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Io comincerei dicendo più o meno così: uno scrittore nostro conterraneo, uno dei più famosi, ha ammazzato un tale a sangue freddo e si è dato alla macchia. Che ne dice, Manolo? Roba da romanzo!”

Notturno di Gibilterra di Gennaro Serio (L’orma editore 2020, vincitore del premio Calvino 2019 con il titolo L’attività letteraria a Gibilterra nel secolo XXI) è un giallo letterario, ma è allo stesso tempo la frantumazione celebrativa (la celebrazione frantumata) del giallo e della letterarietà. Le coordinate di partenza sono eccezionali, ma apparentemente non irregolari. Esistono un assassino, una vittima e un detective: Enrique Vila-Matas ha ucciso un giovane giornalista in un albergo a Barcellona; a indagare, un detective senza nome (apparentemente narratore del romanzo) aiutato dalla sorella Soledad.

Il tempo di inquadrare questi punti su un reticolato piano e Gennaro Serio li trasferisce in una geometria altra, non euclidea, che nasconde sia un progetto più grande, sia il suo collasso. Soledad, infatti, ha architettato un piano per incastrare il fratello in un caso labirintico e fargli così scontare, con la letterarietà, il suo essere «Nemico delle Lettere» e ignorare deliberatamente il valore di libri lettura letteratura. Le redini di questa caccia forsennata, però, le sfuggiranno di mano: non sarà più lei a guidare gli spostamenti dell’uomo, ma una forza misteriosa e inattesa che lo trascinerà, ai confini della pazzia, in un mondo interamente letterario, arrivando a farne un poeta.

Da antiletterario a iperletterario: Gibilterra e Gibramonte

L’«epigrafe incongrua» con cui si apre il romanzo lascia spazio alla definizione per negazione del suo protagonista. Il detective che abbiamo di fronte ci informa di non assomigliare a nessuno dei suoi celebri colleghi letterari; non è Maigret e non è Ingravallo. Però va in barca a vela come il francese e come Ingravallo si trova presto ad abbracciare un «cumulo di sconclusioni» perché, rivela Serio, «si diventa investigatori solo quando si è capito che si lascerà l’indagine incompiuta».

Se l’incompiutezza dell’indagine fa il detective compiuto, interessante è rilevare che il protagonista del Notturno assume una fisionomia effettiva solo nel momento in cui il progetto di Soledad inizia ad avverarsi, quando da antiletteraria voce narrante si fa oggetto letterario di una narrazione che non conosce e, ancora di più, oggetto iperletterario di una narrazione preclusa persino alla narratrice stessa. Quando Soledad perde il controllo sul fratello e la sua vendetta è insieme ultimata e fallita, il detective esiste ed è ormai letterario al quadrato: non è solo diventato un poeta, ma nel suo inseguimento è finito a Gibramonte, il nome della Gibilterra finzionale di Héctor Licudi in Barbarita.

Un demiurgo in panne

Sebbene Notturno di Gibilterra si apra con la narrazione condotta dal detective in prima persona e prosegua in parte con gli inserti delle sue lettere inviate alla sorella, è la voce di Soledad, che presto sostituisce quella del fratello, ad accompagnare il lettore.

Soledad narra, crea, manipola. Plasma un mondo e lo guida finché può, finché il creato non si ribella al suo creatore. Perito, medico legale, narratrice e assassina, Soledad crea l’assassino, crea la vittima e crea il detective. Sceglie Edmundo Muschison Eresgarulla, un giovane intellettualotto vuoto e superficiale, e lo manovra fino a farne una vittima; sceglie Enrique Vila-Matas: ne fa un premio Nobel e lo trasforma in assassino. In poche parole, Soledad crea il caso. Ma, si è detto, crea anche l’investigatore, se è vero che, avverte lui stesso, «ogni riferimento a fatti o personaggi libreschi [gli unici con cui si definisce] è da attribuire in via esclusiva a mia sorella, anche quando sembro aver fatto mie talune espressioni».

La complessità di Notturno di Gibilterra, però, fa sì che vittime e assassini siano sempre almeno due: Edmundo e il detective da un lato, Vila-Matas e Soledad dall’altr o, a duplicare un rapporto sempre più stretto fra scrittura e assassinio. L’assioma di Lolita per cui si potrà «sempre contare su un assassino per una prosa ornata» trova nel romanzo una conferma e una realizzazione costanti, anche quando rinnegato: «Io non sono una scrittrice. Sono un assassino (Nabokov, non dirmi corbellerie)».

Lo stile: un’esondazione combinatoria

Leggendo il romanzo, si (in)seguono contemporaneamente lo scioglimento del caso (la confessione progressiva di una appagata-incredula Soledad), le peripezie del detective (tramite le lettere che invia alla sorella) e gli inserti stranianti di racconti che hanno come protagonisti i detective letterari più famosi (uno su tutti: l’indimenticabile capitolo Conversación entre un querubín y el espíritu de Borges árbitro o El mundial de los detectives literarios consiste in un torneo a eliminazione diretta che mette alla prova Ingravallo, Montalbano, Maigret, Frate Guglielmo da Baskerville, Croce, Carvalho, Holmes, Wolfe, Poirot, Marple, Rouletabille, Beck, Matthäi, Montale, Marlowe e Padre Brown).

All’intrico si somma la fantasmagoria citazionistica di Gennaro Serio, che semina le pagine di riferimenti colti. Alcuni sono nascosti (in un elenco di giornalisti compaiono acronimi di scrittori e personaggi di romanzi), altri macroscopici, ma non meno costruiti. Due su tutti: Vila-Matas e Joyce. Vila-Matas è sempre presente non solo in quanto personaggio del romanzo e tramite il continuo riferimento a Dublinesque, ma anche per l’implicita costruzione della trama di Notturno di Gibilterra su Assassina letterata, il già citato Dublinesque e Il mal di Montano. A Joyce, invece, è dedicato un capitolo intero, Bloomsday (non a caso il monologo di Soledad, travestita da Molly, finirà con «no»), e altri indizi disseminati in modo imprevedibile, come l’indirizzo rue du Cardinal-Lemoine 71, che dal nulla viene in mente al detective e che è l’indirizzo a cui Joyce è vissuto a Parigi, fondamentale proprio per la composizione dell’Ulisse.

Divertito e consapevole l’uso della lingua. Serio manipola sintassi e lessico con facilità estrema, ogni elemento ha qualcosa da dire, nomi inclusi. Così, ad accompagnare il colpevole sarà il misterioso Suiveur, mentre i due nomi abbreviati di vittima e assassino, in un’intervista riportata a verbale, saranno Mu.Ere e Mata, muere e mata.

La «roba da romanzo» è, in definitiva, davvero roba da romanzo. Un libro che poggia su metaletterarietà e mise en abyme è un palazzo che sceglie volontariamente di ergersi su un terreno scomposto, ha fondamenta elicoidali: sgretolarsi o implodere i due principali rischi. Notturno di Gibilterra riesce però a incasellare l’esondazione letteraria tramite l’arte combinatoria: tutto è allo stesso tempo fuori posto e nell’unico luogo in cui ha senso che sia.

L’effetto complessivo è un continuo, entusiasmante spaesamento per eccesso di zelo. Colpisce il lettore, ma colpisce anche Soledad, col suo geniale piano imperfetto, e colpisce lo zelante detective, che non può smettere di indagare (non per risolvere un caso, ma per esistere) e finirà, spaesato, in un altro paese. L’unico che gli appartiene, quello letterario: Gibramonte e non Gibilterra.

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