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Da quando non ci sei più,
piovono mammut
Tonno (Miracolosamente illesi, 2021, WOODWORM label)

12 ottobre 2023

Cara M.,

da quando non ci sei più, piovono mammut. Tornano dalla loro storia d’estinzione. Lo ha detto pure Baricco: il mammut è la carne estinta delle parole che si riappropria delle cose terrene. Non ho capito, in realtà. Le parole hanno smesso di consegnarsi. Non do più i nomi alle cose, che è dolciastra nausea. Esisto perché qualcuno mi ha dato un nome, il mio non lo dice più nessuno, presumo per il fatto che tu non ci sei. Ma è un’ipotesi. Ipotizzo di non esistere più come prima. Questa cosa di scriverti mi suggerisce che sei la motivazione principale, dico, magari ce ne sono altre.

Il primo è caduto dieci giorni fa a Porta Furba, di fronte al Gros h24.

Pare abbia schiacciato cinque o sei persone, a quanto dichiarato dalla Protezione Civile – stiamo facendo tutto il possibile. L’inviato del TG1 parlava di un alieno. Assomiglia a un mammuth, ma per ora meglio non sbilanciarsi. Su Quadraro segnalazioni: fino a che c’erano quelli della Rai, tirava un’aria di cordoglio e rispetto. Più disinvolti i ragazzi di Roma Today: fatta rotolare un’arancia verso la carcassa e seguita con la camera – questa poi me la metti a 0,5x. È poi uscito il direttore: qui non potete stare, e in effetti, scrivevano alcuni nei commenti, faceva strano; c’era steso un mammut davanti a un supermercato. Chi deve andare dove?

Quando mi sono fatto un giro lì intorno stavano già provando a tirarlo su con un carroattrezzi (Senna Soccorso Stradale e Rottamazioni Auto). Tutto chiuso, da Cinecittà fino a Travertino.
Ho pensato che sarebbe tornato tutto al suo posto. Dovevo solo rimanere calmo. Che poi me lo dicevi spesso, rimani lucido, fai mente locale, cose così. Non c’è niente di disperato nelle nostre vite.
Quel giorno non ero tanto vicino al mammut da ribaltare il senso del mio stare al mondo. Per ora mi era permesso vederlo da lontano, spremere una riflessione al riguardo, veloce però, che il Gros stava già tornando a regime. Dall’altra parte della Tuscolana sembrava solo una grossa palla di fango, indurita e malinconica. Beppe Severgnini in diretta la sera stessa: se iniziano davvero a piovere mammut, cari italiani, non basterà mica l’ombrello.

17 ottobre 2023

Cara M.,

la mappa delle cadute disegna un quadro più chiaro, seppur incomprensibile. Il mammut più lontano è precipitato zona Torre Maura, un paio di giorni fa. Da Bianca Berlinguer qualcuno lo dice: il quadrante di Roma Sud è quello più colpito. Forse l’unico. Sgarbi viene cacciato dalla trasmissione per aver minacciato il direttore del Tempo: le zanne mettitele nel culo. Allora oggi sono andato comunque a Torre Maura. Quando cercavo casa in affitto era qui che mi accompagnavi. Mi sono seduto dove c’eravamo seduti noi, ma il cielo era decisamente più grigio, e mi sono sforzato di ricordare di cosa parlassimo: negli anni, io mi sono molto appoggiata a te. Poi sono entrato nella chiesa lì vicino e il prete parlava dell’avvento di un tempo nuovo. C’ero solo io e qualche vecchietta. Le ho contate, le vecchiette, cercando di metterle in relazione tra loro, spazi e numeri, qualcosa di quantificabile o razionale che reggesse all’urto di una massa nera in caduta libera. Ma poi ho preferito pregare. Che tu proceda spedita nella gioia e nel dolore; a me spetta un blando fatalismo.

Fuori, sul luogo: il corpo era stato rimosso, per cui mi sono soffermato un attimo sui resti: la facciata di una piccola palazzina era stata divelta, pur stando ancora in piedi. A lato della strada tardavano a rimuovere tre quattro persiane delle finestre sopra, un armadio di plastica pesante con tutto quello che immagino contenesse – un aspirapolvere senza più il filo attaccato, una gabbietta per uccelli deformata dall’impatto, padelle da buttare già da tempo. E poi il sangue. Chiaro fosse stata lavata via la parte più densa, però s’era rinsecchito lungo le crepe sull’asfalto. Lì più nitidamente, là meno visibile. L’ultimo piano però, il mammut non lo aveva neanche sfiorato, che era l’abusivismo più evidente, un terrazzino sporgeva fragilissimo nel vuoto, e quelli che ci abitano dentro hanno appeso uno striscione: nn lasciateci + soli.

In un gioco di rituali come erano i nostri, districarsi e uscire allo scoperto è sempre stato impossibile. Lo scrivo qui, senza affaticarmi a sbrogliare grammatiche amorose più che complicate: sei il tipico amore pensato. Al liceo Dimensione danza e la Pinko Bag. Ma andiamo, chi sopravvive alla propria adolescenza? Hai avuto almeno due ragazzi che indossavano delle Perry Ellis; quindi, insomma, leggere Sartre è perlomeno fisiologico. E mi sono tenuto stretto questo escapismo da quattro soldi proprio perché un giorno, e lo vedi che ho ragione, qualcosa mi sarebbe piovuto in testa.

19 ottobre 2023

M., ciao,

ancora nessuna decisione politica di rilievo. Penso stiano aspettando di capire quanta gente possa crepare a Roma Sud. E chi, soprattutto. Se si dimezzano gli anziani qualche mammut dal cielo è pure auspicato. Per il resto: stamattina mi sono alzato presto, volevo andare a vederne un altro caduto a Tor Fiscale. Imbeccato da Tele Radio Stereo – per la partita di stasera con lo Sheriff Tiraspol ve dico state tranquilli: il lungotevere per ora è aperto, se ne cade uno passate per la Portuense – mi sono fermato al parcheggio del Burger King. C’è l’esigenza di un rito collettivo che dia respiro al senso generale. Aperto il video: Sabrina Ferilli di nero vestita si piega sulle gambe e tocca il pelo, penso ispido, penso foltissimo, e quasi le scende una lacrima. E c’è questa inquadratura, M., un frame venuto da un altro mondo che è il mondo di adesso, che fissa Sabrina Ferilli con gli occhi umidi attorniata dai microfoni; si appella al Comune per un gesto o una dichiarazione, e dietro di lei invece il mammut di Tor Fiscale evoca a raccolta le assurdità di giorni non più ordinari, il malanno di una realtà in cortocircuito.

Ho paura a dirtelo ma che devo fare, meglio farlo ora così magari ti tieni libero per quando sarà.
Poteva essere ma non è, andiamo avanti, finalmente. Per uno come me, il più classico dei crolli.
Che ne sarebbe stato di quel tempo complesso e informe che abitavamo come credevamo giusto? D’improvviso s’adombrava lineare e perfettamente controllato dalla tua storia singolare, dalla vita tua fatta di scelte. Lo avevi solo ratificato di tuo pugno, per noi e per tutti fuori. La mia attesa – ormai decennale, veterana – di un cuore più coraggioso, riparava altrove. Che cosa avrei aspettato d’ora in avanti? Perché esisteva ciò che può succedere e ciò che non deve mai succedere.
Quel giorno sì che è venuto giù tutto.

21 ottobre 2023

Carissima M.,

oggi è meglio di ieri, direbbe qualcuno. Apocalisse circoscritta, si vocifera di un’evacuazione da Roma Sud. Da dove precisamente iniziarla e dove poi farla terminare, sarà un autentico dilemma. Luciano su facebook: famola finì a Giardinetti. Un bel convoglio di Cotral diretto a Frascati, così da scaricare i nuovi rifugiati vicinissimi alle terre abbandonate; futuri spettatori delle cadute perché no, dal belvedere la vista su Roma è ad ampio raggio. Far dei Castelli un luogo dove mettere su una società nuova, magari un po’ più difficile.

Ad ogni modo, oggi mi sei venuta in mente un numero sostenibile di volte; nel momento in cui ho condiviso il meme – quando lo ordini su Wish è Dumbo, quando ti arriva a casa è la carcassa smembrata del mammut di Subaugusta: niente di che. Sempre al Gros h24, quando solo ad indicare una cassa di Lete da pagare, la voce mi si è spezzata, come fossi di fronte a un esame dirimente, e certo che mi aggrappavo ai tuoi, di giudizi, una scarica di adrenalina. Infine, quando ben visibile sul palo del semaforo si staccava l’adesivo di un mammut giocherellone con gli occhi a cuore – in nero sotto, love y’all. Qualcuno ha già pietà per noi. Vorrei averne anch’io, da appiccicare alla mia giovinezza a mo’ di etichetta su un pacco da spedire; pietà per i nostri anni leggeri, ascrivibili a un tempo vago e apertissimo, e chissà se è mai esistito.

22 ottobre 2023

M.,

inizio a credere che tutto quello che mi riguarda è la testimonianza. Tutta mia, inascoltata. Mi rimangono queste lettere. Testimone perché non ancora morto, nessun mammut per ora mi cade addosso. Eppure abito all’epicentro della tragedia, da altre parti non ho intenzione di andare. Se andassi a Ostia potrei fermarmi da amici. Basterebbe anche San Paolo, che so, Acilia, lì conosco alcune persone. Credo però che se dovessi trovarmi di fronte il mare qualsiasi cosa sarebbe possibile. Cercare un lavoro vero, andarmi a comprare le sigarette a piedi. Ho avuto la nausea per tutto il giorno, ripeto, non è colpa di nessuno. E allora perché non me ne vado?

23 ottobre 2023

Carissima M.,

prima o poi doveva succedere: ha tremato la terra e ho avuto l’impressione che tutto squillasse. Non voglio immaginare che effetto ti abbia fatto. Mi sono mosso subito. Via dei Consoli di corsa, non c’era tanta confusione, erano tutti fermi a bordo strada con lo sguardo puntato in alto. Penso che dopo questa non si torni più indietro. Intendo dire che la morte stavolta è un rumore intollerabile e immediatamente prossimo. L’ho capito proprio dal silenzio man mano che tiravo dritto. Ti direi che siamo vicini a una lucidissima consapevolezza pubblica. Pare abbia centrato in pieno la cupola, che sia poi rotolato fino al cortile esterno. Ho fatto in tempo a vederlo bene, calcolati cinque, massimo sei minuti tra il botto e il mio arrivo. L’addome era completamente sbracato, più che di una caduta, sembrava il frutto di uno smottamento interno. Mancava di una zanna intera, non si sa dove sia finita. L’altra era aperta in più punti, dei buchi la percorrevano disordinati, anche se di preciso sembravano ferite, come se qualcuno l’avesse lavorata con una sega. Non so che organo aveva fatto a pezzi una Fiat Punto parcheggiata di fronte. A dirla tutta, sembrava un enorme agghiacciante performance camp. A Don Bosco si ricorda ancora il funerale di Vittorio Casamonica con carrozze e quant’altro. Naturalmente un camp riuscito male, senza paillette o candelabri laccati, solo del sangue vivo spruzzato sulle pareti di una chiesa. Con la sede lì vicino, i vigili del fuoco subito sul posto. Alcuni di loro andavano da una parte poi sterzavano dall’altra, non sapevano da dove cominciare; se utilizzare la scaletta o meno e per fare cosa, serviva più acqua ma verso dove. In realtà era evidente che non volessero avvicinarsi. E infatti si concentravano in altri punti. Come un gruppo di turisti da superare mentre si cammina, avvertivano la sagoma e facevano dei larghi giri per non guardarlo. Bontà loro, erano meno di dieci. Meno di due, quando il mammut ha iniziato rantolare. Lo avrai già visto sui video. Come i concerti, dal vivo è tutta un’altra cosa. Uno sciabordio. Un venire e ritirarsi di una piccolissima onda. Ho immaginato un porto abbandonato e l’acqua che ne è il riflesso, un’acqua sporca e in lento abbassamento. Boccheggiava quasi in levare, e anche qui ho avuto come la sensazione che evocasse qualcuno o qualcosa. Vorrei dirti questo: che sono stato testimone di una specie di liturgia. Eravamo pochi fedeli, realmente increduli però, quelli più stretti persino senza cellulare. L’unico era un pachistano, che se ne è stato tutto il tempo in piedi sulla panchina a riprendere: la signora in lacrime, il vigile del fuoco svenuto tra le braccia di un collega, il mammut che alla fine si zittisce. Prima di farmi ancora poco più vicino, un appuntato ha preso a urlarmi addosso. Non ho potuto testimoniare a dovere la morte del mammut. Sai, di questa scena mi piacerebbe vederne un quadro. E se anche si decidesse di non ritrarre su tela quanto fossi vicino, mi andrebbe bene. Sono o non sono un testimone che non ha niente da dire?

25 ottobre 2023

M. cara,

come saprai, ci siamo. Praticamente dovuto il decreto-legge in tema di “Misure urgenti di contenimento e gestione dell’emergenza MAMMUT, con riferimento alla città di Roma, e in particolare, la gestione dell’emergenza delle numerose cadute delle creature suddette avvenute nel Municipio VII”.

Rapida carrellata sul Messaggero: scendono dalla Togliatti verso l’Aeroporto militare di Centocelle i veri bisognosi di questa città: chi non ha la macchina. Atmosfera Dachau, mesto il romano d’adozione s’accoda per essere schedato, smistato verso i bus e alla fine sì, che siano i Castelli a far nascere nuovamente il giorno. Quindi lunghe file – queste sì di romani veri – di utilitarie e Smart modificate e 500 Abarth in leasing, ma con il semiasse sotto sforzo per comodini e cuscini, nipoti e nipotini; s’alzano per la Tuscolana odori di pizza bianca e di Voltaren per le schiene provate e piegate; dall’IP fanno benzina e già si sgranchiscono le gambe, fumano e parlottano i padri di queste famiglie soggette a evacuazione, il giornalista me li racconta né troppo adirati, né tantomeno felici, sembrano solo persone che devono fare un’altra cosa che non gli va di fare ma che faranno lo stesso, più che altro pe’ i pupi.

Il breve tempo che mi è rimasto, prima che qualcuno si accorga di me: uscito solo a sera inoltrata, mi sono infilato in un baraccio a Numidio Quadrato. Line-up di gran pregio su Radio Italia solo musica italiana, artisti riuniti per le vittime dei mammut, per chi non sa dove dormirà stanotte. Saltellava Biagio Antonacci – forza Roma, forza romani! E poi meglio di qualunque esistenzialismo: e se mi sognerai/dal cielo cadrò/sognami mancato amore.

Volevo sul serio mettermi a piangere lì dentro, che male avrebbe fatto? Un pianto godrebbe di ampio consenso. C’era tuo padre che ti portava sottobraccio, i tuoi pochi invitati; qualche goccia di Lexotan – a sgrassare – ti avrebbe mantenuta fino alle promesse sorridente e realmente a tuo agio. Benché l’antico vezzo di frignare – sommesso, ci mancherebbe, si trattava sempre di Numidio Quadrato – davanti a dei versi ben assestati al momento giusto mi sembrasse cosa decorosa, fermo con i gomiti appoggiati al bancone, neanche una lacrima. Che stia iniziando a monitorare la mia educazione sentimentale? Finisco: oggi neanche uno. Non qui, da nessuna parte. Domani evito la macchina. Girerò rasente muri fino ad Anagnina, da quelle parti ancora non sono caduti.

Maggio 2024

Amica mia, amore di un altro tempo,

ho ripreso queste lettere per controllare fino a che punto avessi dimenticato le parole. Sono carne e nient’altro da quasi un anno. Ne ho dimenticate la maggior parte. Perse loro, che mi è rimasto? Una volta militarizzato tutto, le prime settimane entravo e uscivo di casa attento e vigile. Fuori, non un passo in più. Prendere le misure delle ronde. E fino a che c’era linea riuscivo a farmi un’idea dello spirito delle cose oltre casa mia. Come stava funzionando il mondo. Quando l’hanno tolta, anche quel sottile strato di storia, d’evento prossimo, è morto. È pur vero che io qui ci sono rimasto. Ora un po’ capisco perché. C’è questa ragazza che ho conosciuto, si chiama Asia. Non so cosa dicono in giro, però ti posso assicurare che tra questi palazzi siamo in pochi. E non si fa mica la resistenza – resistere a cosa poi – come in qualsiasi film apocalittico. Si cerca solo di restare nascosti e mangiare come si può. Asia, comunque, qualche tempo fa ha colto il punto. Durante i primi incontri non parlavamo granché, sai la paura di vedere altre persone. E anche adesso non è che si parli di grandi argomenti. Però ecco un giorno ci siamo aperti; lei ex insegnante di yoga che vuol trascendere, mi fa tutti questi discorsi sul libero arbitrio e l’energia vitale. Quando mi chiama in causa, non so davvero cosa dirle: sto lì che faccio giri immensi con frasi interrotte, parto spedito ma poi mi contorco sui concetti. Vabbè ho capito, mi ha detto a un certo punto, stai solo aspettando che ne cadano altri.

Effettivamente è strano. Dalla tragedia di Don Bosco, per tutti questi mesi dal cielo è caduta solo pioggia ogni tanto. Magari è successo in altre parti di Roma, può darsi anche in Italia. Ma non vorrei saperlo. Quando posso faccio delle sortite nella mia vecchia casa, da dove ti scrivevo. È lì che ho ritrovato le lettere. S’è ammassata tanta di quella polvere che a malapena mi siedo. E non posso fare tanto casino, me li ricordo i vicini; se qualcuno è rimasto, di sicuro in qualità di spia. Allora sto in piedi in salotto e aspetto. Le frenate degli autocarri per strada, i pigri avvisi dei soldati al megafono. Che piova, è buona cosa. Alimenta la sensazione di essere nascosto per un valido motivo. Ti avevo elaborato con le parole, una sequenza più o meno disarticolata di pronomi verbi e rimpianti. Asia prova a scardinare la nostra sintassi. Prendendosi cura di me, a suo modo, ci riesce anche. Dico una cosa in più: se modellavo la realtà per mezzo delle parole nostre, e nostre soltanto, allora lì parlavo di amore. Ma ora che quelle vanno per l’aria, cos’è che mi circonda? Avevo già smesso di nominare le cose; farlo anche con i ricordi però è tutt’altro dolore.

12 Giugno 2024

Amica mia,

questa è la mia ultima lettera.

Stamattina mi sono svegliato e Asia non era con me. Ho prima gettato un’occhiata al cortile interno, vuoto come al solito, e poi sono uscito per strada. Mi piace tenermi in disparte nei primi negozi abbandonati che trovo. Solitamente aspetto un’oretta e riparto. Rovistando nella roba scaduta di un ristorante cinese penso di aver fatto rumore, perché dietro di me qualcosa s’animava lentamente, un movimento ruvido, di qualcosa che nasce dal pattume. Alla fine non era niente, credo un piccione, per dirti però che la sensazione di essere seguito ce l’ho avuta fin dall’inizio.

Spostandomi verso sud sono passato velocemente sotto un cavalcavia e ho deciso di scartare per la campagna intorno. Sinceramente non so cosa cercassi. Penso mi abbia spinto la paura di essere preso. E allora quest’attesa incorrotta forse ha avuto un senso. Stasera avrò una spiegazione plausibile per l’anno che sta per finire, dirò a questi qui che ho fatto bene. L’unica soluzione era quella di rimanere dov’ero, di amare da lontano. E fortuna mia, non andrò incontro a un tormento più puro di quello di cui ho scritto. Potrebbe bastarmi così, amica mia. Perché all’inizio è stato un fischio distante, un fastidio all’orecchio. Poi il suono ha cambiato natura, da rumore sottile a graduale crepitio spezzato in pause precise, come calcolate. Quando l’aria ha cominciato a spostarsi in una maniera che non potevo più pensare naturale, compressa verticalmente e poi espulsa a est e a ovest, proprio lì, ho alzato gli occhi al cielo come gesto automatico, l’unico possibile. Non c’è altra parola che il tuono. Il mammut è precipitato con la proiezione di un meteorite e il fragore di un tuono che cade ogni cento anni. Comandato da una violenza religiosa. Sono sbalzato di svariati metri e poi finito nel buio.

Ecco la vicinanza che aspettavo da tutto questo tempo. Per un attimo ho voluto che fosse lui a riconoscermi. Sulle prime ho gattonato nella sua direzione, mi sentivo mancare. L’erba sapeva di bruciato, i colori s’erano sbiaditi. Persino il suo pelo non appariva marrone come pensavo. Una volta in piedi, mi sono trascinato fino al corpo, verso la parte dietro dov’erano le zanne. Poi ho fatto il giro e senza fiatare mi sono steso di fianco a lui. Stava morendo ma non pareva agitato, tutt’al più triste. Devo dirtelo, non ero spaventato. Il botto era stato così forte che rendeva legittimo pensarsi in riposo, al limite dentro un sogno. Questa è la mia ultima lettera perché ho fatto in tempo a sentire da lontano un paio di autocarri dirigersi verso di noi e Asia urlare subito dietro.

Ho fatto in tempo a vederti dentro i suoi occhi assolutamente neri e prossimi a chiudersi: c’era il tuo naso piccolo e squadrato nel viso un po’ inglese; i capelli lasciati andare sulle spalle e lo sguardo distratto, venuto in pace; le braccia magre e tenute molli sui fianchi; le tue gambe da ex ballerina mancata al professionismo, che le passioni erano altre, e comunque definite e slanciatissime. C’erano anche le parole per darti nuovamente un nome, per dimenticarti in santa pace.


Foto April Pethybridge / Unsplash.

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