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Mentre leggevo con un misto di crudele divertimento e sincera pietà Quando le belve arriveranno (Wojtek Edizioni, 2022), il secondo romanzo di Alfredo Palomba, tra le altre cose mi son trovato più volte a pensare: il mondo della scuola è davvero grottesco e questo libro ne coglie l’aspetto in tutta la sua funerea vitalità.

La vicenda viene raccontata da un Io che percepiamo immediatamente come strano, un uomo senza qualità, forse allucinato e paranoico. È un giovane docente precario che si trasferisce da un sud a un nord non precisati per un contratto di sostegno in un istituto superiore. Staccatosi da una madre per cui prova solo apatia, inizia a condurre una vita solitaria fatta di video trash, cibo cinese, passeggiate nel parco a osservare i comportamenti di uccelli e conigli, ma soprattutto entra nel gorgo infernale di una scuola di provincia. E qui il suo sguardo, sempre freddo e distaccato, si fa lucidissimo e rivelatore nel descrivere i personaggi e le dinamiche scolastiche. La galleria è quella del grottesco più riuscito, quello che oscilla abilmente tra comico e drammatico: professori sfiduciati e sessualmente repressi, invidie e ansie di apparenza tra le professoresse, bidelli sornioni e monomaniaci, ragazzini disabili che fanno impazzire i docenti, stanchi rituali subiti come una penitenza metafisica. Sembra quasi che tutta la brutalità del mondo si concentri in questo microcosmo scolastico, dove il bullismo assume le forme più atroci e dei rapporti umani il protagonista percepisce «tutta l’ostilità, la voglia di massacrarsi a vicenda e la frustrante impossibilità di farlo».  

La scuola è stata spesso raccontata dalla narrativa contemporanea (ma direi anche dai giornali) come un luogo di conflitto sociale e ideologico, alla Lodoli o alla Albinati, tra ansie di liberazione da vecchi retaggi e paternalismo postsessantottino. Ultimamente poi con D’Avenia e altri ha vinto il racconto della scuola come uno spazio in cui il pudore del privato e la conoscenza nella sua dimensione pubblica entrano in un pornografico cortocircuito, fatto di melense e narcisistiche tirate per adolescenti a cui si preclude col sorrisetto e gli occhi lucidi ogni scandalosa alterità. Nella sua prova narrativa Palomba si pone invece oltre ogni giudizio di valore. Sceglie sicuramente la via del grottesco e dello straniamento a freddo, ottenendo così la messa a nudo di un pezzo vero di vita, senza pretese ideologiche ma con la sola forza del racconto e direi della letteratura nella sua accezione migliore.

Pur non essendo un romanzo horror, emerge anche un lato più weird che porta all’inquietudine e si mostra nella percezione che il protagonista senza nome ha della propria realtà interiore e del mondo esterno. Il giovane svolge il ruolo di sostegno a un ragazzino cinese in carrozzina che dice sempre e solo «Ma», una congiunzione avversativa per tutti quelli che gli stanno attorno. Il lettore qui si trova nella strana posizione di dover provare in teoria umana pietà, senza però averne mai una sponda nel racconto. I gesti, le parole e i pensieri del protagonista sono asettici, meccanici e fanno risaltare con forza espressiva sia l’evidente condizione di fragilità sia gli episodi di ordinaria follia in cui si imbatte. Tuttavia chi legge avverte che non può essere solo indifferenza alla vita, manifestata addirittura nei confronti di una empatica e vitale ragazza che gli offre il suo amore. Ecco allora che il lato segreto si palesa in elementi di vero weird, come le macchie sulla pelle di chi è roso dalla cattiveria, il rimpicciolirsi di qualche centimetro della stanza presa in affitto o gli incubi dove appaiono e scompaiono bestie minacciose. Sono i demoni di un uomo del sottosuolo che si ostina a rimanere in superfice, tanto che entrano nel tessuto narrativo con normalità asettica, senza soluzione di continuità tra un accidente e l’altro di assurda quotidianità.

Nella sua introduzione a The Weird and the Eerie Mark Fisher scrive che i due concetti analizzati nel saggio hanno «a che vedere con l’attrazione per l’esterno, per ciò che sta al di là della percezione, della conoscenza e dell’esperienza comune. Quest’attrazione comporta di solito una certa dose d’inquietudine, magari anche timore […]. Non intendo certo affermare qui che ciò che sta al di fuori sia sempre benevolo. L’esterno ci mette a disposizione un’abbondante dose di terrori. Tuttavia questi terrori non esauriscono tutto ciò che c’è da dire sull’esterno.». Non voglio certo incasellare il romanzo di Palomba in un genere, tanto più che anche Fisher afferma che il weird è solo un’opzione estetico-percettiva, ma sottolineare come la scelta di distorcere in questo modo una realtà brutale e insensata risulta narrativamente vincente. E soprattutto spinge il lettore a quella considerazione per cui «questi terrori non esauriscono tutto ciò che c’è da dire sull’esterno» e sull’interno aggiungerei io. Qui rimando però a leggere fino in fondo il libro di Palomba, cosa piuttosto facile data la scrittura rapida e precisa al servizio di un ritmo narrativo davvero trascinante.

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