Skip to main content

«Non ho più tempo, e quello che ho usato finora l’ho gettato alle ortiche. Dottore, lei ci pensa mai che i minuti, anche questi che sta passando con me, sono i suoi, quella della sua vita, quelli della sua unica vita? Io ci penso spesso, e non mi do pace».

Tanatofobia e aprassia

E che sia paura di ammalarsi o paura di finire uccisi in un attentato terroristico – che poi è il leit motiv del romanzo Fino all’inizio di Alessandro Busi (Pièdimosca, 2021) dallo sfondo distopico, nel quale il presente è un mondo in procinto di disgregarsi – il discorso non cambia: a guidare gli istanti di Luca è il terrore della morte, un terrore così invadente e così paralizzante da impedirgli da un lato di coltivare degli affetti veri e propri e dall’altro di prendere delle scelte razionali. In altre parole, il terrore della morte è il motore principale che spinge la vita di Luca verso la morte stessa. Come nel paradosso dell’asino di Buridano, nel quale un asino fermo a un incrocio non ha alcun motivo per scegliere se andare a destra o a sinistra e dunque si lascia morire di fame, la vita di Luca è un lungo, interminabile presente congelato da un preciso evento: l’attentato terroristico dell’11 settembre 2001.

Se il presente è congelato altrettanto lo è il passato. Davanti a ogni singola scelta, il protagonista torna a quei momenti in cui scelte ben precise hanno portato – secondo lui – a situazioni disastrose, a perdite di affetti o danni irreparabili. E quindi, davanti all’incertezza e al rischio della catastrofe, l’unica soluzione è non scegliere. Ma scegliere di non scegliere è già una scelta, e lo esemplifica bene il dilemma del carrello che viene tirato in causa a circa metà del romanzo. Il dilemma del carrello è un esperimento teorico famoso nell’ambito della psicologia morale: un treno prosegue su un binario lungo il quale sono legate cinque persone destinate a morire. L’unico modo per salvarle è dirottare il treno su un secondo binario sul quale è legata una singola persona. Cosa fare? Lasciar morire cinque persone o condannarne una sola che fino a quel momento avrebbe avuto vita salva? Qualsiasi scelta si compia ha una rilevanza morale, e anche scegliere di non agire comporta la morte di qualcuno. L’esistenza stessa – il solo fatto di essere nel mondo – comporta scelte quotidiane che possono avere rilevanza potenzialmente mondiale.

È dunque su tutto questo che le elucubrazioni di Luca ci spingono a ragionare. In un romanzo in cui accade veramente poco in termini di trama, avviene invece moltissimo nel lettore che è costantemente spronato a riflettere su se stesso: mentre leggiamo di come Luca ha allontanato la sua fidanzata Arianna attraverso comportamenti passivo-aggressivi, o di come ha escluso dalla propria vita due genitori non proprio modello, ci troviamo a ragionare su tutte quelle occasioni in cui avremmo potuto agire diversamente e, soprattutto, su tutte quelle volte in cui una non decisione ha portato a conseguenze impreviste e talvolta – spesso – peggiori di quelle che si prospettavano agendo in un senso o nell’altro.

Quello della scelta è dunque un momento fondamentale, durante il quale l’individuo immerso nel mondo accoglie nell’atto che sta compiendo la responsabilità verso il mondo stesso. Se è vero infatti che anche scegliendo di non scegliere si sceglie comunque, scegliere di scegliere comporta una differenza fondamentale: l’assunzione piena di responsabilità per la quale si può essere totalmente imputati di aver preso una decisione giusta oppure sbagliata. La scelta che Luca compie verso la fine del romanzo – di fatto l’unica scelta vera e propria che troviamo in tutto il testo di Busi – è l’unica per la quale si possa attribuire al protagonista un senso di pienezza di significato.

Il mondo dentro una scatola

Un altro elemento interessante di questo romanzo che, a ben vedere, si potrebbe categorizzare come un romanzo filosofico, è il fatto che più di un terzo della trama si svolge con il protagonista rinchiuso in una cassa sigillata nella stiva di un aereo diretto negli Stati Uniti. Per oltre cento pagine Busi è bravissimo a dipingere un mondo cieco, senza colori né forme, usando le parole per descrivere tutto ciò che in narrativa è complicato, ossia l’assenza di dettagli visivi. In quelle nove ore e venticinque minuti che danno il titolo al capitolo avviene tutta o quasi l’evoluzione del personaggio che, costretto a fare i conti con se stesso e con la persona rinchiusa nella cassa con lui – entrambi infatti cercano di entrare clandestinamente in America –, si ritrova a dover aprirsi davanti alle domande incessanti della sua compagna di viaggio. In poche ore e altrettante pagine assistiamo allo svolgersi di tutta la gamma delle emozioni e dei sentimenti: vediamo la paura, la ritrosia, l’incomunicabilità, ma anche la gioia, la speranza, l’accenno di un amore incompleto. Privato della possibilità di fuggire altrove e di mettere in atto le classiche manovre di autodifesa, Luca è costretto ad agire, a prendere delle decisioni che, una volta giunto a destinazione, si ripercuoteranno sulla propria vita futura.

Il mondo dentro una scatola – con le sue limitazioni di spazio, di tempo, di percezione – si rivela per Luca un luogo ben più adatto rispetto al mondo fuori dalla scatola in cui ha vissuto fino a quel momento. Costretto all’angolo come una preda, impossibilitato a fuggire, nella classica dicotomia del fight or flight finalmente sceglie di combattere.

Fino all’inizio è in conclusione un testo che compensa la mancanza di azione e suspense con una grande complessità in grado di generare la giusta tensione per portarlo a compimento. È quasi impossibile chiudere l’ultima pagina senza aver provato almeno una volta la sensazione di essere scrutati da un osservatore esterno che mette in dubbio tutte le nostre certezze.

21 Comments

Leave a Reply