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L’equilibrio interiore delle democrazie avanzate iniziò a scricchiolare una volta preso atto che le impressioni di settembre 2008 non erano solo gocce di rugiada e impiegati Lehman Brothers attorno a noi, ma una grande recessione che sarebbe durata ancora per diversi anni. Le economie emergenti scoprivano le gioie del multipolarismo, il pensiero liberal tirò i remi in barca; quindi trollaggio mondiale, fake news, e dopo il Cerbero Putin Modi Xi Jinping alla fine nel 2017 non arrivò mamma, bensì un miliardario borderline accompagnato dal suo fedele amico, un golpista a cui piace gettare dinamite sull’Amazzonia. Proprio al periodo precedente la vittoria di Trump risalgono le prime analisi giornalistiche su un fenomeno che avrebbe assunto pieghe sempre più preoccupanti, fino a cambiare del tutto il modo con cui l’opinione pubblica era solita pensare al terrorismo. Parliamo dell’Alt-Right, dapprima un’aggregazione online di influencer, cartelli, meme e milizie, poi un virus di estrema destra capace di convergere sullo stesso terreno dell’internazionale populista attraverso l’utilizzo di varie piattaforme social (Reddit, 4chan, Telegram su tutte). Insomma, il passo indietro del neocon e il salto in lungo dell’antagonismo ultra-libertario, facile alla mutazione neofascista.

Oggi la playlist Alt-Right la conosciamo bene: garantisce grandi ascolti il suprematismo bianco solo se accompagnato dalla ballad più corposa dell’antifemminismo, gustando tracce già cult come il piano del libtard moderno #Anglozionist di mettere su un piano per la Grande Sostituzione. Chiudiamo infine il party su note più confortanti come le campagne antiaborto, razzismi sparsi, omofobie del caso. Altresì noto è il suo armamentario simbolico (Fight Club, segui il coniglio bianco e pillola rossa) così come le stratificazioni ironiche attraverso riferimenti pop, l’utilizzo delle piattaforme di gaming, e il linguaggio da subcultura di nicchia.

Ricercatrice e giornalista dal piglio narrativo invidiabile, collaboratrice del Guardian e della BBC, Julia Ebner è arrivata da noi nel 2018 con La Rabbia (NR edizioni, traduzione di Eugenio Cau), un tentativo di mettere in ordine le possibili somiglianze tra fondamentalismo islamico e ascesa delle destre radicali. Non ancora tradotto è invece il suo secondo libro uscito a febbraio, Going Dark: The Secret Social Lives of Extremists (Bloomsbury Publishing), notevole mosaico di testimonianze dalla galassia Alt-Right pescate attraverso metodi giornalistici vecchia scuola, dal coltivare con cura decine e decine di profili falsi deep web, al mettersi una parrucca per passare inosservata agli occhi del nipster di turno.

©3Sat

Julia Ebner (3Sat.de)

Lungi dall’essere un corrispettivo anglofono di un sondaggio politico alla facoltà di Giurisprudenza a Roma tre, o di un approfondimento di Fanpage sugli Irriducibili, il secondo lavoro di Julia Ebner fa di nuovo ingresso nella letteratura relativa ai nuovi fascisti e dove trovarli, che per ora annovera tra i pochi: Contro la vostra realtà (Luiss University Press, 2018) di Angela Nagle, il monumentale Alt-America (minimum fax, 2019) di David Neiwert, un vero e proprio itinerario nel firmamento di destra, e l’inspiegabilmente trascurato Alt-Right: From 4chan to the White House (Pluto Press, 2018) del giornalista BBC Mike Wendling.

Molte le differenze: il passo saggistico della Nagle si muove lungo tutto il decennio post-crisi di cui sopra, un arco di tempo così pieno di speranza da iniziare con le promesse anticapitaliste di liberazione collettiva (Occupy e primavere arabe) e finire con la schizofrenia dei muri: all’autrice non resta poi che raccogliere le macerie della guerra culturale tra moralismo borghese illuminato e management dell’indignazione. Neiwert ha quasi mani da archeologo mentre Wendling, pur eccedendo in divulgazione, storicizza precisamente il passaggio della controcultura fascistoide da onanismo di gruppo a risultato elettorale.

Con Going Dark Ebner propone invece dei reportage incisivi e distaccati a piccolo cabotaggio, in uno spazio temporale in cui il periodo più lontano è forse il 2016. L’ultimo capitolo, solitamente pars construens, è addirittura affidato a brevi opinioni di altri giornalisti, professionisti counter-terrorism e contributor da think tank, come se avesse deciso di non darsi più voce, di privarsi del rischio di buttarla in sociologia.

Austria: largo ai giovani

Di particolare interesse è il reportage dedicato a Generazione Identitaria, movimento Alt-Right fondato da Martin Sellner, nonché amante di quel FPÖ ex alleato di governo del Partito Popolare Austriaco. Qualcuno ricorderà il leader del FPÖ Strache darsi al soft-power russo bello sdraiato sul divano, beccato come un calciatore su Scherzi a parte. Il caso Ibiza-Gate aprì poi la crisi di governo di un anno fa. Qualche tempo prima Ebner stava indossando una parrucca bionda infiltrandosi alle riunioni della formazione di estrema destra, di cui, a questo punto, vale la pena citare le curiose dinamiche di reclutamento, un po’ diverse dalla gazebistica ufficiale.

Dapprima Ebner riesce a fissare un appuntamento con Edwin Hintsteiner, esponente di punta del neofascismo austriaco, noto a Vienna per diverse citazioni di Hitler su Twitter mascherate da provocazioni démodé. L’incontro si configura come una vera e propria interview, con domande che ricordano più delle strofe di Battiato che il fascistometro di Michela Murgia: che ne pensi di Heidegger? E di Nietzsche? Nietzsche ti piace? Solo dopo la fase call su Skype si passa alla riunione, organizzata via Airbnb a Londra, dove Sellner imposta delle linee guida: la de-fascistizzazione del movimento, le azioni di “provocazione controllata”, vari kit di difesa verbale contro le accuse di antisemitismo.

Martin Sellner

Martin Sellner (Inlander.com)

L’obiettivo lo svela lui stesso: sbarazzarsi di vecchi simboli e costumi, fare pulizia per attirare attenzione mediatica; non tanto condurre la classica “mobilitazione del ceto medio” alla Gentile, bensì puntare ai giovani, indossare magliette New Balance, curare bene la barba, stare sull’accostamento dei colori e “svegliare le coscienze” con atti dimostrativi, situazionisti, da rendere impossibile ai grandi media far finta di niente.

Naturalmente non è tutto qui. Ai partecipanti viene distribuito un questionario per indagare la loro cultura politica, titoli di studio e conoscenza delle lingue. Sellner passa tranquillamente dal francese all’inglese e quando l’autrice sotto copertura cerca di andare a fondo sul tipo di profilo migliore per candidarsi in questa specie di azienda, le viene risposto che prediligono i laureati, magari in materie economiche o scientifiche (per carità, vanno bene anche i filosofi, quelli sono sempre buoni) e che quando internazionalizzano preferiscono circondarsi di ragazzi sotto i trent’anni. Mantenere alta la selezione all’ingresso non solo permette al movimento di patinarsi di esclusività, ma gli può assicurare toni meno passatisti: sono infatti vietati simboli e riferimenti evidenti al nazionalsocialismo o al fascismo d’antan, così come l’insulto chiaro e tondo verso le minoranze; si preferisce, quando occorre, parlare di “identitarismo” o del sempreverde “etnopluralismo”, una sorta di apartheid controllata.

Manicure e misoginia

All’interno di una più ampia analisi sugli attentati avvenuti in California nel 2014 e a Toronto nel 2018, eventi che introdussero al mondo la questione incel, Ebner passa il microfono a communities online composte principalmente da donne wasp che si consigliano a vicenda sui metodi da adottare per essere ancora più maledettamente wasp. Questo capitolo del libro è senz’altro uno dei più interessanti, perché le voci che la giornalista raccoglie sono talmente intrise d’assurdo che ogni tanto si ha come l’impressione di stare dalle parti del black humor. Il gruppo preso in esame si chiama Trad Wives e fino alla sua chiusura contava più trentamila iscritte. Questa organizzazione, scrive Ebner, non era altro che un alter-ego al femminile della più famosa community Red Pill, creata nel 2013 in forma anonima su Reddit da un deputato repubblicano alla Camera, Robert Fisher. Più di trecentomila iscritti all’attivo, fu chiusa per istigazione alla violenza, sessismo, contenuti minatori.

Anche su Trad Wives in tavola troviamo tutto: male gaze, manipolazione emotiva, fuga nella “sicurezza fisica maschile”, consigli sul giusto tocco di smalto, indulgenza sull’adulterio e suggerimenti di lettura più gran finale con il Sexual Market Value, un misuratore della propria desiderabilità sessuale. Certo anche noi abbiamo i nostri guai con il family factor, ma il metodo Shut The Fuck Up sembra spostarsi su altri lidi.

STFU is part of a bigger idea about ‘Domestic Discipline’. Marie says that it applies to wives and girlfriends as much as to children – all of whom are in a man’s power and are supposed to obey him. Her recommendation to men is: ‘Sit them down, explain what rule they broke, explain why it’s a rule, calmly apply the prescribed punishment, and then hug them because it’s over’.”

L’intero reportage di Ebner è uno straordinario esempio della granulosità del discorso antifemminista e della sua capacità di essere modellato e rimodellato a seconda del mezzo. Se nella community ci si può radicalizzare facilmente nascondendosi dietro l’utente sconosciuto, quando ci si rivolge a un pubblico più largo occorre lucidità e capacità di marketing: DeAnna Lorraine, anche lei del GOP, può utilizzare le dirette YouTube per fare delle coaching sessions riservate al maschio bianco etero sulla corretta gestione della propria donna wasp, quando farla contenta e quando invece frenarla, mentre Lana Lokteff, presentata mirabilmente in un articolo di Jacobin, indossa senza problemi i panni dell’agitatrice culturale via radio ascrivendo la battaglia antifemminista alla più dirimente guerra contro il marxismo culturale.

Dalla Svezia a Christchurch

Altrettanto intenso è il passaggio in cui Ebner riflette sul più famoso attentato livestream del ventunesimo secolo, la strage di Christchurch, che per istituzioni e agenzie di intelligence ha rappresentato una wake up call generale nell’approccio al terrorismo di destra. Da lì, spiega l’autrice, è diventato tristemente più facile spiegare a dipartimenti e a funzionari cose come la gamification, il modo in cui la trasgressione ultra-libertaria sia ormai assurta a forma di espressione culturale dominante, o cosa diavolo possa significare citare Spyro the Dragon. Perché il manifesto di Tarrant (The Great Replacement), come hanno detto molti, non è solo una lista di motivazioni pseudo-ideologiche. È una sceneggiatura scritta per la community Alt-Right piena di FAQ a cui risponde lui stesso con pesanti dosi di ironia, messa insieme a nevrotici flussi di coscienza islamofobi e la volontà, ovviamente, di passare alla Storia.

To journalists it reads almost like a ready-to-publish interview. But to his fellow far-right sympathisers, it is a mix of instruction manual and dark stand-up comedy script. His goal was to turn into the hero whose name would soon feature across some other terrorist’s gun: ‘inspirational terrorism’.”

Oltre a mappare le diverse influenze intellettuali da cui il terrorismo di destra pesca a piene mani per legittimarsi in violenza (qualche dritta per orientarsi meglio: Guillame de Faye, Renaud Camus, ideologo della Grande Sostituzione, i soliti Evola e Huntington alla bisogna), Ebner stabilisce dei nessi nell’Alt-Right Universe con il Nord Europa: sodale di Richard Spencer (l’esponente più conosciuto del movimento, a lui dobbiamo l’invenzione del termine Alt-Right) è Daniel Friberg, un tycoon svedese esperto di business e finanza, amministratore delegato di una compagnia mineraria. A lui si deve la nascita di una casa editrice e di vari network televisivi e radiofonici, voci in pectore della giungla neonazista svedese e ottime casse di risonanza per il cospirazionismo global antisemita.

Gesto di adesione neofascista, Richard Spencer

Il semplice gesto ‘ok’ è spesso utilizzato come simbolo white power. Qui Richard Spencer (Talkingpointsmemo.com)

In un’intervista su International Business Times Friberg si dichiara un appassionato di metapolitica e un grande fan della “battaglia delle idee”, sostanzialmente ignaro però della loro circolazione a giudicare da domande più specifiche su Breivik o Lundin Pettersson; eccone un altro, verrebbe da pensare, che si astrae in guerre e battaglie navali, salvo poi fare il gioco della sedia quando un ventenne entra con una spada in una scuola media.

Localizzare l’estremista

Abbozzare delle prospettive è un’operazione a dir poco complessa, in particolar modo considerando la diversità di materie quali controllo digitale, disinformazione e terrorismo. Certificato il fallimento delle più grandi aziende social in tema di sicurezza dati e fake news, stati come Germania e Francia già da diversi anni si sono spostati su misure più stringenti nella lotta all’estremismo online, andando a rimettere in questione le care e vecchie faccende su privacy e libertà d’espressione.

Nel frattempo le tante bolle riconducibili all’Alt-Right si trasferiscono svastiche&bagagli su altre isole felici, usano ormai con dimestichezza criptovalute per muovere capitale e influenza, si attrezzano su Discord e Gab. Se nel vasto supermercato delle ideologie il reparto neofascista continua a vendere il prodotto mantenendo il prezzo contenuto e alternativo, scrive Ebner in poche conclusioni finali, andremo incontro a nuovi metodi di radicalizzazione, simili a quelli che abbiamo visto in questi anni con il terrore in franchising dell’Isis: la scorporazione di organizzazioni classiche abituate a gerarchie e a regole di reclutamento prestabilite ha stravolto anche l’universo dell’estrema destra. Con molta probabilità sarà necessario rinforzare e aggiornare gli studi sul cyberwarfare, o anche sulle riarticolazioni dei processi di affiliazione con cui il neofascismo si tiene insieme. Pur essendo un mondo diviso da istanze differenti ha già dimostrato, vedi Charlottesville, ottime capacità di aggregazione, non solo sul web.

Dalla lunga sequela di ritratti messi in fila da Ebner (abbiamo l’industria complottista americana, le mogli dell’Isis, i festival musicali nazisti e tanti tantissimi ospiti) rimane difficile uscirne rassicurati: in Going Dark l’estremismo non si risolve in una fuga d’odio fine a sé stessa, né la sua esperienza si esaurisce nelle gang online. Smarcandosi da un facile determinismo l’indagine della giornalista inglese scopre le carte e ci invita ancora a tenere viva la discussione intorno alla violenza delle idee, sempre solidamente ancorate alla realtà, e alle nuove possibilità di radicalizzazione.

 

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