando di alleviare le sofferenze di tutti e tentare infine guarire l’intera società [As I set free all you abusers, this is transformation]. 

C’è poi la riconciliazione con Whitney: se nei precedenti versi la loro relazione sembrava ormai persa [But Whitney’s gone, by time you hear this song, she did all she could] e Kendrick pregava affinché i suoi figli non ereditassero i suoi problemi [I pray our children don’t inherit me and feelings I attract], nelle ultime battute la moglie torna e si congratula con lui, [You did it, I’m proud of you], felice di aver spezzato i legami del passato [You broke a generational curse]. I suoi figli quindi non dovranno vivere all’interno di una relazione tossica (come visto in We Cry Together) né dovranno ereditare i problemi dei genitori (la Bibbia menziona le “maledizioni generazionali” in molteplici passaggi e indicano mali che si riverseranno appunto sulle generazioni future)

Da notare per ultimo la circolarità di questo album e la costruzione (teatrale): in questo brano il coro di Beth Gibbons [I wish I was somebody – Anybody but myself] gioca con la perdità di identità di Kendrick, nel finale invece in quella che si presume essere la voce della figlia si ascolta: [Thank you, daddy, thank you, mommy, thank you, brother] fino ad essere chiamato con il nome di Mr. Morale. Si torna infine al coro onnisciente ascoltato in “United in Grief” [I hope you find some peace of mind in this lifetime – I hope you find some paradise] che diventa qui [Before I go in fast asleep, love me for me – I bare my soul and now we’re free].

9. Mirror

Qui Kendrick si riferisce esplicitamente a tutti gli ascoltatori di questo album, riassumendo per sommi capi tutti i temi affrontati in precedenza: la metafora dello specchio appunto [Do yourself a favor and get a mirror that mirror grievance – Then point it at me so the reflection can mirror freedom] e il cambio di prospettiva [Lately, I redirected my point of view]; la sua rinuncia ad essere un modello per la società, a non essere un salvatore e soprattutto a non avere con sé la Verità [I can’t live in the Matrix – Rather fall short of your graces]; mette al primo posto la sua vita personale e la sua famiglia [I choose me, I’m sorry], esorta a lasciare la “cultura” del ghetto, o in generale le regole imposte dal mondo dell’hip-hop [Run away from the culture to follow my heart]; e in definitiva dà una lezione al suo pubblico di lasciar perdere i vari “salvatori” sparsi nel mondo e non dipendere da loro ma di trovare ciascuno una via autentica di vita e di assumersi ognuno le proprie responsabilità [When will you let me go? – I trust you’ll find independence]. 
Questa sua dichiarazione di umanità [Sorry I didn’t save the world, my friend – I was too busy buildin’ mine again] come finale è in realtà non solo onesta, ma contraddice in senso positivo tutto l’involucro di Mr.Morale & The Big Steppers: niente Bibbie, niente corone di spine, ma la consapevolezza che ad ognuno toccherà portare la sua croce.

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