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«Sono nata annodata come mia madre e sua madre prima di lei. […] I dottori ebbero la stessa reazione a ogni nascita: sollevarono i nostri viscidi corpi contorti in aria e fissarono, inorriditi». Cassie è nata con un nodo di carne sotto lo sterno: una croce che duole e repelle. «Al di fuori, oltre le brillanti luci bianche dell’ospedale, la macchina del mondo continuava a far macinare i suoi ingranaggi […] fauci che attendevano di serrarsi su di noi». Un rarissimo difetto genetico che si tramanda di generazione in generazione: un marchio ripugnante e irrisolvibile. «Saremmo potute essere complicate: nodi barcaioli, a otto, a bandiera, piani, del cappuccino. Ma i nostri nodi sono semplici: singoli». La malattia è unica ma non le rende speciali; il difetto anomalo, loro ordinarie. «Fuori, un ritornello costante di rumore […] un bambino che espelle a singhiozzi tutte le tragedie del mondo attraverso il suo pianto». La pena è quella del mondo; la solitudine, quella di tutti.

Pubblicato negli Stati Uniti per Two Dollar Radio (2019), Il Libro di X esce in Italia nel 2021 per Pidgin Edizioni. Nella bellissima traduzione di Stefano Pirone, la casa editrice – «specializzata in libri sopra le righe, che insegue il mescolamento dei linguaggi e guarda al di là dei confini» – pubblica un romanzo potente e ambizioso. Non solo per la sperimentazione stilistica e di genere; ma anche, e soprattutto, per il contenuto che si spinge ai limiti e si sviluppa su piani diversi e combacianti. Il dolore è il principale fulcro tematico del romanzo, ma non viene affrontato attraverso un rassicurante tragitto narrativo – un inizio, uno sviluppo, una conclusione più o meno salvifica. La rappresentazione della sofferenza di Cassie è svincolata dal procedere della narrazione: l’attraversa tutta e non cambia mai; più che evolversi, segue la protagonista e si manifesta nei modi più diversi. Il dolore, nel Libro di X, è un poliedro dai lati numerosi, in cui ogni spicchio è una sua contestualizzazione tematica. È fisico, psicologico, risultato di un’interazione con gli altri o implicito nella solitudine; si presenta in diversi contesti sociali – in famiglia, a scuola, a lavoro, nel rapporto con l’altro sesso; è legato a differenti ragioni di discriminazione e violenza sistemica – di genere, di classe, contro l’handicap fisico e psichiatrico. Tutti i lati del poliedro sono lame affilate. «Non ci può essere un vero riscatto in questo contesto ­– è stato scritto – tra le scosse sottili che vengono dal Libro di X, questa è quella che saetta dritta nel cervello, più affilata». Non solo il dolore, nel Libro di X, è portato agli estremi; aggredisce e disorienta, sembra non conoscere salvezza. Rappresentato e vissuti nei contesti più diversi e nelle sue forme più varie, trascende la protagonista e si fa universale.

Con una prosa frammentata ed evocativa, l’americana Sarah Rose Etter, autrice di racconti e collaboratrice di numerose riviste, esordisce con un romanzo che rifiuta categorizzazioni di genere e stile. Muovendosi tra le intercapedini della speculative fiction, con elementi horror e weird, sperimenta sulla linea del romanzo di formazione. La storia di Cassie è, sì, un cammino, una crescita, una presa di consapevolezza progressiva; le tre parti che costituiscono il romanzo – «Parte I», «Parte II», «Parte III» – sono momenti differenti di un percorso in ascesa. Ma le complessità della voce narrante, i contrasti stilistici e di genere, la dimensione universale del percorso della protagonista e, soprattutto, del suo arrivo e messaggio finale, trasformano la sua formazione in un’esperienza che non solo è ibrida –  allucinata e vivida, tra «Visioni» e realtà, in una consapevolezza che si muove e si nutre dell’una e dell’altra: è anche biblica, assoluta. Di lei e di tutti, delle donne e degli uomini.

È difficile trovare riferimenti, modelli letterari che l’abbiano preceduta. I toni allucinati, intimi e oscuri, in alcuni passaggi rarefatti e macabri, fanno pensare a Shirley Jackson. Per quanto sospesa fra realtà e lande cupe dell’inconscio, però, la protagonista del Libro di X ha una voce molto più attendibile dei personaggi femminili di Jackson. Nell’intervista rilasciata a Craft, l’autrice si è definita «fan of books that are doing something completely different […] ‘Why the Child Is Cooking in the Polenta’by Aglaja Veteranyi,  […] a Swiss novel about a young girl who grows up in a family of traveling circus performers, and every night her mother hangs from the big top by her hair  […] ‘A Bestiary’by Lily Hoang, anything by Maggie Nelson, anything by Anne Carson».[1]

Cassie e la madre, il corpo annodato, strofinano la casa con il limone. Il padre e il fratello, privi del nodo, lavorano nella «Cava di Carne»: estraggono a mani nude la carne viva e pulsante e, ancora insanguinata, la vendono in paese. «Come faceva il padre di mio padre e suo padre prima di lui»: anche loro puntini invisibili di un ciclo continuo, ingranaggi fissi e ripetuti di generazione in generazione. Cassie si sposta nella città e da lì in campagna. Prova invidia; subisce violenza. Lavora; conosce l’amore. Riceve una complessa operazione che rimuove il nodo. Alla morte del padre, torna a casa; poi di nuovo lontana, in campagna. Nessuno riempirà la solitudine. Niente cambierà il male. Eppure trova la sua redenzione, la sua risposta. Il suo messaggio pieno di luce.

La vita di Cassie, il dolore lancinante del nodo, la repulsione che provoca negli altri, ci vengono restituiti in una narrazione frammentata eppure coerente, rotonda. I contrasti taglienti, nel viaggio di Cassie, trovano una sintesi: è il suo cammino nel Mondo, e come tale è fatto di momenti che non si contraddicono ma si susseguono. Si alternano immagini vivide di carne e dolore –  «Il mio stomaco è una collisione di cicatrici […] bruchi contorti che strisciano sul mio corpo […] alcune perdono un liquido verde, alcune giallo o trasparente, altre semplicemente stillano sangue»; rappresentazioni allucinate del reale – «la città: un’orchestra di metallo arrugginito, furgoni ansanti e palazzi argentati, pieni di corpi, facce, colori, elettricità»; sequenze immaginifiche di luminosa speranza: «Le Visioni», momenti di evasione in cui Cassie corregge la cattiveria e la sofferenza – «A volte immagino tutto diverso. Visioni luminose mi pervadono, scene da una vita dorata in un altro mondo».

Al racconto si alternano spazi vuoti, righe bianche: momenti di silenzio pieno, compatto. E ancora: liste, punti elenco, informazioni precise, scientifiche o storiche. Una voce asettica, ma non incolore.

  • Il polpo ha tre cuori, nove cervelli e sangue blu
[…]
  • Il cuore di una balenottera azzurra è così grande che un umano potrebbe nuotare attraverso le sue arterie.
[…]
  • Il Sole diventerà ancora più luminoso prima di collassare

La lirica attraversa ogni spazio, ogni momento; che sia carne o luce, universo o sangue. «Immagino serpenti nella natura selvaggia che consumano interi uomini. Immagino donne che ingoiano spade […] La carne scivola giù per la mia gola stretta, comincia a farsi strada attraverso il mio nodo». «La mia ferita continua a splendere a ogni respiro, una tremenda sera piena di stelle che luccicano dentro di me». «E allora la solitudine diventa piccola, piccolina, piccolissima, finché non è altro che uno spillo, una stella invertita, un granello di polvere».

Seppur fluida e spontanea, la voce narrante – la prima persona di Cassie – è estremamente complessa. Cassie vive e al tempo stesso racconta: siamo nella sua testa, soffriamo con lei; sogniamo un mondo diverso e proseguiamo nel suo percorso. Dimentichiamo, infatti, gli elementi surreali: la «Cava di Carne», nel procedere della narrazione, non desta più soprese; il suo nodo dolorante diventa il nostro. Al tempo stesso, però, Cassie ci parla: si sta raccontando.

Si rivolge al lettore solo due volte: all’inizio – «Immagina tre donne con i loro toraci contorti come spessi pezzi di corda con un singolo viluppo al centro» – e al suo arrivo in «città» – «Lascia che ti descriva che sensazione mi dà la città: è un’orchestra di metallo arrugginito […]». Eppure la sua vicenda ci arriva come un cammino che sì, percorriamo con lei, ma in cui è Cassie a guidarci. La guardiamo dall’esterno: la vediamo muoversi, andare avanti. Osserviamo la sua crescita e la viviamo come nostra, in un’ambiguità rarefatta e misteriosa che richiama l’allucinazione di molte immagini, che siano episodi accaduti o «Visioni», l’impronta onirica e trasformante sempre presente.

Il timbro di Cassie è biblico; le sue espressioni assolute. Per quanto sia inconsapevole, si avvicina nel corso della narrazione a una risposta che, alla fine, ci rivelerà. Il «Sole», la «Luna», le «stelle» sono spesso evocate. «Il Sole comincia la sua grassa calata nell’orizzonte. Dal mio cuore gocciola una sottile tristezza per lei». «La Luna, il legno rosso del fienile, il cielo sereno di una notte pungente, il terriccio sotto di noi […] riesco a vedere la Luna, le stelle, il mondo intero». È un timbro biblico, ma non oracolare: Cassie ci parla ma non è in grado né ha intenzione di farlo. Non veicola consapevolmente un messaggio: lei stessa, lungo il tragitto, non sa nemmeno che lo sta compiendo, il cammino: vive e basta.

La questione di genere, così come quella dell’outsider – della persona diversa o con disabilità – sono stati i principali e unici assi interpretativi attraverso cui Il Libro di X è stato ricevuto, in patria e in Italia. Nella sopra citata intervista a Craft,  l’autrice stessa ha sottolineato come «Throughout literature, I do believe it’s proven time and time again that when an outsider attempts to exist in the world with everyone else, their time is full of friction and short-lived. I don’t believe, really, that our society would welcome a character like this with open arms[2]». Il nodo di Cassie è il simbolo del cromosoma X; il trattamento che riceve è una denuncia tagliente e sofferta delle ingiustizie inflitte al corpo delle donne. Il padre e il fratello lavorano mentre Cassie e la madre sono relegate in casa. Cassie subisce violenza; è la madre stessa a imporle diete, soluzioni al nodo che non funzionano. Cassie invidia il corpo della compagna di scuola Sophia ­– «Ogni giorno a scuola fisso i corpi, memorizzo i loro arti, le loro linee lisce. Il corpo di Sophia è il mio preferito.  […] Non so se il mio saluto dice la verità, che sarebbe: Voglio muovermi come fai tu. Voglio aprirti con un coltello. Voglio nascondere il mio corpo dentro il tuo».

Questi nuclei tematici sono senza dubbio presenti. È evidente, però, che Il Libro di X si muove – anche – su un livello altro.  Un livello che, seppur centrale, non è stato osservato dalla critica. Il dolore, nel Libro di X, si stratifica a livello tematico su più piani e ne fa un cristallo: ciascun lato tagliente una lettura differente della sofferenza, ciascuno che brilla di luce propria. Il cristallo nella sua interezza, però, porta altrove – aldilà, potremmo dire, in un Cielo che non ha Dio. Ma il «Sole», la «Luna», le «stelle». Il potere evocativo della lirica, il timbro biblico, i frequenti richiami all’universo in tutto il corso della narrazione – il cielo che «si apre e vortica», il Sole che «splende e lo fa per me», la gioia che «si solleva dalla terra passando per le mie gambe e arrivando nel mio corpo, il mondo una bellezza di cui faccio parte, tutto fresco, vuoto pulito» – le immagini di vita e dolore enucleate come stelle che brillano della luce di Cassie e di quella del mondo: tutto questo eleva l’esperienza individuale a una dimensione universale, trascendente.

«Qualcuno vive in un inferno?», recita un’epigrafe della pittrice Carol Rama all’inizio del romanzo «Che cerchi di sfruttarlo al massimo». «Il dolore mi ha reso una perla», dice Cassie fissando l’urna del padre dopo la sua scomparsa. «Curo la mia tristezza ogni giorno».
Al momento della morte del padre, il dolore di Cassie travalica i confini del nodo, ed è a questo stadio che Cassie trova la sua risposta, la sua redenzione. La sofferenza, nel Libro di X, non appartiene al corpo annodato di Cassie. Appartiene alle donne, agli uomini. È di questo che parla il romanzo: della tristezza, del dolore e la solitudine come condizione umana e ineluttabile.

La società rifiuta il dolore in tutti i modi. Lo disciplina, lo nasconde; vincente è chi è felice. «Qui abbiamo un documento che ci piacerebbe tu firmassi, dice solo che abbiamo bisogno che tu lavori veramente sulla tua tristezza. Siamo disposti ad aiutarti con un corso». Una società che prescrive «ricette sbiadite»; diete – «questa è l’ultima dieta […] Succhiala a pranzo». «Aghi e ancora aghi», per vincere il dolore; operazioni chirurgiche – «Cosa, altre iniezioni? Di nuovo acqua e zucchero?» «No, un’operazione chirurgica. Le rimuoverò il nodo». Ma le diete, gli aghi non sciolgono il nodo; l’operazione lo rimuove, la tristezza resta. E nel momento in cui supera i confini della X che Cassie porta sul ventre, il suo dolore si fa esperienza evangelica. Il corpo contorto di Cassie, uno spazio messianico. Il suo messaggio finale, la parola rivelata di una profeta che non hai mai saputo di esserlo e che, anche alla fine, si ricongiunge alla luce dell’assoluto con umiltà e abbandono.

Era nel Sole, nella Luna, nelle stelle, la redenzione. Nella luce che l’ha sempre illuminata nelle sue Visioni. «Nel terreno, nella mia fossa, con l’odore di suolo tutt’intorno, il volto in su verso la notte sopra di me, buio, stelle che brillano nella loro posizione». Cassie, nel suo gesto finale, si ricongiunge all’estremità ultima del primo abbandono, la prima illusione. Quella del suo primo vagito nel mondo, quando «oltre le luci brillanti dell’ospedale», «una bocca di metallo che mostrava i suoi denti, fauci che attendevano di serrarsi su di noi».

«La bellezza della luminosità mi fa colare lacrime sulle guance. Ora so che mi sbagliavo, le fauci del mondo non sono mai state di metallo. Erano sempre di luce».


[1] «Fan di libri che fanno qualcosa di molto diverso. Perché il bambino cuoce nella polenta, di Aglaja Veteranyi, un romanzo svizzero su una bambina che cresce in una famiglia di circensi, e tutte le notti la madre si appende alla cima del circo con i suoi capelli […] Un Bestiario, di Lily Hoang, qualsiasi cosa di Maggie Nelson, qualsiasi cosa di Anne Carson».

[2] «Credo che attraverso la letteratura sia stato dimostrato più e più volte che quando un emarginato tenta di esistere insieme al resto del mondo la sua esperienza è breve e conflittuale. In verità, io non credo che la nostra società accoglierebbe a braccia aperte una persona come questa».