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Foto di famiglia, posa statica sguardo fiero, sullo sfondo una villa che potrebbe essere in campagna o anche solo circondata da un grande parco: così Marracash annuncia sui social l’uscita del nuovo album Noi, loro, gli altri, online dal 18 novembre 2021, un’ora dopo la mezzanotte. Torna a quasi due anni da Persona, il concept album che ha scalato le classifiche, che ha posto l’asticella del mondo del rap molto più in alto e che ha segnato uno spartiacque nella carriera dell’artista; l’album che ha ribaltato l’immagine (stereo)tipica del rapper, l’album profondamente introspettivo, linguisticamente articolato, musicalmente evoluto che ha scardinato gli standard musicali degli ultimi anni nella scena italiana.

L’immagine con cui Marracash ha fatto il suo annuncio è la prima parte di un trittico fotografico che fa da copertina all’album. Uno e trino, Marracash riproduce graficamente la tripartizione del titolo. La prima immagine racconta il NOI: Marracash è al centro, circondato dalla sua famiglia, dalla manager Paola Zukar, dal produttore e da Elodie, sua compagna per diversi anni, al fianco dell’artista anche durante l’ideazione e lavorazione di quest’ultimo album. 1 La loro rottura è raccontata all’interno dell’album nel pezzo Crazy love, singolo che ha scalato le classifiche radiofoniche e che rimane impresso anche per ciò che viene raccontato nel videoclip. Marracash e Elodie, in veste di schermidori, si sfidano a duello, alla fine sarà lui a infliggere il colpo decisivo. Iconico anche il fotogramma conclusivo in cui i due rendono omaggio alla performance artistica di Marina Abramovic e Ulay Rest Energy, le parti però qui sono ribaltate. Se nella celebre performance Abramovic tira a sé il manico di un arco e Ulay tende una freccia incoccata, in questo caso è Elodie a tendere la freccia. Entrambi inclinati e immobili si guardano, ma in questo caso è Elodie a far scoccare la freccia e – presumibilmente – colpire Marracash. La seconda copertina è LORO: Marracash in un ufficio, seduto alla scrivania, con avvocato, discografici e commercialista. La terza è GLI ALTRI, una foto in bianco e nero in cui il volto dell’artista è l’unico riconoscibile. Marracash al centro dello scatto guarda in alto, all’obiettivo, ed è circondato da una massa di persone irriconoscibili, di spalle (la foto che racconta il NOI è la cover principale, disponibile in tutti i formati – cd e vinile –, le altre due fotografie sono disponibili nella versione edizione limitata in vinile).

Sono molte le citazioni e omaggi ad altri artisti e generi musicali, che si mixano perfettamente all’interno delle basi: dal beat che parte dall’aria di Leoncavallo, Vesti la giubba, nella prima traccia dell’album, «LORO», al campionamento della voce di Pavarotti che intona le frasi – le più note, con cui l’aria stessa viene volgarmente chiamata: Ridi, Pagliaccio, sul tuo amor infranto – della stessa aria e che introduce la traccia «PAGLIACCI», facendo da traino al pezzo stesso. A «∞ LOVE», con Guè Pequeno, che si sviluppa partendo dalla hit anni ’90 di Guru Josh Infinity. Per chiudere con «IO» che si apre con un campionamento da Gli angeli di Vasco Rossi. All’inserimento del ritornello di Rokas e del suo pezzo Giorni stupidi in apertura a «GLI ALTRI». I featuring ufficiali sono solo tre: quello già citato con Guè Pequeno; «LAUREA AD HONOREM» con Calcutta; «NEMESI» con Blanco, astro nascente del rap, che affronta il tema del dissidio interiore in quello che forse è il pezzo più introspettivo dell’album. Marracash, però, gioca anche con i duetti nascosti: in «CRAZY LOVE» c’è la voce campionata di Elodie e di Mahmood, in «COSPLAYER» ci sono Salmo e Joan Thiele, presente anche nel pezzo «NOI», nella skit «NOI, LORO E GLI ALTRI» c’è Fabri Fibra e a chiudere il disco «CLIFFHANGER» si apre con una skit dei Dumbo Gets Mad.

Noi, loro, gli altri racconta una visione del mondo che circonda l’artista attraverso la sua prospettiva. Marracash spazia dalla critica alle contraddizioni e all’ipocrisia della società odierna a una lente più intimista, tesa all’analisi delle relazioni, a un passato che torna sempre e con cui sembra inevitabile confrontarsi. Ne viene fuori una visione pessimista, in cui tutto ciò che ha davvero un valore finisce per sgretolarsi senza diritto di replica. (L’amore/ L’amore di cui parla/ cioè stringere una cosa forte fino a soffocarla/ Un gioco in cui mi faccio male o faccio male a un’altra/ Ho quarant’anni e mai visto un legame che rimanga // Tuo fratello ha due bambini splendidi e non li avrai mai/ Nessuno ti aspetta o si fotte di come stai).

Nei suoi testi Marracash non nasconde il disagio psichico e le dipendenze, e li racconta senza edulcorarne in nessun modo le dinamiche (Anni fa, sì, la tiravo/ora è raro/ Canne sono ancora schiavo / paglie in calo. / Ho problemi con il sonno più che altro/ Senza pillole non dormo ormai da tanto/ “Quanto?”, chiede, più di quattro anni / non mi guardi male/ So che il foglietto diceva “Max quattro settimane”/ Ho strani sbalzi e non so cosa li causi/ La mente mente, trova nuovi modi di ingannarmi), arrivando a sottolineare come la salute mentale oggi sia ancora un privilegio concesso a pochi. (Forse la salute mentale è roba da ricchi / Forse per andare avanti non devi ascoltarti/ Come fanno gli altri / Li vedo così convinti / E senza dubbi).

Ripensando ai due ultimi lavori di Marracash è impossibile non immaginarli – seppur nella loro diversità – intrecciati. L’individuo è protagonista di Persona tanto quanto di Noi, loro, gli altri; quello che cambia è il punto di vista da cui le cose vengono guardate e raccontate. All’interno della carriera dell’artista, Persona rappresenta un cambio di rotta, il nuovo album si pone all’interno di un solco già tracciato, tanto da essere definito da Marracash stesso in un’intervista uscita per GQ «proprio il seguito di quel disco [Persona], anche spiritualmente». Se nel 2019 la trap domina la scena, con Persona Marracash fa qualcosa di musicalmente trasversale quanto mainstream: dimostra che il rap dotato di sonorità classiche, che mixa i generi e le tecniche vocali, è ancora possibile, e ribalta la visione semplicistica di un rap svuotato di significato, pubblicando un disco complesso sotto qualsiasi aspetto, dai testi alla produzione musicale. In Persona l’essere umano è diviso tra i suoi organi e il punto di vista dell’autore rimane in qualche modo ai margini, in una narrazione che vorrebbe raccontare l’universalità di alcune sensazioni e la differenza tra persona e personaggio; in Noi, loro, gli altri Marracash diventa il perno intorno a cui tutta la realtà viene mossa: l’individuo non può non pensarsi all’interno di una società capitalista, in cui l’immagine che si ha di sé viene filtrata, attraverso la lente universale dei social media.

Noi, loro, gli altri può sembrare un lavoro più difficile da decifrare rispetto a Persona, e forse è così. Se Persona colpiva dritto al centro del petto mettendo sul piatto tematiche, testi e suoni che parlavano alla parte più sommersa di ognuno di noi, il lavoro che compie l’ultimo album di Marracash è più lento, richiede tempo per decodificare i piani di lettura, per decomporre i testi. La realtà e la finzione sono mescolate, l’individuo è sì parte di un nucleo sociale, ma è un nucleo che lo esalta solo come parte del gregge e mai come singolo (Oggi che tutti lottiamo così tanto per difendere le nostre identità/ Abbiamo perso di vista quella collettiva/ L’abbiamo frammentata). Quello che Marracash ribadisce è che oggi abbiamo gli strumenti, le capacità e la voce per affermare noi stessi, sia in quanto singoli individui sia come società, ma non ci rendiamo conto di come la corsa all’autoaffermazione non faccia altro che scarnificare e depersonalizzare la nostra stessa individualità. La perdita dell’io è mascherata e diluita grazie all’illusione di essere protagonisti della nostra narrazione.

Con Noi, loro, gli altri Marracash, che già nel 2011 con King del rap sedeva su un trono, irrompe nella scena con un’eleganza lontana dagli stereotipi, senza farsi schiacciare dalle aspettative. Non risparmia chiare frecciatine agli artisti suoi contemporanei [Sì, punk, fluid ma non siete i Pink Floyd / Però che bel look, che make up!] e non evita di nutrire il suo ego [Volete fare la guerra con me? / Fate la guerra con il più forte], ma lo fa con distacco e lucidità, elementi già presenti negli ultimi album, come se – in un perenne guardarsi allo specchio – non sentisse più la necessità di edulcorare la pillola e di esibirsi in tecnicismi. Nessuna rima viene chiusa in maniera banale, nessuna frase strizza l’occhio a facili riferimenti e non c’è alcuna ostentazione: si può stare sul tempo e fare rap, senza essere un cliché, strappandosi di dosso il ruolo che gli altri ti hanno imposto. Nella parabola evolutiva raccontata dalla sua carriera, Marracash fa qualcosa di molto più importante che sfondare la barriera tra rapper e cantautore: dimostra che la barriera, in alcuni casi, non esiste.

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