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Fuga per la vittoria di John Huston è un film made in USA del 1981. Siamo nella Francia occupata dai nazisti. I tedeschi decidono di organizzare una partita con i loro migliori giocatori contro una All Stars con i calciatori rinchiusi nei campi di concentramento. Non poteva mancare il faccione di Sylvester Stallone in grande spolvero. Pur non conoscendo  assolutamente il gioco del calcio, viene arruolato come portiere della squadra. Tra una prestazione scadente e l’altra, organizza la fuga per l’intera formazione che, però, decide di rimanere in campo e pareggiare la partita davanti a migliaia di spettatori francesi che cantano la Marsigliese.

Fuga per la vittoria è un grande film, girato da un grande regista che il mestiere lo conosceva strabene. Nel cast ci sono un sacco di veri calciatori: Hallvar Thoresen, Bobby Moore, Pelé, Deina, van Himst e addirittura anche Osvaldo Ardiles. Lo stesso capitano argentino che, anni dopo, si metterà a piangere ricordando di aver vinto un campionato del mondo di calcio favorendo la sanguinaria e crudele dittatura argentina che aveva diverse affinità con i nazisti.

Fin qui tutto bellissimo – a parte Ardiles – ma in realtà il film di Huston è copiato paro paro da un grande film sovietico del 1962, Il terzo tempo di Eugenij Karelov.

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Il film è praticamente uguale: i nazisti decidono di organizzare una partita di calcio con una rappresentativa dell’Ucraina che hanno occupato distruggendo tutto quello che si sono trovati davanti. Ripescano una serie di giocatori dai campi di concentramento, ma a differenza di Fuga per la vittoria, questi sono messi davvero male. I giocatori organizzano la fuga, ma nel frattempo giocano dannatamente bene e rimontano i tedeschi. Il loro portiere para anche un rigore, esattamente come quel salame di Stallone. Alla fine del primo tempo, un fottuto nazista entra nel loro spogliatoio e gli dice che devono perdere, altrimenti saranno fucilati. I giocatori rientrano in campo e vincono la partita. Al fischio dell’arbitro, però il pubblico non esplode in un gioioso applauso. Tutti sanno che i giocatori pagheranno con la vita quell’atto di resistenza. Li vediamo uscire in un silenzio assordante in mezzo a due ali di soldati nazisti coi fucili in mano. Il finale è emozionante e tutta la partita è girata con tecnica registica davvero inusuale. La camera a mano passa tra le gambe dei giocatori, inseguendo il pallone in mezzo a un campo brullo oppure nel grigio cielo ucraino.

Ma come è andata veramente la storia raccontata da Huston e Karelov? Circolano una grande quantità di versioni diverse e di partite diverse, che magari sono state anche giocate, ma che non sono la famigerata Partita della morte.

Il punto di partenza è sicuramente vero. Nel 1941 la Germania nazista invade l’Ucraina. Nell’esercito tedesco ci sono diverse squadre di calcio e vengono organizzate spesso partite tra invasori e invasi per stabilire un contatto e cercare di far vedere che i nazisti non sono quei pezzi di merda che in realtà hanno già dimostrato di essere. In questi match, spesso le squadre del Führer perdono, ma non c’è nessun problema: Siamo dei nazisti, massacriamo zingari, ebrei, omosessuali e antifascisti. Si, ho sparato a tua nonna ma dài, nel post partita facciamoci una foto. E parecchi di questi scatti sono arrivati sino ai giorni nostri.

Non c’è da meravigliarsi se anche in Ucraina si siano organizzate partite di questo tipo. Una delle leggende vuole che i giocatori della Dinamo e della Lokomotiv di Kiev abbiamo formato un’unica squadra e che abbiano asfaltato la squadra tedesca più forte di stanza nella capitale. Questi li costrinsero a rigiocare la partita. Dovevano perderla, se no Kaputt!. Gli ucraini non ci stanno e rivincono, dopo di che vengono fucilati. Solo sul risultato c’è una certa sicurezza: 5-3 per gli ucraini. Leggenda nella leggenda, pare che il difensore Klimenko scartò tutta la squadra di nazisti, portiere compreso. Davanti alla porta vuota invece di segnare il 6-3, si girò e calciò il pallone verso il centro del campo.

Nel 2012, il regista Andreij Malyukov  girò un nuovo film sulla Partita della morte, intitolandolo semplicemente La partita, che raccontava per filo e per segno la versione del film Il terzo tempo.

Su questa vicenda si riaprì un dibattito. Uno dei figli dei protagonisti ucraini del match tirò fuori una fotografia in cui erano ritratti dei calciatori di due squadre diverse a fine partita, uniti insieme in abbracci e sorrisi.

«Questa è la fine della partita della morte. Il resto è propaganda sovietica.» disse a un giornalista. Be’, è vero. I Sovietici, dopo la fine della Seconda Guerra mondiale, avevano organizzato una propaganda degna del loro nemico naturale, gli Stati Uniti. Il loro capo era diventato un certo Stalin, un uomo che aveva eliminato tutta la nomenklatura del suo partito per rimanere al potere, costruendo con la propaganda il mito personale di combattente e condottiero. Ma è altrettanto vero che la partita si giocò e otto giocatori trovarono la morte nel terribile campo di concentramento di Babji Jar, un luogo in cui sono state ammazzate circa centomila persone. I giocatori vennero torturati e uccisi come spie sovietiche. Sei mesi dopo la partita, altri tre calciatori vennero arrestati. Lavoravano in un panificio e decisero di mettere del vetro nelle pagnotte destinate agli ufficiali nazisti.

Tanti miti creati ad hoc dall’Unione Sovietica sono stati smontati dopo la caduta del muro, poi succede che ad alcune persone torna la nostalgia. In Germania Est la chiamano Ostalgie – nostalgia dell’Est, Ost in tedesco – ed è quella cosa che ti fa trovare su una bancarella di quella che una volta era Berlino Est, una matrioska, (Original soviet! vi dirà il venditore) con Lenin che contiene Stalin che contiene Breznev e poi Breznev e Andropov. Quel traditore di Gorbaciov non ha un posto nella bambola di legno.

Anche la Partita della morte è frutto della propaganda sovietica e il suo mito sopravvive forse per nostalgia. Questo non estingue il fatto che i nazisti abbiamo commesso dei crimini contro l’umanità.

La leggenda della Partita della morte continua a sopravvivere rispetto a quella che pare sia la verità storica, forse perché ci parla di un gruppo di ribelli. Ci piace per lo stesso motivo per cui ci piacciono Robin Hood e Little John e schifiamo lo sceriffo di Notthingham e il suo ottuso padrone, Re Giovanni, il re più fasullo d’Inghilterra. Ma questa è un’altra storia e i diritti sono della Disney.

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