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Se è assioma cinologico che ogni cane assomigli al suo padrone e viceversa, non stupisce che i due protagonisti del romanzo Biloxi di Mary Miller (Black Coffee 2020, trad. di L. Taiuti) siano un uomo e un cane decisamente affini. Louis è un sessantenne in pensione, diabetico, sovrappeso, incastrato tra poltrona e televisione; ha un uccello impazzito che ciclicamente gli si schianta sui vetri di casa, un fratello morto durante la guerra in Vietnam, una moglie che l’ha lasciato, un padre da cui aspetta un’eredità che si rivelerà mangiata dai debiti, una figlia che schiva e una nipote pressoché sconosciuta. Layla è una Border collie fuori forma, affettuosa, pigra ma intelligente. Lei soffre di rigurgiti, lui non fa che mangiare e rimuginare. Vivono a Biloxi, Mississippi, cittadina repubblicana e covo di white trash rassicurante perché «prevedibile» e fieramente in adorazione di Trump.

Ma procediamo con ordine. Louis e Layla non si conoscono da sempre, anzi, il loro incontro segna un’interruzione ex abrupto nello scorrere consueto delle loro vite. Tentando di evitare quella che gli sembra la macchina dell’ex moglie, Louis finisce per imboccare una strada diversa dal solito e si trova di fronte a un cartello che annuncia cuccioli in regalo. Guarda i palloncini, si ferma, scende dalla macchina. L’uomo che gli porta Layla ha qualcosa che non torna, dice di regalare gli animali a causa dell’allergia della moglie (ma dove sono gli altri cuccioli? E dove la moglie?); Louis prova a fare qualche domanda, poi prende il cane e lo porta a casa.

Stando a quanto detto finora, per riferimenti geografici, spunti comici e caratteristiche fisiche del suo protagonista, Biloxi potrebbe ricordare in qualche misura Una banda di idioti di John Kennedy Toole. Ma Louis è un Ignatius totalmente privo di eccezionalità: le sue peripezie non sono esilaranti, ma quotidianamente ironiche e spiacevoli; il mondo in cui vive non è un mondo che non ne riconosce la grandezza, ma un mondo che ne ha vista la mediocrità ed è andato avanti.

Per Louis McDonald Jr il cambiamento è un desiderio evidente fin dalle prime pagine del romanzo. Non esita davanti all’idea di adottare un cane perché, sebbene non si tratti di una scelta ponderata e accarezzata da tempo, si presenta come possibilità (accogliente e, in qualche modo, comunque premeditata) di rinnovamento. La consapevolezza della necessità di ridisegnarsi una vita è attestata dallo sforzo costante del protagonista: Louis cerca di essere una persona che non è, fa quello che serve perché Louis possa essere un nuovo Louis. Così il suo sguardo sulle proprie azioni lascia poco spazio a un cambiamento a tutti gli effetti sincero e Layla può stravolgere, porre le basi, ma non rivoluzionare.

Tuttavia, la mediazione delle quattro zampe è fondamentale almeno su due aspetti, individuale e relazionale. È grazie a Layla che Louis potrà finalmente riconoscersi, e la riflessione su cosa sarebbe opportuno fare per riprendere in mano la sua vita parte dal loro vedersi specchiati: entrambi sono a disagio con la propria razza (a Louis piacciono le storie delle persone ma non le persone e Layla con i cani sembra non avere molto a che spartire), mangiano lo stesso cibo spazzatura, hanno a che fare con delle esigenze tutte fisiche. Ed è ancora grazie a Layla, poi, che la monotonia isolazionista e abitudinaria a cui l’uomo si è fuso verrà rimescolata, aprendosi al confronto folle, pericoloso e spesso mal gestito con gli altri.

La accarezzai e rimpiansi di non essermi portato dietro un osso. Non stavo più nella pelle: a quanto pareva nella vita c’era molto più di quanto mi fossi immaginato, e l’avevo scoperto grazie a un cane. Cos’altro ci attendeva? Stabilii che era il caso di mangiare di nuovo, così imboccai la corsia del Burger King drive-thru e ordinai un paio di Whopper con una porzione grande di patatine.

La scrittura di Mary Miller, lineare e pulita, è sempre tesa tra ironia e amarezza; il periodare sembra distendersi solo quando Louis si apre a riflessioni e ricordi. La prosa è tutta volta all’azione: c’è sempre una fetta di mortadella da lanciare, una telefonata da prendere, un motivo per mettersi in macchina, tra snack marche programmi e riferimenti tipici del mondo occidentale e, ancora di più, della letteratura americana degli ultimi decenni. Nelle sue scelte formali, Biloxi si rivela così calibrato su valori, contenuti e comportamenti del protagonista: lo stile è semplice perché Louis è semplice, è ricco di riferimenti pop perché sono quelli i riferimenti di Louis; è, in definitiva, la forma più adeguata alle peripezie di un grasso e diabetico sessantenne americano.

Avventure e sventure a parte, un passo in avanti più sincero si avrà quando la spinta propulsiva del rinnovamento passerà dal desiderio di essere «tutto il mondo di qualcuno» alla consapevolezza che tutto il mondo può essere di chiunque: basta ricordarsi di non dimenticare ingiustificatamente chi (ciò che) si ama e che «la storia può cambiare». Solo in extremis il lettore può tirare un sospiro di sollievo per Louis: non perché le sue avventure siano finite, ma perché finalmente possono cominciare, nella speranza che siano meno viziate da quanto di spiacevole il personaggio ha finora portato con sé e in compagnia di un cane che ride al vento dal finestrino.

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