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«Siamo tutti bambini nel bosco, perduti, abbandonati.
Sussultiamo a ogni rametto spezzato, ogni fruscio degli alberi
è una mano tesa a proteggerci o forse a ghermirci.»
Dalla prefazione di Edoardo Rialti e Dario Valentini

Non è semplice dare una spiegazione univoca dell’universo weird. È una denominazione che racchiude al suo interno diverse sfumature, ma sul piano generale contraddistingue narrazioni con solide radici nell’horror, nel fantasy e nel fantastico: storie nelle quali l’alterazione della realtà, o per meglio dire, il suo stravolgimento, è l’aspetto principale. È stato lo scrittore inglese John Harrison, negli anni Sessanta, a identificare con questo nome un movimento con una storia e una precisa identità, denominazione che verrà ufficialmente reintrodotta alla fine degli anni Ottanta da Jeff VanderMeer, scrittore e editore americano.

Oggi siamo abituati a vederli inseriti tra i titoli sacri della letteratura horror, ma i racconti di Lovecraft furono inizialmente pubblicati su riviste specializzate in weird. Banalmente, il termine non metteva a fuoco un nuovo modo di pensare la scrittura, serviva solo a etichettare tutto ciò che sfruttava il paranormale e il dark per incasellarlo a fini commerciali. In America, nella prima metà del Novecento, i famigerati weird tales rappresentavano un’editoria di nicchia, da alcuni ritenuta di puro intrattenimento e sovente sottovalutata, e tuttavia capace di fiutare i talenti rivoluzionari e accogliere le visioni di uno degli scrittori più fantasiosi che la letteratura statunitense del secolo scorso abbia conosciuto.

Certo, in Inghilterra e Stati Uniti il fenomeno prese piede più rapidamente grazie alle riviste, ma l’associazione a una corrente ingabbiò a lungo il maestro di Providence, e il valore senza tempo della sua opera venne spesso sminuito, mistificato, relegato a una subcultura narrativa ostracizzata da un classismo letterario che ha identificato nel genere (qualunque esso sia) un vero e proprio difetto. Un atteggiamento ancora oggi frequente, quello di considerare i racconti weird solamente come storie dominate da paradigmi cementificati, che strangolano il potenziale della pagina relegandola a puro prodotto di consumo per la massa, e non a una diversa modalità espressiva: più libera, lontana dai cliché e con stimolanti possibilità interpretative da parte del lettore.

Questa diffusa svalutazione ha contagiato anche l’Italia. Eppure gli scrittori nostrani non sono stati a guardare e nel corso della storia i casi di autori anticonformisti ci sono stati. Giovanni Papini, per esempio, ebbe il coraggio di sondare le vie del fantastico già dalla prima metà del Novecento, per non parlare poi degli anni Novanta, dove ci fu una vera e propria deflagrazione di scrittori amanti del genere, in particolare del pulp, denominati poi dalla stampa “Cannibali”: un gruppo che tra l’altro vantava tra i suoi ranghi un giovane Niccolò Ammaniti, autore di Branchie, forse l’esempio più lampante di romanzo weird all’interno della sua produzione.

Ci sono inoltre i nomi illustri, pubblicati, non senza difficoltà, dalle major, come il compianto Valerio Evangelisti, Michele Mari e Antonio Moresco. Quest’ultimo è probabilmente lo scrittore più combattivo e in contrasto con i giganti dell’editoria. L’autore mantovano, infatti, non è classificabile in un genere preciso e questo ha reso il suo rapporto con l’industria editoriale tutt’altro che semplice, ma sono tantissimi gli elementi visionari e orrorifici all’interno della sua opera, specie in Canti del caos. Nella maggioranza dei casi però, la letteratura “diversa” ha trovato come unico sbocco i cataloghi di piccole ed eroiche case editrici, supportate da lettori forti e battaglieri, spesso ghettizzati dal pregiudizio e da una distribuzione libraria poco estesa a livello territoriale.

Fortunatamente, oggi la divisione tra ciò che è considerato intellettuale e ciò che è inteso come prodotto di puro consumo è molto più sfumata, e il cosiddetto new weird è ormai una corrente impetuosa nel variopinto oceano letterario italiano, il quale, non di rado sovrastato da una fiumana di realismo asfittico, sta rimescolando le sue acque grazie a narrazioni in cui gli elementi magici, sovrannaturali e inquietanti trovano spazio. Bompiani propone L’anno del fuoco segreto: un’antologia curata da Edoardo Rialti, tra i più importanti conoscitori del fantasy contemporaneo (sue le traduzioni di Fuoco e sangue di George Martin e della trilogia di Richard K. Morgan Cosa resta degli eroi, i generali del grimdark fantasy) e Dario Valentini, redattore della rivista “L’Indiscreto” e collaboratore di Nazione indiana e Minima & moralia. La chiamata di Rialti e Valentini, che hanno contribuito a loro volta con due racconti, ha visto la partecipazione di altri diciotto scrittori, tra cui Vanni Santoni, che ha affrontato il fantasy e il fantastico con Terra ignota e L’impero del sogno, Loredana Lipperini, scrittrice, giornalista e conduttrice, Luca Ricci, Luciano Funetta e Francesca Matteoni. Narratori con esperienza, affiancati da penne emergenti come Elena Giorgiana Mirabelli e Andrea Zandomeneghi, solo per citarne alcuni.

Il risultato è un libro brillante, ricercato, eterogeneo nello stile e nella grande varietà di toni che si riscontra: storie brevi e a volte più corpose ricche di violenza e oscurità in una raccolta dove si esplorano sfumature e declinazioni del weird. In queste pagine il lettore può conoscere qualcosa di nuovo rispetto dalla standardizzazione letteraria: un’uniformità che ha imprigionato soprattutto le nuove generazioni di scrittori. L’anno del fuoco segreto nasce dall’esigenza di andare controtendenza, di far esplodere una sottocultura grazie a una distribuzione maggiore, privilegio che solo una grande casa editrice può dare. 

Uno dei racconti più incisivi e potenti è sicuramente quello di Edoardo Rialti. Il giovane traduttore dimostra di essere uno scrittore capace, non teme di turbare il lettore con un testo impegnativo, disturbante e affascinante allo stesso tempo. Alterna momenti di disperazione a squarci di violenza cieca grazie a una scrittura precisa, sapiente, che riesce a mantenere viva una fortissima tensione per tutto il (lungo) racconto. “Iniziativa di ordine superiore” è un testo cupo, brutale, privo di positività, ed è lodevole il coraggio dell’autore nel prendersi il rischio di non piacere, di sconvolgere, maneggiando con maestria una materia atroce e indescrivibile come la violenza sessuale, argomento purtroppo di bruciante attualità.

“Il ciclo della carne” di Andrea Cassini spicca per ritmo e immaginazione. In un luogo composto da architetture bizzarre, boschi misteriosi e immense montagne, si sviluppa un racconto di formazione che miscela, bilanciandoli perfettamente, elementi fantasy e fantastici. Cassini riesce a trascinare il lettore in una dimensione in cui regnano stupore e meraviglia, oltre a una immancabile venatura di inquietudine, tramite un vortice di colori e sensazioni che cavalcano la narrazione dall’inizio alla fine.

Nel racconto “Il camicino da morto”, già apparso nel volume Danza macabra – libro che studia l’opera di King, scritto in collaborazione con Giovanni Arduino – Loredana Lipperini riflette su temi dolorosi della contemporaneità, come il disagio familiare, che non di rado vede nelle donne le vittime designate. “La capra ferrata” di Vanni Santoni è invece leggero e divertente. La trama è semplice: un giovane e improvvisato esploratore toscano decide di visitare una labirintica tomba etrusca, ma nel bel mezzo del suo viaggio si trova davanti una minacciosa e mastodontica capra di metallo. Spassoso e intelligente, è una lode al fantastico e alla Toscana, luogo d’origine dello scrittore, descritta con rabbia e affetto praticamente in ogni suo romanzo.

Francesco D’Isa, nel suo “Barbablu_1”, riflette su una delle grandi paure del nostro tempo, ossia l’incomunicabilità tra esseri umani. Anche questo è un racconto breve e acuto, con una buona commistione di commedia, dramma e distopia. Andrea Zandomeneghi esplora tematiche esistenziali e inserisce anche un pizzico di provocazione nel descrivere con minuzia i mirabolanti amplessi che compiono i suoi personaggi, tenendosi tuttavia alla larga dalla volgarità.

Non mancano inoltre gli elementi fantascientifici, nel racconto “Astrazione” di Viola Di Grado (che risente di una certa cripticità) e nel notevole “Deserto verde” di Laura Pugno: un viaggio avventuroso e interpretabile, forse, come una lettera d’amore al grande cinema di Werner Herzog, nonché un richiamo alla presa di coscienza davanti al disastro ambientale che abbiamo sotto gli occhi. Gli omaggi (a cominciare dal titolo di Tolkieniana memoria) e i riferimenti sono molti: alcuni tra le righe, come i richiami ai fratelli Grimm e ai loro toni dark, altri invece citati esplicitamente, basti pensare a Santoni che nomina Randolph Carter (il protagonista del ciclo del sogno di Lovecraft, forse meno conosciuto rispetto al ciclo di Cthulhu, ma ugualmente importante).

L’influenza di Mircea Cartarescu, uno dei più grandi scrittori contemporanei, autore di romanzi come Abbacinante e Solenoide (libri in cui convivono fantastico, storia e intrattenimento) è evidente in alcuni dei narratori, specialmente in Dario Valentini e Andrea Cassini: i due hanno scritto dei racconti nei quali le dominanti cromatiche e sensoriali sono talmente importanti da sostituire in alcuni momenti la struttura drammaturgica, abbagliando il lettore in una serie di bellissime digressioni, ai limiti della psichedelia.

Una piccola nota personale: penso che un contributo di Antonio Moresco sul modo in cui l’editoria valuta e accetta l’ibridazione tra i generi, un racconto di Michele Mari oppure di Michele Vaccari (autore che ha più volte affrontato il fantastico, anche nell’ultimo romanzo, Buio padre, edito da Marsilio) sarebbero stati la ciliegina sulla torta per il volume, ma in conclusione L’anno del fuoco segreto è un coraggioso atto d’amore nei confronti dell’immaginazione, oltre a essere una riflessione sulla nostra modernità e sul modo di recepire le storie. Senza una base contenutistica, l’escapismo sarebbe un esercizio sterile e fine a sé stesso, ma questo libro è un esperimento che può illuminare sentieri nuovi: terreni di cui abbiamo appena cominciato a conoscere la conformazione.

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