Il 4 maggio del 1949 un aereo, prodotto dalla Fiat, precipita vicino Superga, in Piemonte. Su quel volo viaggiava il Grande Torino, una squadra fantastica che costituiva la struttura portante della nazionale italiana guidata dall’inossidabile bicampione del mondo Vittorio Pozzo. Proprio il ct sarà tra le persone che dovranno riconoscere i cadaveri dei giocatori.
A circa un anno da quella che è la più grande tragedia dello sport italiano per numero di vittime insieme all’Heysel, l’Italia deve partecipare ai Mondiali del Brasile del 1950. Non ci sono grandi speranze, anche se la squadra non è da buttare via. Ci sono Boniperti, Muccinelli, Parola e Carapellese, un giocatore cresciuto nelle giovanili del Toro che dopo Superga chiede e ottiene il suo trasferimento proprio al Torino.
Il ct di quella nazionale è in realtà un cerbero a tre teste; Aldo Bardelli, giornalista sportivo; Roberto Copernico, dirigente Figc; e Ferruccio Novo, proprio il presidente del Grande Torino. È un po’ come se oggi a guidare la nazionale, invece di Mancini, ci fossero James Pallotta, Mario Sconcerti e Tavecchio (con tutto il rispetto per Copernico).
Pozzo viene cacciato dalla nazionale a furor di popolo dopo uno 0-4 con gli inglesi. «È un uomo del passato» dice qualcuno, ma ai mondiali brasiliani ci va lo stesso, come giornalista. Bardelli, collega di Pozzo, decide che gli azzurri devono fare il viaggio in nave. S’impunta su questa cosa come un bambino perché il resto delle decisione pare le abbia prese tutte Novo. Egisto Pandolfini, uno dei convocati, ricorda che c’era una certa paura a dover salire su un aereo a pochi mesi dalla tragedia granata. Il problema è che via aria si arrivava in Brasile in circa 35 ore, compresi gli scali, in nave ci vogliono 15 giorni. Lo stesso Pandolfini ricorderà di essere ingrassato tre chili durante quella traversata, forse anche per la noia. Ha raccontato, inoltre, che dei circa cinquanta palloni da allenamento non ne rimase neanche uno dopo la prima settimana: tutti finiti in mare! A quel punto, gli allenamenti consistevano in fare ginnastica, saltellare sul ponte, qualche corsetta e le flessioni. L’unica partita la si giocò a Las Palmas perché la nave, la Sises battente bandiera italiana, dovette fermarsi per i rifornimenti. Una follia! I giocatori si annoiavano e inventavano scherzi e qualcuno si mescolò ai turisti per fare conquiste. Eh sì, perché sulla navi ci sono pure dei vacanzieri. Alcuni calciatori soffrivano fottutamente il mal di mare. Amedeo Amedei vomitava l’anima due volte al giorno, ha raccontato Gianpiero Boniperti. Un disastro.
La squadra arriva in Brasile completamente scarica e fuori forma. Alloggia in un grande albergo al centro di Rio. I ragazzi, perché stiamo parlando di ragazzi, vengono dall’Italia postbellica in cui il boom economico è ancora lontano. Si ritrovano in una città delirante, piena di divertimenti, di bar e donne bellissime. In molti scappano continuamente dall’hotel. Chi non l’avrebbe fatto? Forse era la loro unica occasione di vedere un posto del genere, anche perché il mondiale successivo, quello della vittoria chimica della Germania Ovest contro l’Ungheria di Puskás, si sarebbe svolto nella tristissima Svizzera, tristissima almeno a confronto col Brasile. Molti giocatori ricordano che i loro connazionali venivano a prendere un caffè in albergo o nei bar del centro. Si facevano foto, si giocava a carte e si parlava dell’Italia già quasi sbiadita nei ricordi di molti.
Ferruccio Novo decise di puntare tutto su Carapellese, forse il giocatore di maggior esperienza e talento in quel gruppo. L’Italia gioca due partite del suo gironcino. La prima con la Svezia, che poi verrà acquistata in blocco dalla Serie A. Gli svedesi sono nettamente più in forma di noi, secondo le cronache corrono il doppio degli azzurri, ma non stravincono. La partita finisce 3-2 per loro. Carapellese segna anche un gol che non serve a nulla. L’Italia è fuori forma ma non è scarsa: oltre a Parola o Muccinelli, ci sono Tognon, Cappello e Lucidio Sentimenti, anche detto Sentimenti IV, che anche all’epoca del Grande Toro si contendeva una maglia da titolare in azzurro con Bacigalupo. E poi c’era anche Boniperti che alcuni compagni chiamavano «Marisa», perché è sempre impomatato, profumato e ben vestito, ma anche un grande giocatore. E infatti l’Italia stende il Paraguay nella seconda partita 2-0, ma i sudmaericani pareggiano con la Svezia e siamo fuori.
Dopo la tragedia Superga e quello stupido viaggio in nave, i presupposti per giocare un buon mondiale non c’erano sicuramente. Da quel 1950 inizia il declino del calcio italiano, ci vorranno gli anni ’60 per rivedere una grande nazionale, l’Europeo del 1968, il 4-3 storico con la Germania Ovest e la finale mondiale del 1970, poi le nuove generazioni di calciatori che porteranno l’Italia al Mundial ’82. Per la cronaca, la nazionale del ’50 ritornerà tutta in aereo in Italia. I giocatori si faranno passare la paura, tranne Benito Lorenzi che fece la figura dell’idiota; d’altronde era uno che aveva aderito alla Repubblica Sociale Italiana durante la Seconda Guerra Mondiale. L’interista preferì ripartire in nave e la leggenda vuole che sbagliò prenotazione e si fece trenta giorni in acqua, arrivando fresco fresco all’inizio degli allenamenti per la stagione 1950-51, senza essersi fatto un giorno di ferie.
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