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Carbonio Editore (che ha in catalogo tra gli altri Masha Gessen, Colin Wilson e David Benatar) ha da poco mandato in libreria i tredici racconti di Rachel B. Glaser che compongono la raccolta Piscio sull’acqua (nella traduzione di Barbara Conca). Chi è Glaser? Artista visuale, classe 1982, originaria del New Jersey, l’autrice è indubbiamente attratta dalla multimedialità, come testimoniano le sue opere e i dipinti, sia quelli in cui è palese un intento realista piuttosto naïf sia quelle in cui mette in atto una raffigurazione semplificata per grandi campiture, ma con i colori sostituiti curiosamente da texture con motivi decorativi ripetuti, floreali o geometrici, talvolta elaborati rozzamente al computer come immagini pixelate. Sia la copertina originale (uscita nel 2010) che quella dell’edizione italiana sono sue opere. Glaser realizza anche animazioni digitali (con una patina anni Ottanta) e dipinti su oggetti come specchi, scarpe, piatti d’argento e persino teglie preformate per cupcakes. Chi scrive non è in grado di dare un giudizio estetico definitivo sulla sua opera figurativa, ma vuole piuttosto sottolineare il fatto che la principale cifra stilistica di Glaser, anche nella scrittura, sia proprio la poliedricità.

Tra videogame, simulazioni virtuali, separazioni e lutto, amori e mancanza degli amati, le trovate narrative di Glaser strappano sorrisi, non di rado amari, e qualche volta invogliano alle lacrime. Il primo racconto, L’ombrello magico, è folgorante. Inizia come la storiella fiabesca e ingenua della piccola Jen e di un ombrello con la faccia, in grado di far volare le persone su fino a Marte e ritorno. In un gioco di scatole cinesi, viene rivelato di paragrafo in paragrafo che ciò che si è appena letto è una creazione della piccola Agnes, poi di una Jo alternativa a quella delle Piccole donne della Alcott, quindi della Alcott stessa (una versione problematica e revisionata della biografia dell’autrice): di volta in volta la prospettiva si trasforma, fino a un finale in cui è il libro stesso a parlare di sé in prima persona. E ciascuno dei passaggi si rivela una felice sorpresa.

A partire da questo inizio col botto, la scrittura della Glaser fa pensare alla creatività rutilante a cui ci hanno abituati i Simpson e le altre commedie scritte allo stesso modo funambolico, nelle quali – in estrema sintesi – una sottile linea logica porta la storia da un punto A verso un punto di arrivo B attraverso snodi narrativi che rasentano o superano costantemente l’assurdo. Non propriamente divagazioni, perché strutturate secondo una coerenza interna e mai dispersive. In due parole: inattese e sorprendenti.

Un’altra strategia compositiva che viene in mente è quella di Scorpion Dagger, l’artista delle Gif animate che preleva elementi dell’arte sacra dei secoli passati e li demistifica ricombinandoli in situazioni irriverenti, ridicole, dissacranti. Questo dà origine a una sensazione di divertito spaesamento, che si ritrova per esempio in Convenzioni iconografiche prerinascimentali e del primo Rinascimento: la rappresentazione italiana della flagellazione di Cristo. Come si intuisce dal titolo, prendendo l’avvio dalla descrizione pseudo-saggistica della figura del Cristo nell’arte, Glaser chiama in causa la ripetizione come principio estetico e di verità, ribadita dalla cover delle canzoni famose, per chiudere con la citazione di una improbabile cartolina di Jimi Hendrix. Una realtà virtuale in cui impersonare John Lennon (Jon Lennin, probabilmente per ragioni di copyright, dentro la finzione) diventa un pretesto per raccontare l’impaccio di essere sé stesso per un ragazzo che non sa come approcciare le donne, nella vita reale, ma che nel videogioco vive una meravigliosa e sessualmente appagante relazione con Yoko Ono. Fino a vivere assurdamente l’omicidio dello stesso Lennon.

Nei racconti di Glaser c’è sempre, sottotraccia, qualcosa di perturbante, qualcosa che affiora da una coscienza dell’irrisolto o dell’irrisolvibile enigma del vivere: è così anche nel gioco del pusher e della sua ragazza, che finisce in un drammatico aut aut finale, così nella veglia di un soldato accanto al corpo martoriato e sanguinante di un commilitone, altalenante tra incoscienza e ricordo e immaginazione. Il racconto che dà il titolo alla raccolta è stato inserito nel 2015 in New American Stories, l’antologia curata da Ben Marcus per Granta, nella quale spiccano nomi di prestigio come George Saunders, Zadie Smith, Don DeLillo, Yiyun Li, Donald Antrim. Questo racconto, che può valere come punto più alto dell’intera raccolta e come summa di argomenti e di stile, è una ricostruzione narrativa dell’evoluzione della vita terrestre, scandita in un collage di immagini da successive supremazie di esseri più potenti, più aggressivi, più resistenti e, con l’uomo, più ridicoli e autodistruttivi. Le leggi della Natura (e della naturalità) hanno lasciato spazio a un umanesimo non tanto a un bivio quanto a un crocevia di infinite possibilità, tutte distruttive, combattuto tra le realtà emotive e conflittuali e la virtualità consolatoria e ingannevole.

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