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Inauguriamo oggi Corsa allo Strega, rubrica dedicata alla cinquina finalista al Premio Strega e organizzata in collaborazione con la Scuola del libro. Questo primo contributo è a cura di Giulia Manzi, Eloisa Del Bravo, Francesca Busatto. Buona lettura. 

1919. Sullo scenario di un’Italia divisa, distrutta dalla guerra e alla ricerca della propria identità, s’alza una voce, quella di Benito Mussolini. Intorno a “lui” però orbita un coro di comprimari, avversari, amici, poeti, amanti. Ognuno di loro racconta ciò che il proprio sguardo coglie, o vuole, o crede di vedere, di un periodo pieno di ombre e silenzi omertosi. Seguendo un rigido criterio narrativo, per cui ogni frase riportata è tratta da appunti, registrazioni e documenti d’epoca, Antonio Scurati affronta, nel primo volume di una trilogia annunciata sul Ventennio, la storia dell’ascesa di Mussolini dalla fondazione dei Fasci di Combattimento nel 1919, fino al discorso a Montecitorio nel 1925. È la storia della genesi del regime fascista ma vista con gli occhi e narrata dalla voce del suo protagonista assoluto e dei suoi contemporanei.

M. Il figlio del secolo, edito da Bompiani e finalista al Premio Strega 2019, annuncia i suoi intenti sin dall’iconica copertina: un segno nero, dai tratti decisi e acuminati, su sfondo bianco. Una lettera che parla da sé, con il rimando all’«ideologia dominatrice» veicolata dalle maiuscole di Marinetti; una “M” dotata di duplice significato: “Mussolini” e “Morte”, retaggio di un passato in cui «per invocare la morte del nemico, era sufficiente l’iniziale».

La vita di Mussolini è il filo conduttore del libro, definito da Scurati il suo «massimo contributo all’antifascismo»Apporto che l’autore consegna tramite la modalità d’espressione più democratica che esista: il romanzo, di cui sfrutta le suggestioni e la capacità evocativa per raccontare il figlio del secolo “breve”, compensando la mole di riferimenti documentari con un dinamico alternarsi di punti di vista. In una forma divulgativa, fruibile a tutti, Scurati si spoglia dei pregiudizi e inquadra i personaggi con «la focale corta», fornendone una visione complessa e stratificata. Gabriele D’Annunzio, Italo Balbo, Amerigo Dùmini, Leandro Arpinati, Nicola Bombacci, Giacomo Matteotti e Margherita Sarfatti sono menestrelli del proprio presente, liberi dal fardello di una consapevolezza storica, ma prede di egoismi personali e ideologie. Dai loro pensieri traspare l’insicurezza del dopoguerra, quando le certezze e il mito del progresso tecnologico e sociale crollano e la violenza diventa «clima di un’intera epoca».
In un mare di pulsioni, frustrazione e sconforto, si erge lui, Mussolini, uomo dato per spacciato, un «rudere» incapace di costituire un pericolo. Scurati mette a nudo, con capacità critica, gli errori compiuti nel sottovalutare un individuo innocuo solo in apparenza e in grado, invece, di alimentare le passioni più cupe della massa, di soffiare sul fuoco dell’insoddisfazione e il cui unico talento è essere un elemento che «fiuta l’animale morente e si accoda al vincente».

Unendo il rigore storiografico a una prosa che opera per immagini, capace di comporre con poche parole fotografie nitide, l’autore presenta al pubblico il lato mutevole e trasformista del “figlio di un fabbro”: da strenuo seguace del Socialismo, a difensore degli ideali edonistici dannunziani; da rivoluzionario, antiparlamentare, repubblicano, a Duce del fascismo. Il tutto, segnato dall’ombra della violenza, di cui Mussolini è prima detrattore e poi seguace. Una violenza prima  visiva, «personificata dell’Ardito tozzo, taurino, con la divisa ricoperta di nastrini» poi mezzo disprezzato ma utile e, successivamente, definita come «cavalleresca»«necessità chirurgica» e «carattere di difesa nazionale» contro un nemico non esterno, bensì interno: il socialista, araldo della rivoluzione russa su suolo italico. Così la «profezia della violenza si avvera», il fascismo è portatore di una violenza definita liberatoria, contrapposta a quella che incatena ai sistemi obsoleti dello Stato liberale, ma anche sottile, studiata e cerebrale, come quella che Margherita Sarfatti applica a se stessa nell’unirsi fisicamente a Mussolini, per preservare la memoria della morte del figlio a cui «soltanto il fascismo può dare un senso».

M. Il figlio del secolo diviene quindi un’opera letteraria il cui fulcro non è solo raccontare le crudeltà del fascismo, ma mostrare al pubblico come questo si alimenta dell’odio, del rancore, del dolore di una popolazione che vede nella violenza l’ultima giustizia ai torti subiti e dove la stessa è «levatrice della storia»Un nodo, quello tra il fascismo e la violenza, esplicitato da Giacomo Matteotti, che «lascia che la parola “violenza”, associata al fascismo, volteggi a mezz’aria» e si configura come l’unico reale avversario di Mussolini, in una perversione dei topos narrativi in cui il Bene svolge il ruolo dell’antagonista e il Male è protagonista assoluto.

 

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