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È una piacevole desolazione quella che il ghiaccio mi propone di fronte agli occhi. Infonde un senso di pace, di tranquillità. Mi lascio avvolgere da questo stato a metà tra il sogno e la veglia, come fossi una scialuppa che dondola in un mare calmo. Qui non esiste il tempo come lo intendiamo altrove; è qualcosa che mi ricorda il «tempo geologico» della mia terra d’origine. Non mi serve un orologio; non posso e non ha senso controllare le ultime notizie, scaricare un nuovo album. Qui lo scorrere delle ore per come siamo abituati a viverlo non ha nessun valore.
Il ghiaccio è un elefante, io una cellula.”

La scelta di iniziare questo articolo con una citazione tratta dal libro non è casuale. In questo modo, mi piacerebbe che il lettore venisse subito suggestionato dall’atmosfera di sospensione e di pacificazione con la natura che Ghiaccio riesce a generare. Si tratta infatti di un libro ASMR (Autonomous sensory meridian response, ossia “risposta sensoriale apicale autonoma”): la definizione indica una sensazione di formicolio in varie parti del corpo, perlopiù accompagnata da uno stato di rilassamento mentale di chi la esperisce; a suscitarla concorrono numerosi stimoli: cerebrali (pensieri o idee), oppure di natura visiva, uditiva o tattile, percepiti da un soggetto in modo attivo o passivo, che permettono di fuggire con l’immaginazione verso terre altrimenti inaccessibili. Marco Tedesco e Alberto Flores d’Arcais sono riusciti a trasmettere tutto questo; il primo è professore alla Columbia University e ricercatore della NASA e il secondo è il noto giornalista, collaboratore di Repubblica, Espresso, La Stampa e altre grandi testate italiane. Dalla loro collaborazione nasce Ghiaccio. Viaggio nel continente che scompare, uscito per i tipi de Il Saggiatore nell’autunno del 2019. Il libro si propone come un diario di bordo che ripercorre, capitolo per capitolo, le varie tappe di una spedizione artica, in Groenlandia: lo scopo è quello di valutare l’impatto del cambiamento climatico sullo scioglimento dei ghiacci, e come ciò influenzi a sua volta l’innalzamento del livello del mare. Ma non solo: oltre agli aspetti più propriamente scientifici, Ghiaccio indaga anche la mitologia, le tradizioni locali e l’etnologia.

Nel corso del viaggio, lo scienziato Marco Tedesco si porta dietro il suo bagaglio di ricordi e pensieri più intimi, disponendoli a fianco delle informazioni sulla spedizione come elementi di una ricerca personale ed esistenziale, oltre che scientifica. Attraverso il racconto, il passato riaffiora costantemente: di particolare importanza è la sua terra d’origine, situata tra i lievi pendii «a misura d’uomo» dell’Irpinia. L’autore parla degli aspetti del suo carattere come di tratti ereditari di quella zona, ricordata per quella «asprezza che rende le mani dure così come i pensieri, e che ha forgiato le azioni quotidiane e le gesta di una tribù proto-europea, gli irpini». È proprio dall’introspezione nel suo passato che Marco Tedesco trova l’elemento fondamentale per affrontare un percorso che lo condurrà verso quelle terre inaccessibili: si tratta di un atteggiamento, una posa, il cosiddetto «passo geologico», che serve per «assorbire ciò che ci circonda senza fretta». È così che si forgia lo sguardo dello scienziato, di chi contempla la natura per coglierne i segreti. Perché l’esplorazione «richiede determinazione, perseveranza, creatività e ingegno, oltre a sangue freddo e riflessi pronti per arginare ogni possibile evento che possa compromettere i lunghi mesi – a volte anni – di meticolosa preparazione alla spedizione».

Per aiutarmi a rendere il fascino di questa lettura mi servo della recentissima uscita di Francesco Guglieri, Leggere la terra e il cielo. Letteratura scientifica per non scienziati (Laterza, 2020). Nel libro, Guglieri mette «insieme un canone personale e sentimentale, una guida per costruirsi una biblioteca scientifica minima», riallacciandosi al monito di Italo Calvino, che spiegava come i libri di scienza riuscissero ad essere palestre per l’esercizio della fantasia. Come i libri descritti da Guglieri nella sua antologia, anche Ghiaccio è un libro che attiva l’immaginazione in maniera dirompente, permettendo così di entrare nella sensazione di intimità che solo un posto così isolato dal mondo può suscitare. Ci addentriamo così in una vera e propria giornata di esplorazione artica, in cui i capitoli ne scandiscono le diverse tappe, ora per ora. I più toccanti sono quelli in cui si parla dell’alternarsi tra il giorno e la notte: come si vive in Groenlandia, quando il sole non abbandona mai quelle terre?

Inoltre, uno degli aspetti più interessanti del libro è il suo non rinunciare, come anticipato, a raccontare storie, leggende ed elementi delle tradizioni locali. In uno dei racconti centrali di questo memoir si ripercorre la mitopoiesi di un territorio unico, ricordando che dietro al nome della Groenlandia c’è una precisa ragione etimologica, che risale alla controversa tradizione per cui una terra che quasi nella sua totalità è ricoperta di ghiacci sia chiamata “Terra verde”. Molti altri sono gli aneddoti che vengono raccolti per spiegarci meglio le preziosità di questa terra; tra i tanti, di particolare interesse è la storia, cruda e spiazzante, sul perché sole e luna si rincorrano da millenni secondo le tradizioni del luogo.

Un’altra particolarità è che il libro si concentra soprattutto sugli aspetti essenziali della spedizione, sui gesti pratici e meccanici che ne compongono la quotidianità: la vita in tenda, i rituali di vestizione, il rapporto con gli altri membri del gruppo di ricerca e i vari pasti della giornata. Sono in risalto gli aspetti materici del viaggio in mezzo ai ghiacci, che conferiscono al testo una grande potenza evocativa. Non in secondo piano sono gli elementi sonori: «In Groenlandia la rarefazione dell’aria e l’assenza di altre fonti sonore danno l’impressione che i suoni più comuni della quotidianità acquistino un timbro differente, altrove inaudibile». Ed è così che i suoni più banali e quotidiani vengono isolati e diventano assoluti: improvvisamente, un rumore banale come quello per esempio di una cerniera acquisisce un senso del tutto nuovo. La ricostruzione della sfera sensoriale e dell’aspetto uditivo del viaggio non si limita agli aspetti personali: diventa anche un’occasione per parlare dei fenomeni scientifici.

Il libro non è incentrato solamente sulle immagini che evoca con le sue accurate descrizioni della terra, del ghiaccio, del clima e dei cieli della Groenlandia, come ci si potrebbe aspettare: la scrittura a quattro mani di Tedesco e Flores d’Arcais riesce invece a creare un caleidoscopio sensoriale. La descrizione più affascinante in questo senso è forse quella del sublime rumore del ghiaccio che si sposta. Dopo aver spiegato questo processo, la rapidità dello scorrere del ghiaccio è descritta attraverso una similitudine: è come se a Roma si piantasse una tenda in piazza di Spagna e ci si risvegliasse il giorno dopo in piazza del Popolo: «Mi sembra quasi di stare auscultando il respiro di un dinosauro, solo con i miei pensieri».

Un ultimo aspetto che vale la pena di evidenziare, forse già emerso tramite alcuni passaggi del libro, è la scelta lessicale. Nella sua antologia personale di libri di scienza, Guglieri pone spesso l’attenzione sugli aspetti linguistici, su scelte formali e descrittive e su come spesso questi testi possano essere considerati un prezioso «serbatoio di metafore». Allo stesso modo, nella sua ricerca del meraviglioso artico, Ghiaccio sembra affondare nello stesso territorio linguistico. Dall’immagine del dinosauro dormiente, alle descrizioni dello spettro di colori che il ghiaccio può assumere, emerge un’idea placida, rilassante e, in un certo senso, confortante di queste atmosfere gelide. Ma, al contempo, in alcuni tratti emerge l’esatto opposto. Alcuni fenomeni sono spiegati attraverso un repertorio lessicale che oscilla tra il fantastico e l’orrorifico: il moulin, labirinto glaciale, cryoconite holes, venti catabatici, tardigradi. In Abissi glaciali, uno dei capitoli conclusivi, gli autori sembrano usare un lessico lovecraftiano, che fanno venire in mente in particolare Le montagne della follia (Il Saggiatore, 2017), testo scritto da Lovecraft nel 1931 ma pubblicato soltanto nel 1936: si tratta di un finto memoir di uno scienziato che racconta una terrificante spedizione in Antartide. In un certo senso, quello di Lovecraft si pone quasi come l’antilibro di Ghiaccio, nonostante questi due testi siano collegati da un filo sottile.

Al termine della lettura rimane impressa la devozione provata da Tedesco per il proprio lavoro. Da qui emerge una vera e propria deontologia dello scienziato: «Paradossalmente, si potrebbe dire che si tende ad avere più fede nei confronti del dubbio che nella verità. La mania del perfezionismo costringe a mettere continuamente alla prova idee e risultati, fino a quando non si arriva a un punto di rottura; quando non succede, si è davanti a un successo di cui bisogna essere grati». E qui vale la pena di soffermarsi e pensare al valore del dubbio, alla sua categoria epistemologica scivolosa, territorio di teorie complottiste e deliri paranoidi, ma allo stesso tempo di grandi visioni e scoperte. Il dubbio come metodo di lavoro, per esempio nell’utilizzo dei modelli di studio dei cambiamenti climatici, è fondamentale per capire cosa accade oggi e cosa accadrà domani. Quello che gli scienziati cercano di fare con il proprio lavoro è studiare il mondo, al fine di guardare dentro «una sorta di sfera di cristallo digitale – e scientifica – dei giorni nostri». E dobbiamo imparare a guardarci dentro anche noi, e ringraziare libri come questo, che riescono a fornire una visione più semplice e infondere un grado di consapevolezza maggiore di fenomeni complessi, nella speranza che possa essere la conoscenza ad aiutarci ad affrontare le sfide che ci riserva il futuro.

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